Edoardo Boncinelli, Corriere della Sera 12/11/2008, pagina 41, 12 novembre 2008
Corriere della Sera, mercoledì 12 novembre Qualche anno fa si diffuse fra gli adolescenti la moda di un gioco di ruolo chiamato Dungeons & Dragons
Corriere della Sera, mercoledì 12 novembre Qualche anno fa si diffuse fra gli adolescenti la moda di un gioco di ruolo chiamato Dungeons & Dragons. I ragazzi si riunivano in gruppetti più o meno fissi che giocavano con una certa frequenza. Ad un certo momento si affacciò negli Stati Uniti la preoccupazione per gli effetti di questo gioco. Si registrarono infatti 28 suicidi fra i suoi praticanti abituali. Messa in questi termini, la preoccupazione sembra fondata. Se si considera però il quadro complessivo, si vede che non c’è probabilmente niente di cui preoccuparsi. Il fatto è che il tasso di suicidio medio tra gli adolescenti statunitensi è di 1 su 10.000 e poiché i praticanti abituali di tale gioco erano all’incirca tre milioni, il numero di suicidi attesi senza fare alcuna ipotesi aggiuntiva sarebbe di 300, una cifra ben superiore a 28. L’errore nasceva dal limitarsi a una rilevazione superficiale, senza considerare il quadro di riferimento complessivo, e questo tipo di omissione è alla base di un numero incredibile di errori individuali e di miti metropolitani che caratterizzano la nostra epoca, in tutti i campi. Si tratta in sostanza di un giudizio frettoloso, peraltro a noi tanto caro. La nostra mente è infatti istintivamente frettolosa. E ama saltare alle conclusioni sulla base di poche informazioni. Siamo fatti così, e tendiamo a comportarci in questa maniera anche quando qualcuno ci ha messo in guardia contro abitudini mentali del genere. Lo sappiamo da almeno un paio di decenni e molto si è detto e scritto su tale argomento. Molti bei libri trattano di questo tema dal punto di vista teorico, di come cioè ci inganniamo e ci lasciamo ingannare dalle apparenze e dalle circostanze, sulla base di una nostra innata propensione a valutare le cose in fretta e «all’ingrosso», fondandoci su informazioni insufficienti e su impressioni «istintive» e irriflesse. Non che non siamo capaci, all’occorrenza, di essere più avveduti e razionali, ma questo ci costa fatica e lo facciamo solo in un secondo momento e soltanto se riteniamo che sia proprio necessario. Si è anche parlato di due sistemi mentali che presiederebbero alle nostre valutazioni, e secondariamente alle nostre scelte. Un sistema 1, approssimato, superficiale, sempre pronto a scattare e a operare sotto spinte istintive ed emotive, e un sistema 2, più lento, riflessivo e ponderato, ma chiamato in causa solo raramente e comunque in un secondo momento. Lontano da questi aspetti teorici e ricco invece di esempi e di aneddoti sui nostri abbagli delle più diverse specie è l’ultimo libro di Lewis Wolpert Sei cose impossibili prima di colazione (Codice Edizioni, pp. IX-209, euro 21), dove viene dispiegata e spiegata tutta l’umana credulità. Già dal titolo, che trae spunto da un brano di Attraverso lo specchio dell’incredibile e impagabile Lewis Carroll. Ad Alice che afferma di non riuscire a credere a una cosa impossibile, la Regina Bianca dice: «Mi sembra che tu non abbia molta pratica. Alla tua età io mi esercitavo mezz’ora al giorno. Certe volte arrivavo a credere anche a sei cose impossibili prima di colazione». Alla nostra innata approssimazione e frettolosità di giudizio si aggiunge anche l’universale propensione a credere a ciò che ci fa più piacere credere. Già Terenzio dice: «Tu credi in ciò che speri ardentemente» e gli fa eco Francesco Bacone: «L’uomo preferisce credere ciò che preferisce sia vero». Soprattutto si crede vero ciò di cui si è convinti. Le nostre convinzioni, o credenze – come le chiama l’autore – sono tra le cose alle quali siamo più affezionati e senza le quali, per dir la verità, non sapremmo vivere. E il nostro cervello non ce le fa certo mancare. Di tutto ci facciamo una convinzione, al punto che il grande neurobiologo Michael Gazzaniga ha potuto scrivere che «il nostro cervello è una macchina per produrre credenze» e qualcuno è arrivato a ipotizzare l’esistenza nella nostra testa di un vero proprio meccanismo «generatore di credenze». «Una caratteristica comune delle credenze è il fatto che spiegano la causa di un evento o in che modo accadrà qualcosa in futuro». Ma che cosa sono effettivamente le credenze? Non è facile da dirsi. Se nel Settecento David Hume sentenzia: «Finora questo atto della mente non è mai stato spiegato da nessun filosofo», pure oggi non lo sapremmo dire con precisione, anche se siamo convinti del fatto che questa continua generazione di convinzioni è una delle esigenze più vitali della nostra mente, nel suo continuo sforzo di comprendere il mondo e di cercare di comportarsi nella maniera più appropriata. In parole povere, avere delle convinzioni è necessario e fondamentale per la sopravvivenza, anche se avere delle convinzioni sbagliate non è obbligatorio. Ma quali e quante sono le convinzioni sbagliate! Wolpert ne cita e ce ne illustra un numero enorme, da quelle sulle diverse cause dei fenomeni a quelle, perniciosissime e spesso ridicolissime, sulla salute. L’autore, che si professa materialista e riduzionista, insiste particolarmente sulle false convinzioni a proposito dell’idea di causa e sulle più diffuse pseudospiegazioni dei vari fenomeni e conclude con Virgilio: «Felice è chi ha potuto conoscere le cause delle cose». Le cause vere ovviamente. Edoardo Boncinelli