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 2008  novembre 12 Mercoledì calendario

L´economia si trova a dover combattere su due fronti. Da un lato la crisi minaccia la crescita che è considerata, oggi, l´irrinunciabile sostegno dell´economia

L´economia si trova a dover combattere su due fronti. Da un lato la crisi minaccia la crescita che è considerata, oggi, l´irrinunciabile sostegno dell´economia. Dall´altro, la crescita minaccia la sopravvivenza, che si basa sui grandi equilibri ecologici. A questo dilemma si possono dare due risposte opposte. Ambientalisti rigorosi come Carla Ravaioli, che nel suo ultimo libro, "Ambiente e pace, una sola rivoluzione", torna sul problema cui ha dedicato una instancabile e meritoria analisi, danno la risposta che è stata definita da Serge Latouche decrescita, e che più propriamente dovrebbe chiamarsi stabilizzazione. Questa risposta è contestata da chi la considera poco meno che una bestemmia ma anche da chi, più ragionevolmente (come Federico Rampini, Repubblica dell´8 novembre) considera la crescita come il presupposto degli stessi investimenti "ambientalistici", come quelli destinati a sviluppare energie rinnovabili. Su posizioni più estreme si pongono i "crescitòmani" che negano pericoli ecologici imminenti e invocano, di fronte alla minaccia di recessione provocata dall´attuale gravissima crisi, di fare ogni sforzo per fare ripartire la crescita, con priorità assoluta su politiche ambientalistiche che possono frenarla. Si tratta di due posizioni inconciliabili? Credo di sì. E francamente non mi convincono i sostenitori del "green growth", della crescita compatibile con l´equilibrio ambientale. Si possono certamente realizzare investimenti con tecniche che consentano costi ecologici minori. Ma, nell´insieme, la "green growth" appartiene alla categoria degli ossimori, del tipo "botte piena e moglie ubriaca". Né è ragionevole la tesi del rinvio, di chi non nega la minaccia "ecologica" ma la ritiene meno imminente. Oggi, si dice con apparente ragionevolezza, il pericolo imminente è la recessione. Alle politiche ambientali si penserà dopo. Il fatto è che la drammaticità della minaccia ecologica sta proprio nella sua imminenza. Se la casa brucia è ragionevole voltare le pompe dell´acqua da un´altra parte? Qual è il rischio maggiore? quello della recessione o quello della sopravvivenza? Certo, le minacce, pure entrambe incombenti, hanno tempi di maturazione diversi. Il che non significa affatto che debbano essere ritardati gli interventi diretti a scongiurarle. Il fatto vero è che non c´è compatibilità tra equilibrio ecologico e crescita; mentre, invece, si può rendere compatibile l´equilibrio ecologico con l´equilibrio economico. Una economia prospera con una economia non distruttiva. Ciò richiede però un radicale mutamento di paradigma: culturale e morale prima che economico: il passaggio da una economia di crescita a una economia di equilibrio, di "stato stazionario". Che non significa affatto stato statico. Un lago con immissari ed emissari è un sistema aperto e dinamico, non uno stagno; mentre, d´altra parte, un lago provvisto solo di immissari non può evitare l´inondazione. In altri termini, la crescita continua, senza fine, è insostenibile. E´ anche una crescita senza fini. Oltre che insostenibile, insensata. Una economia ecologicamente equilibrata è possibile solo se al criterio della massimizzazione (di tutto di più, di beni e di mali, come nello slogan della Rai, che si adatta benissimo al Pil, prodotto interno lordo) si sostituisce quello della ottimizzazione: e cioè della distinzione, nella allocazione delle risorse, tra quelle ammissibili e quelle non ammissibili, quelle prioritarie e quelle non prioritarie. Questa scelta «suprema», questa programmazione, non la si può affidare al mercato. Anche i più fanatici liberisti concordano sul fatto che ci sono cose che non si possono vendere e comprare. Tra queste, e per prima, non può non esserci proprio la decisione su ciò che si può e su ciò che non si può vendere e comprare. Questa è decisione che spetta alla politica democratica. E´ all´interno di questo paradigma di scelte che il mercato, per ogni altro aspetto libero, ritrova la sua libertà: la quale, non si dovrebbe dimenticarlo, è assicurata dalla libera concorrenza: che a sua volta presuppone politiche di intervento antimonopolistiche. Solo in una condizione di equilibrio dinamico e di concorrenza libera il mercato può ritrovare la sua efficienza e la sua base morale. GIORGIO RUFFOLO PER LA REPUBBLICA DI MERCOLEDì 12 NOVEMBRE 2008