Jacques Le Goff, la Repubblica 13/11/2008, 13 novembre 2008
CHIARA FRUGONI
che più che un´iconografa e una storica dell´arte è una grande storica tout court, come ha dimostrato in modo eccellente a proposito di San Francesco d´Assisi - ha appena pubblicato un nuovo capolavoro che si intitola: L´affare migliore di Enrico. Giotto e la Cappella Scrovegni (Einaudi, pagg. XVI-386, euro 65). Se quest´opera magistralmente illustrata è per buona parte una descrizione e una spiegazione dettagliata dei famosi affreschi giotteschi - realizzati con ogni probabilità tra il 1304 e il 1307, nella cappella costruita dal ricco uomo d´affari Enrico Scrovegni a Padova - in maniera non priva di un certo aspetto paradossale il protagonista principale ne è Enrico Scrovegni. In effetti, Chiara Frugoni spiega la mentalità e gli obiettivi di questa committenza di opere a Giotto, dando un´interpretazione inedita e persuasiva della natura e del comportamento di questo personaggio che ella innalza al ruolo di primo rango storico di mecenate. Del resto c´è mancato poco che ci fosse impossibile conoscere questi magnifici affreschi: in realtà la nobile famiglia Gradenigo, proprietaria nel XIX secolo della cappella e dei luoghi circostanti ma indifferente ai valori artistici delle opere che essa custodiva, dopo aver fatto abbattere il portico a tripla arcata addossato alla facciata della cappella e dopo aver lasciato marcire a partire dal 1829 la cappella stessa, nel 1868 si disse disposta ad accettare di venderla e trasferire al Victoria and Albert Museum di Londra gli affreschi di Giotto.
Per fortuna, in massa i padovani, guidati dal sindaco Antonio Tolomei, fecero dichiarare nel 1879 che la cappella era un edificio pubblico, posto sotto la tutela della comunità e questa all´unanimità decise di acquisire tutti i possedimenti dei Gradenigo situati nell´area dell´Arena intorno alla cappella. Gli affreschi furono restaurati nel 1892, e soltanto due di essi - Gesù tra i dottori e La salita al Calvario-, troppo danneggiati dall´umidità, furono prelevati dalla loro sede e sistemati altrove. Questa fu la felice conclusione di una vicenda carica di paradossi e di disavventure sin dall´inizio. Il committente della cappella, Enrico Scrovegni, era infatti figlio di un uomo d´affari già molto ricco di suo che, ritenuto un usuraio, era stato collocato da Dante nel suo Inferno (Divina Commedia, Inferno XVII, versi 64-70).
Probabilmente è proprio la reputazione di questo padre che fino a oggi ha fatto considerare la decisione di Enrico Scrovegni di costruire la cappella alla stregua di un gesto riparatore ed espiatore per il comportamento di suo padre e dei suoi antenati. Ebbene, Chiara Frugoni dimostra invece che le intenzioni di Enrico erano assai diverse, che la sua non fu un´iniziativa riparatrice, bensì un´opera di misericordia e che tramite essa intendeva meritarsi il Paradiso non col pentimento, ma affermando il valore spirituale del buon uso della ricchezza. Si comprende a questo punto in che modo, dopo essere stata la grande storica del Santo Francesco di Assisi, Chiara Frugoni dimostri come a distanza di meno di un secolo l´arte permetteva non più un´apologia della povertà, bensì la celebrazione della ricchezza. Ciò significa che quest´opera mette in luce in modo emozionante il grande cambiamento di mentalità che la cristianità o quanto meno l´Italia vissero alla svolta del XIII-XIV secolo, in riferimento alla ricchezza. La cappella era stata dedicata a Santa Maria della Carità: di conseguenza questo capolavoro che celebra la ricchezza era destinato altresì a una spiritualità religiosa che in quella stessa epoca stava conoscendo un nuovo grande impulso, il culto mariano.
In questa ostentazione oculata del buon uso della ricchezza, su richiesta di Enrico Scrovegni Giotto mostra negli affreschi della cappella la storia di Gesù, quella di Maria e del Redentore, e in un grande affresco in fondo il Giudizio universale, tra gli eletti del quale si indovina la presenza di Enrico Scrovegni. Ma ciò che permette a Chiara Frugoni di illustrare al meglio la propria tesi e la parte più originale di quest´opera appassionante è il modo col quale ci mostra come da una parte si rappresentassero le scritture ma dall´altra come la rappresentazione consueta all´epoca dei vizi e delle virtù comportasse elementi originali che illustrano la mentalità e le intenzioni di Enrico Scrovegni. Questa presentazione dei vizi e delle virtù è del resto nello spirito di un personaggio che ha ispirato Giotto, infondendogli lo spirito della nuova cultura urbana e borghese. Si tratta del grammatico e pedagogo Boncompagno da Signa, autore di una Rhetorica novissima scritta e pubblicata a Bologna nel 1235, che comprende sia un elogio della memoria artificiale che permette al buon cristiano di ricordarsi sempre delle ricompense del Paradiso e dei tormenti perpetui dell´Inferno, sia un elenco di vizi e di virtù, per altro diverso da quella che Giotto userà per affrescare la Cappella degli Scrovegni. Tra le virtù la più importante è Iusticia, accompagnata da Karitas e Spes, laddove Karitas rammenta che il buon uso delle ricchezze apporta benefici a colui che le distribuisce con prodigalità mentre Spes che indossa una corona mostra che contrariamente al suo significato tradizionale essa apporta la certezza, come dice Sant´Agostino, che la giustizia dispensa a ciascuno ciò che gli è dovuto. La Iusticia è l´unica virtù a indossare gioielli, un cappuccio ornato di perle, una spilla per chiudere il mantello e una cintura di metalli preziosi. La Iusticia è una regina, perché indossa una corona. Le virtù e i vizi, insomma, sono definiti dal corretto o dallo scorretto uso delle ricchezze e dietro a Cristo e alla Madonna appare un´immagine positiva ed elogiativa che Giotto ha dipinto in questa raffigurazione dei vizi e delle virtù su richiesta di Scrovegni. Al contrario, l´Iniustitia è rappresentata dal despota Ezzelino da Romano, che aveva dominato Padova dal 1237 al 1256.
Tra i vizi, l´Invidia prende il posto tradizionalmente riservato all´Avaritia, che potrebbe evocare in modo eccessivo la ricchezza di Scrovegni. Quanto al Giudizio universale, Chiara Frugoni ipotizza che ogni volta che Scrovegni si è ammirato tra le fila degli eletti, avrà sicuramente pensato che quella rappresentazione non era che un´anticipazione delle gioie paradisiache che gli sarebbero state riservate in considerazione del fatto che aveva usato in modo giusto e oculato le sue ricchezze, e gli affreschi e quella cappella ne erano la prova tangibile.
La magnifica dimostrazione di Chiara Frugoni è seguita da un dossier che offre al lettore tutte le informazioni su ciò che c´è da sapere sul capolavoro dell´Arena, e contiene il testamento che Enrico Scrovegni scrisse poco prima della sua morte avvenuta nel 1336 a Venezia (per la precisione a Murano), dove conduceva da tempo i propri affari e dove aveva trovato rifugio quando il dispotismo si abbatté nuovamente su Padova nel 1320 - pubblicato integralmente nella sua versione originale e nella traduzione italiana con un pregevole commento di Attilio Bartoli Langeli - , e infine un saggio di Riccardo Luisi che spiega il significato dei marmi trompe-l´oeil dipinti sugli affreschi di Padova da Giotto, che era anche architetto e amava gli effetti ottici.
Questa magnifica opera che arricchisce la storia dell´arte, la storia delle idee e la storia sociale, mostra in modo eccellente perché Enrico Scrovegni facendosi costruire la cappella dell´Arena e facendola decorare da Giotto di fatto concluse «il suo affare migliore».
(Traduzione di Anna Bissanti)