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 2008  novembre 12 Mercoledì calendario

Certo, non è l´incipit della Recherche, e neanche quello di Blowin´ in the wind, ma di sicuro nell´immaginario della canzone italiana l´attacco di «quella sua maglietta fina» è secondo solo a «penso che un sogno così

Certo, non è l´incipit della Recherche, e neanche quello di Blowin´ in the wind, ma di sicuro nell´immaginario della canzone italiana l´attacco di «quella sua maglietta fina» è secondo solo a «penso che un sogno così...» e a «voglio una vita spericolata». E delle tre canzoni è l´unica che va dritta alla semplicità del tema amoroso. Niente astrazioni, niente iperboli trasgressive, solo e unicamente un amore, squisitamente adolescenziale. In realtà il segreto di questa canzone, che nel 1985 un concorso televisivo presieduto da Pippo Baudo celebrò come canzone del secolo, è principalmente in questa sua spudorata dichiarazione d´intenti. Ma è senza precedenti anche l´idea di rimettere mano alla canzone, 36 anni dopo. Questa sera all´Allianz Teatro di Milano (con repliche fino al 22, ripresa a Roma dal 26 novembre al 6 dicembre e infine a Napoli dall´8 al 12 dicembre) Claudio Baglioni inizia la sua rivisitazione del disco che lo lanciò, anticipando le altri parti del progetto ovvero un romanzo, un film e la pubblicazione di un nuovo album che rilegge e amplia quello originale. Nel 1972 Baglioni era quasi un esordiente, e la canzone italiana era diventata terreno di agguerriti cantautori per i quali l´amore, se proprio bisognava cantarlo, era oggetto di devianza o controversie politiche. Baglioni aggirò l´ostacolo e il successo lo marchiò a lungo come il cantautore degli amoretti adolescenziali. In realtà pochi sanno che l´intero disco, strutturato come un concept-album su una storia d´amore raccontata dal primo incontro fino all´addio, avrebbe potuto avere una cornice diversa se il cantautore non avesse accettato il diktat della Rca che gli impose di togliere il primo brano del disco, In viaggio, che parlava di contestazione giovanile e ambientava la storia in quella realtà. Se per questo l´allora direttore artistico della casa discografica sentenziò anche che Questo piccolo grande amore, poteva essere al massimo una buona facciata B per un singolo. Il tocco finale arrivò dalla censura radiofonica, allora assai solerte, che ottenne il ritocco di alcune frasi, e «la paura di essere e la voglia di essere nudi» diventò «essere soli», e le «cose proibite» si trasformarono in «scarpe bagnate». Dunque quel che rimase fu l´ineffabile racconto di un amore che sapientemente utilizzava proprio le frasi che i ragazzini, orfani in quegli anni di canzoni autenticamente sentimentali, si scambiavano, tipo: «Mi diceva sei una frana, ma io questa cosa qui mica l´ho mai creduta». Ma il vero segreto della canzone è nella costruzione musicale, davvero insolita visto che è considerata il massimo esempio di una popolarità, diciamo così, facile, alla portata di tutti. In realtà si sviluppa in quattro movimenti, e manca di un vero e proprio ritornello. una suite, preparata con un crescendo implacabile, e riunisce in sé le caratteristica di un´operina, il che svela il vero motivo dell´imperituro successo del pezzo. Questo piccolo grande amore non è altro che un melò, confezionato a uso e consumo di una generazione di ragazzi innamorati, coi loro peluche e le loro poesiole liceali, quegli stessi ragazzi lasciati a margine (ma erano tanti, diciamo una maggioranza silenziosa) dal travaglio bellicoso delle coscienze di quegli anni, per le quali anche un rapporto d´amore era fonte di ideologici turbamenti. E come tutti i melò ha trovato il modo di sfuggire alla contingenza del tempo, all´uso immediato che ne venne fatto, e a diventare una delle cinque melodie più amate nella storia della canzone moderna. Per lo stesso Baglioni è stata fonte di amore-odio. Specialmente negli anni in cui cercava di affrancarsi da questa riduttiva etichetta, era come una spina nel fianco. Non poteva non cantarla ai concerti (pena il linciaggio) ma una volta arrivò a proporla in versione reggae, pur di smitizzare il macigno. Ora a quanto pare ci ha fatto pace, forse consapevole che senza quella «maglietta fina» forse oggi non esisterebbe neanche l´ambizioso Baglioni delle produzioni successive. GINO CASTALDO PER LA REPUBBLICA DI MERCOLEDì 12 NOVEMBRE 2008