Daniele Mastrogiacomo, la Repubblica 13/11/2008, 13 novembre 2008
Come animali della giungla, i ribelli strisciano sulla terra rossa, guadagnano qualche metro e si nascondono tra i banani
Come animali della giungla, i ribelli strisciano sulla terra rossa, guadagnano qualche metro e si nascondono tra i banani. Alzano la testa, guardano verso sud, puntano i loro ak-47, sparano qualche colpo, la canna che si alza e vibra meccanicamente. Sono le 4 del mattino. Va avanti così da un´ora. Niente mortai, niente artiglieria pesante. Solo fucili automatici. Colpi per mettere paura al nemico, saggiare la sua pazienza, misurare il suo coraggio. E´ una guerra di nervi, con i suoi morti. Quella vera deve ancora iniziare. Forse oggi, forse domani. Ma scatterà. Lo dicono tutti. Tre, quattrocento metri più a valle, sotto un cielo che annuncia l´ennesimo acquazzone, decine di soldati dell´esercito congolese rispondono al fuoco. Anche qui colpi singoli, secchi. Solo qualche rara raffica seguita da urla di insulti che lacerano il silenzio della foresta. Le prime luci dell´alba illuminano le sagome di due soldati congolesi morti. I passanti li osservano. Tirano dritto. Niente domande. Nessuna reazione. Sguardi tirati, spaventati. Siamo a 20 chilometri da Goma, Nord-Kivu, lungo la strada che taglia come un serpente tutta la regione, circondati da una vegetazione che divora il piccolo lembo di striscia rossa. Il grande lago, agitato da raffiche di vento, è coperto dal vulcano che 4 anni fa ha sommerso mezza città. Più avanti, inizia l´ultimo territorio occupato, quello del distretto di Rutshuru. Di qua i soldati ribelli del generale Laurent Nkunda, i combattenti del Cndp. Inquadrati, disciplinati, silenziosi. Alti, secchi come chiodi, il viso scolpito su una maschera regale, scuri come ebano. Di là, i militari dell´esercito congolese, quelli delle Fadr, più bassi, tarchiati, il viso duro, frustrati da una sconfitta che mandano giù a fatica, decisi a difendere un pugno di case che sono diventate un simbolo più che il cuore strategico di questo conflitto infinito. L´assedio dura da 12 giorni. Tremila, forse cinquemila ribelli stringono come una morsa duemila soldati e seimila caschi blu. Goma è schiacciata contro il lago. E´ rimasta una sola via di uscita, verso sud-ovest. Servirà come fuga. Ma adesso è solcata da decine di camion carichi di armi e di munizioni. E´ il canale di rifornimento che Kinshasa difende con i denti. Perderlo significa restare tagliati fuori, alzare bandiera bianca, abbandonare anche l´ultimo avamposto nella guerra dell´est. Il generale Nkunda lo sa. Avanza qualche centinaio di metri, poi ripiega. Da giorni rafforza le sue posizioni, scavando trincee, alzando muri di terra, piazzando mortai e mitragliatrici pesanti. Ma è solo tattica. Diversiva. Voci raccolte negli ambienti dell´intelligence occidentale, calata in massa da queste parti, dicono che l´attacco scatterà più a sud, tra Bitonga, Bishange, Kalungu, sulla costa opposta del lago Kivu. Tutta la zona che incombe sulla sponda ovest del lago è territorio di Nkunda. Ci sono i massicci del Masisi. C´è soprattutto Kirolirwe, la casa-fattoria dove l´ex docente di psicologia, seguace della Chiesa avventizia del settimo giorno, oggi simbolo di una guerra che si è imposta all´attenzione del mondo, ha installato il suo quartiere generale. Martedì la brigata 14 congolese è stata spostata a 170 chilometri da Goma, nella parte più settentrionale del Kivu. E´ stato un vero inferno. I soldati, pagati male e solo qualche volta, si sono accaniti sulla popolazione, hanno saccheggiato, depredato, preso tutto ciò che trovavano: cibo, animali, vestiti, attrezzi, quasi sicuramente donne. Kaina, Kimumba, Kanyabayonga e altre decine di villaggi sono stati devastati da questo ciclone umano. Dalla cartina militare, disseminata di bandierine rosse, blu e gialle, osservata di sfuggita nel comando di una brigata, si capisce quanto territorio abbia conquistato il Cnlp di Laurent Nkunda. Da una striscia centrale, i ribelli sono avanzati verso i confini est, quelli con il Ruanda e hanno rafforzato la fetta di territorio a ovest. I primi lampi di guerra, racconta chi vive qui da sempre, sono iniziati nel giugno scorso. Brevi e continue incursioni del Fardc nel centro, poi la reazione del generale Nkunda, fino alle battaglie di fine ottobre con cui hanno chiuso Goma in una trappola. Questa è una guerra decisa e sostenuta da altri. I motivi etnici, lo scontro tra hutu e tutsi alimentato dai vecchi imperi coloniali, restano sullo sfondo. I veri interessi sono legati alle miniere di coltan e cobalto, oltre a oro e diamanti, che punteggiano le colline dietro il massiccio del Masisi. Esistono contratti, ufficiali, che lo dimostrano. Contratti stipulati da Kinshasa con consorzi di industrie cinesi. Materie prime in cambio di infrastrutture. Nessuno, Kigali compresa, vuole rinunciare alla torta. L´arresto del braccio destro del presidente ruandese Paul Kagame è parte di questa partita che vede di nuovo agire gli ex paesi coloniali. Francia, Belgio, Germania, Inghilterra premono sul piano diplomatico. L´Africa reagisce spedendo eserciti amici. Come l´Angola, da ieri ufficialmente presente in Congo. A farne le spese, come sempre, sono le popolazioni civili. Decine di campi, immersi nel fango provocato dalle piogge di questa stagione, sorgono in tutta l´area del conflitto. Il colera è solo l´inizio di altre epidemie. Goma vive come può. Con i ribelli alle porte, pronta a resistere, pronta a fuggire. Mezzo milione di persone vagano per questa città dissestata, senza strade, a piedi, su carretti, grandi monopattini in legno carichi di ogni mercanzie. Ognuno con il suo fardello, il suo sacco di carbone, di mais, di manioca, la fascina di legna, di canne da zucchero. Vecchi che arrancano, donne con i neonati chiusi nelle stoffe legate sulle spalle, giovani in equilibrio con enormi pacchi sulla testa, sferzati da ondate di pioggia e poi da un sole bollente. Si lotta per vivere. Con rabbia e disperazione. Passa l´ennesimo blindato della Monuc. Il fiume umano si ferma. Inveisce, grida, lancia sassi, bottiglie, lattine. Urlano in inglese, per farsi capire dai soldati indiani dei caschi blu: «No Nkunda, no job». Meglio i ribelli del caos. Lo ripetono anche i soldati angolani. Scuotono la testa: «Questa non è una guerra, è solo confusione».