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 2008  novembre 13 Giovedì calendario

La sana retorica del Sogno americano spinge Paul Krugman a evocare il prossimo avvento di «Franklin Delano Obama» e la possibile apertura di un nuovo corso rooseveltiano, ricco di speranza e proiettato nel futuro

La sana retorica del Sogno americano spinge Paul Krugman a evocare il prossimo avvento di «Franklin Delano Obama» e la possibile apertura di un nuovo corso rooseveltiano, ricco di speranza e proiettato nel futuro. L´insana logica dell´incubo italiano ci costringe a fare i conti con un conflitto politico-sindacale fuori dal tempo e dalla storia, gravido di rischi e ripiegato sul passato. Di fronte alla tempesta perfetta dei mercati finanziari e dell´economia reale, una classe dirigente degna di questo nome, in una democrazia seria e responsabile, si darebbe un´unica missione: unire gli sforzi collettivi in una sorta di «comitato di salute pubblica» e concordare, nei limiti del possibile e nel rispetto dei rispettivi ruoli, le misure necessarie a fronteggiare la crisi. Ma in questa Italia arrabbiata e irresponsabile succede l´esatto contrario. Tutto va in frantumi. La maggioranza rompe con l´opposizione, la Cgil rompe con il governo, i sindacati confederali rompono tra di loro, gli irriducibili rompono con gli autonomi. In questo quadro in rapida decomposizione l´unica cosa che resiste sono gli scioperi, che sono un costo per gli imprenditori, un sacrificio per i lavoratori e un danno per i consumatori. Stiamo assistendo a una stupefacente moltiplicazione di errori tattici, di rigurgiti ideologici, di riflessi condizionati. Il primo errore lo commette Berlusconi, che in un momento di forte tensione sociale non trova di meglio da fare che tagliar fuori la Cgil da un vertice segreto a Palazzo Grazioli in cui riunisce ministri economici, Confindustria, Cisl e Uil. Il secondo errore lo commettono la Marcegaglia, Bonanni e Angeletti, che non avvertono l´urgenza morale e l´esigenza politica di chiedere l´allargamento del tavolo o di rifiutare l´invito del premier. Sono errori dettati non da dilettantismo, ma da un ideologismo: questo governo di destra sempre più marcata, soprattutto attraverso la filiera dei ministri ex-socialisti memori delle feroci battaglie sulla scala mobile, non rinuncia all´obiettivo di regolare una volta per tutte i conti con la Cgil: l´ultimo avamposto del dissenso sociale contro un esecutivo che, ormai, tollera solo il consenso universale. A questo ideologismo (che trova una sponda gregaria nei segretari di Cisl e Uil, colpevolmente disposti a riesumare il fantasma degli accordi separati e lo spettro dei Patti della lavanderia) Epifani risponde con un riflesso pavloviano. Un altro sciopero il 12 dicembre, stavolta solitario, che si somma all´impressionante sequenza «cilena» delle agitazioni in corso: da quella dei cobas Alitalia che da tre giorni tengono sotto ricatto il Paese (dalla quale si sono dissociate le sigle del cosiddetto Fronte del no) a quella dell´Onda studentesca che domani torna in piazza contro la riforma Gelmini e i tagli alle università (dalla quale, per riflesso pavloviano uguale e contrario, si è ora dissociata la Cisl). Da questo scenario di conflittualità endemica l´opinione pubblica può ricavare solo un´inquietante sensazione di inadeguatezza. inadeguato il governo, cui sta palesemente sfuggendo il controllo della situazione. Siamo in pieno ciclo recessivo, e non si vede ancora una «exit strategy». Si rincorrono voci, si alternano ipotesi, ma per ora si sa solo che «anche il Tesoro ha problemi di liquidità», come avverte Tremonti. In questo clima, il premier dovrebbe avere tutto l´interesse a svelenire il clima: costruire un pacchetto anti-crisi, coinvolgere l´opposizione sindacale in un confronto leale e trasparente di fronte al Paese, chiamare l´opposizione politica a un dibattito serrato ma rispettoso di fronte al Parlamento. Sta facendo l´opposto. Delegittima il centrosinistra e insulta il Pd. Spacca la Triplice e attacca la Cgil. una scelta insensata e potenzialmente suicida. Un vero uomo di Stato come Nicolas Sarkozy non la compirebbe mai. Ma è inadeguato anche il sindacato. La drammaticità del momento richiederebbe quello che un tempo si sarebbe definito un «equilibrio più avanzato». Uno sforzo unitario, piuttosto che la ricerca di una distinzione. Il terreno è infido, ma ci sarebbe. La crisi morde più duramente i ceti meno abbienti, che vanno difesi con tutti gli strumenti possibili. Ma è ormai chiaro che molti (tra gli ultimi, i penultimi e comunque i più deboli) sono fuori e lontani dal perimetro della rappresentanza confederale. E dunque le piattaforme rivendicative e le «azioni di lotta» di Cgil, Cisl e Uil, tanto più se frammentate e contraddittorie tra loro, finiscono per assumere una fisionomia fatalmente corporativa, che spesso tutela chi è già tutelato e magari lascia scoperto chi non gode di alcuna protezione sociale. E per quanto possano essere legittime le proteste e le agitazioni messe in campo dai confederali in questi e nei prossimi giorni (al contrario di quelle realizzate da Aquila Selvaggia, in palese violazione delle norme di legge) non si può non tenere conto del devastante effetto-domino che producono nei cittadini, sempre più esasperati dai disservizi pubblici e dai disagi privati. Sono scelte scontate e probabilmente autolesioniste. Un grande leader sindacale come Luciano Lama non le avrebbe mai compiute.