"La bolla immobiliare? Colpa di Rubin e Summers", intervista a Vernon Smith, Vittorio De Rold, Il Sole 24 Ore, 11 novembe 2008, 12 novembre 2008
"La bolla immobiliare? Colpa di Rubin e Summers", intervista a Vernon Smith, Vittorio De Rold, Il Sole 24 Ore, 11 novembe 2008 «La madre di tutte le bolle speculative sugli immobili americani è stato il varo del "Tax Relief Act" del 1997, una norma chiave firmata dal presidente Bill Clinton, voluta da Robert Rubin, segretario al Tesoro e da Lawrence Summers, allora sottosegretario e oggi in lizza per la poltrona dell’Economia con il presidente eletto Barack Obama»: a puntare il dito sul team democratico è Vernon Smith, premio Nobel per l’economia nel 2002
"La bolla immobiliare? Colpa di Rubin e Summers", intervista a Vernon Smith, Vittorio De Rold, Il Sole 24 Ore, 11 novembe 2008 «La madre di tutte le bolle speculative sugli immobili americani è stato il varo del "Tax Relief Act" del 1997, una norma chiave firmata dal presidente Bill Clinton, voluta da Robert Rubin, segretario al Tesoro e da Lawrence Summers, allora sottosegretario e oggi in lizza per la poltrona dell’Economia con il presidente eletto Barack Obama»: a puntare il dito sul team democratico è Vernon Smith, premio Nobel per l’economia nel 2002. «Il provvedimento, salutato da una standing ovation da parte delle banche e degli agenti immobiliari, permetteva di rivendere dopo solo due anni di possesso a un altro aspirante proprietario la vostra casa senza pagare la plusvalenza fino a 500mila dollari». Smith, 82 anni portati con baldanza, nato a Wichita, Kansas (dove suo padre, nella Grande depressione, guadagnava un dollaro al giorno) tra i grandi del pensiero economico, preferisce la scuola austriaca di Schumpeter e Hayek. E non ha perso la fiducia nel mercato («che lavora bene ogni giorno, spinto dalla scelte dei consumatori»); per questo chiede meno tasse sugli investimenti per aumentare la competitività e permettere alle persone di cogliere le opportunità. Smith è a Milano, ospite della Fondazione Bruno Leoni, dove ieri ha tenuto una conferenza a Palazzo Clerici dal titolo polemico: «Crisi finanziaria: il nemico siamo noi». Nel senso che «ognuno di noi ha contribuito alla bolla, (anche mia figlia ha comprato casa in California), acquistando immobili prima che avessero inizio i lavori per la costruzione e vendendoli poi a qualcun altro che a sua volta sperava di rivenderli a un altro sciocco». «Senza contare Fannie Mae e Freddie Mac, diventati finanziatori immobiliari d’ultima istanza. Così abbiamo aiutato noi stessi, non i poveri». Ma ciò che Smith non accetta è che questa esenzione da plusvalenze da mezzo milione di dollari siano andate a gonfiare i 20mila miliardi di dollari della ricchezza immobiliare americana (oggi a 18mila) mentre nessun altro asset di Main Street - fabbriche, brevetti o azioni - hanno potuto godere delle stesse facilitazioni. «Eppure questi sono gli investimenti che creano ricchezza sia per i ricchi che per i poveri come diceva Adam Smith, non le case che sono consumo». «Questa bolla – a differenza di quella degli anni 90 che creò nuove tecnologie dot.com – è solo frenesia di consumi di case basata su un capitale insufficiente, leva finanziaria e cartolarizzazione di mutui». Come uscirne? Dopo aver bacchettato bonariamente Alan Greenspan («probabilmente ha abbassato i tassi troppo e troppo a lungo») e Warren Buffett («forse ha comprato troppo presto») passa al presidente eletto. «Obama, che è carismatico e gode di un mandato popolare enorme, dovrà ricapitalizzare le banche per ristabilire la fiducia». Ma per far questo «dovrà cedere a sindacati e protezionisti salvando il settore dell’auto a Detroit». Così farà gli stessi errori di Jimmy Carter e Ronald Reagan che impose "quote di import" dal Giappone. «Anche l’ipotetica fusione tra Gm e Chrysler è come se un cieco aiutasse un altro cieco, perché la gente comprerà solo auto migliori a basso prezzo». «La ricchezza americana - conclude - è cogliere opportunità: quando Boston perse le industrie tessili si riconvertì alle biotecnologie. Guardare al futuro, così deve fare oggi l’America».