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 2008  novembre 12 Mercoledì calendario

La Stampa, mercoledì 12 novembre Hannah Jones ha solo 13 anni e il suo nome diventerà famoso. All’età in cui i ragazzi chiedono ai genitori un nuovo telefonino o l’ultimo modello di iPod, lei ha chiesto di potere essere lasciata morire con dignità

La Stampa, mercoledì 12 novembre Hannah Jones ha solo 13 anni e il suo nome diventerà famoso. All’età in cui i ragazzi chiedono ai genitori un nuovo telefonino o l’ultimo modello di iPod, lei ha chiesto di potere essere lasciata morire con dignità. Ha spiegato le sue ragioni agli adulti che volevano tenerla in vita, li ha convinti e sarà accontentata. Hannah vive a Marden, un piccolo paese dell’Herefordshire, e aveva 5 anni quando le fu diagnosticata una grave forma di leucemia. Da allora i suoi giorni sono trascorsi solo in due luoghi: dentro un ospedale e fuori. La chemioterapia alla quale è stata sottoposta ha rallentato la malattia, ma le ha aperto anche un buco nel cuore che, mentre gli anni passavano si è ingrandito con lei, lasciandola esausta al minimo sforzo. Ma i medici avevano pronta la soluzione: un trapianto. E’ vero, il nuovo cuore sarebbe durato al massimo dieci anni nel corso dei quali, oltre alla chemio, Hannah avrebbe dovuto assumere in continuazione anche medicinali anti-rigetto. Non era nemmeno escluso che il trapianto aggravasse la leucemia, ma in fondo che cosa non si farebbe per vivere qualche giorno in più? Hannah non la pensava allo stesso modo. Ha chiesto a sua madre, Kirsty, e a suo padre, Andrew, di portarla a casa e di poter trascorrere con loro il tempo che le rimane, senza chemio, senza cuore nuovo, senza medicinali anti-rigetto, perché la vita è bella, finché non viene trasformata in un inferno. E’ stato forse il medico locale di Hereford, sospetta Andrew Jones, a denunciarli tutti al Centro di protezione dei bambini: l’ospedale li ha chiamati il giorno dopo, annunciando che aveva intentato un’azione legale per sottrarre la bambina ai suoi genitori, colpevoli di «opporsi alle cure di cui aveva bisogno». Alla porta si era presentato un medico, che voleva somministrare ad Hannah un medicinale per tranquillizzarla e trasferirla all’ospedale di Great Ormond Street, quello dei trapianti. «Piangevamo tutti - ha raccontato il signor Jones - ed eravamo convinti che ce l’avrebbero portata via». L’atroce macchina burocratica dell’accanimento terapeutico è stata però fermata da un dirigente dell’ospedale, che si è domandato se davvero si poteva sottrarre una bambina ai suoi genitori e trasferirla con la forza in una sala operatoria senza nemmeno chiederle se era d’accordo. La decisione che Hannah non sarebbe stata trasferita senza il suo consenso lasciò ai Jones un po’ di tempo per sollecitare l’intervento del Primary Care Trust e del suo responsabile, Chris Bull, che incontrò la bambina. «E’ una giovane donna coraggiosa - ha scritto Bull in una lettera al padre - che capisce bene la gravità della sua condizione. Abbiamo discusso opzioni diverse di trattamento e lei ha espresso con chiarezza e determinazione la decisione che non intende tornare in ospedale per un intervento cardiaco». L’incontro fra Hannah e l’uomo che avrebbe deciso il suo destino è avvenuto in assenza di altri testimoni. «Non so che cosa mia figlia abbia detto - ha commentato Andrew Jones - ma deve essere stata abbastanza brava da convincere persone molto importanti e più grandi di lei. Non avrei sopportato l’idea che dovesse affrontare anche una battaglia legale, con tutto quello che ha già passato». Dopo il colloquio con Bull, l’ospedale ha ritirato l’ingiunzione legale che avrebbe portato il caso all’Alta Corte e ha lasciato Hannah con i suoi genitori. Dal 1980, la «common law» britannica consente ai minori di dare o negare il proprio consenso alle cure mediche se dimostrano di avere «sufficiente comprensione» dei rischi e dei vantaggi della loro decisione. Lo scorso anno la sedicenne Josie Growe, anche lei affetta da leucemia, decise di averne abbastanza degli ospedali e tornò a casa, accompagnata all’uscita dalle infermiere in lacrime che decisero di proporla per un premio al coraggio. «Il vero problema - scriveva ieri il Times - è che i professionisti della medicina non sempre la pensano come i loro pazienti. Il giuramento di Ippocrate li obbliga a tentare ogni tipo di trattamento che possa prolungare la vita e cercano sempre il consenso dei pazienti. Inoltre, sono spesso molto curiosi di vedere come funzionano nuove terapie». In un Paese che non subisce le influenze del Vaticano e nel quale i giudici emettono le loro sentenze non sulla base di una legge scritta, ma sui casi analoghi precedenti, la vicenda di Hannah sarà presa a parametro di molte decisioni future, in difesa degli adulti e dei bambini che chiedono di poter morire con dignità, non in un letto di ospedale, ma tra le braccia e l’affetto dei propri cari. Nelle foto pubblicate ieri dai giornali, Hannah era seduta sul divano di casa e sorrideva sotto le sue lentiggini, felice per la prima volta dopo tanto tempo. E qualcuno, da qualche parte, le sta sicuramente preparando un posto speciale che la ripaghi delle sue sofferenze. Vittorio Sabadin