Un sistema da svecchiare, Salvatore Settis, Il Sole 24 Ore, 11 novembre 2008, 11 novembre 2008
Un sistema da svecchiare, Salvatore Settis, Il Sole 24 Ore, 11 novembre 2008 - L’incesto è tabù in (quasi) tutte le culture umane, ma anche forme più tenui di endogamia sono scoraggiate dalle società complesse
Un sistema da svecchiare, Salvatore Settis, Il Sole 24 Ore, 11 novembre 2008 - L’incesto è tabù in (quasi) tutte le culture umane, ma anche forme più tenui di endogamia sono scoraggiate dalle società complesse. La Chiesa prevede la "dispensa" per il matrimonio fra parenti stretti, giustificata dall’angustia loci, la ristrettezza del villaggio. Nel villaggio (non proprio globale) dell’università italiana, il meccanismo concorsuale ha somministrato la dispensa urbi et orbi, incoraggiando l’endogamia e rendendo obbligatorio il successo del candidato locale. Anche se mancano statistiche ufficiali, non si va lontano dal vero se si suppone che queste facili vittorie vanno oltre il 90% dei casi. Situazione senza paralleli nei Paesi con cui l’Italia dovrebbe compararsi, rivelatrice di un chiudersi su se stessa dell’università italiana: insomma, di un’angustia loci intollerabilmente provinciale. Anche quella sorta di incesto accademico che talora accade (mariti, mogli, figli, generi e nuore che insegnano la stessa disciplina nello stesso dipartimento), scandalo estremo che si presta a speciali attenzioni mediatiche, si spiega solo come ulteriore degenerazione di un costume localistico ormai scontato. Di questi e altri misfatti dell’università si parla anche troppo. Spesso si trascura tuttavia il delitto peggiore: il nostro sistema privilegia l’anzianità nelle liste d’attesa a svantaggio del meritodei candidati, che è criterio unico di scelta in tutto il mondo. Questo processo degenerativo comincia con la legge 382/1980, che con una valanga di "concorsi" ad personam trasformò in ricercatori decine di migliaia di assegnisti e in associati decine di migliaia di assistenti e incaricati (già "stabilizzati" nel 1973): un’"onda anomala", uno tsunami di assunzioni, poi compensata dal blocco del turn over che fermò per anni la carriera dei giovani, costringendo i migliori a lasciare l’Italia. I concorsi localistici promossi da Luigi Berlinguer (1998) hanno ulteriormente radicalizzato questo processo. L’università italiana è così diventata la più vecchia del mondo: i docenti ultrasessantenni sono il 25% (contro il 5% degli Stati Uniti, l’8% della Gran Bretagna, il 13% della Francia), quelli sotto i 35 anni sono meno dell’1% in Italia, contro l’8% negli Stati Uniti, il 12% in Francia, il 16% in Gran Bretagna. L’età media di accesso alla carriera cresce costantemente di circa sei mesi l’anno: nel 1965 si diventava ordinario intorno ai 35 anni, nel 2005 intorno ai 55. Simili effetti avrà il blocco delle assunzioni dal 2005 al 2009 (almeno). Staccatosi dal pianeta Terra, l’asteroide Italia ha innescato un disfunzionale alternarsi di periodici blocchi del turn over e frenetiche promozioni sul campo, spesso fondate sull’anzianità e non sul merito. Questo e non altro è il problema centrale del reclutamento dei docenti. Falso è, per esempio, uno degli articoli di fede escogitati per giustificare ex post i tagli alla cieca della legge 133, e cioè che i docenti universitari in Italia siano troppi. La media nei Paesi Ocse è 15,3 studenti per docente, con punte di 9 in Svezia, 10,8 in Spagna e inGiappone, 12,4 in Germania. L’Italia, con 20,4, è al di sotto di questa media: per raggiungerla dovrebbe incrementare e non bloccare le assunzioni. Inoltre, il "picco" dello tsunami post 1980 è ormai composto di docenti di 60-65 anni, alle soglie della pensione; se non si provvede in tempo, avremo nuove onde anomale, un vuoto di docenti seguito a ruota da un ingorgo. Infine, lo ha dimostrato Paolo Rossi (un fisico che sa fare i conti), il reclutamento nelle nostre università tende a uno stato di equilibrio dinamico, e cioè all’assunzione di un numero grosso modo costante di docenti per ciascun anno di nascita: è palese che ogni blocco delle assunzioni provoca la crescita lineare dell’età media di reclutamento (http://www.df.unipi.it/~rossi/documenti.html). Ecco perché il limite alle assunzioni della legge 133 (una nuova unità di personale ogni cinque pensionati) è doppiamente irragionevole. molto vicino a un blocco totale, dunque destinato a produrre nuovi tsunami; inoltre non è per costi bensì per capita, come nelle decimazioni in guerra: se va in pensione un ordinario in fine carriera (che "vale", mettiamo, 200mila euro) si assume in sua vece un solo ricercatore (che ne "vale", mettiamo, 40mila). Il decreto Gelmini appena varato ha più d’un merito. Distingue nei tagli di bilancio le università virtuose da quelle in rosso (ma il fondo complessivo resta per tutte inadeguato), destina il7% dei fondi a premiare qualità ed efficienza, accresce i fondi per il diritto allo studio (borse e residenze). Sul reclutamento, la soglia della legge 133 viene significativamente innalzata (il 50% anziché il 20), e soprattutto rapportata alla spesa, e non per capita; ma con l’obbligo di destinare almeno il 60% all’assunzione di ricercatori. La decimazione del corpo docente diminuisce, ma resta soprai livelli di guardia. Queste cifre, infatti, non si riferiscono solo ai docenti, ma anche al personale tecnico e amministrativo: se ai ricercatori sarà destinato il 60%, per professori e personale resterà il 40% del 50%, cioè il 20% dell’organico di oggi: un turn over assolutamente insufficiente, che creerà gravi disfunzioni. Ma le quote risparmio da pensionamenti per i soli docenti e ricercatori di qui al 2013 ammontano a 1 miliardo e 324 milioni di euro, e consentirebbero un turn over più in linea con l’Europa. sperabile che questo puntare sui ricercatori non si presti al ripescaggio del ruolo unico della docenza, con accesso solo alla terza fascia e promozioni ad personam alle fasce superiori, sicura ricetta per spedire l’Italia in fondo a tutte le classifiche mondiali. Non c’è una ragione al mondo per cui a 35 anni si possa andare in cattedra a Harvard e Parigi, e in Italia solo aspirare al ruolo di ricercatore. Questo delitto contro il merito non sarà certo perpetrato dal ministro Gelmini. Per uscire dall’angustia loci che ci affligge, occorre garantire la vittoria del merito (e dei giovani) con procedure di marca europea. Le riforme a costo zero, si sa, hanno effetto zero; quelle a meno di zero (cioè fatte dopo massicci tagli) non possono che produrre meno di zero. La spesa pubblica per l’istruzione universitaria in Italia è lo 0,76% del Pil contro la media della Ue (a 27) dell’1,15%, con punte del 2,38% in Danimarca. Individuare gli sprechi, che non mancano (basti ricordare la proliferazione di micro sedi delocalizzate), è necessario. Ma senza dimenticare che la quota complessiva di investimento che il nostro Paese dedica all’università è indegna della nostra tradizione, e coi tagli della legge 133 sarà ancor più inadeguata. Università e ricerca non sono un optional, sono un investimento sul futuro, innescano il circuito virtuoso conoscenza- innovazione- occupazione. Lo ha detto Barack Obama, lo ha capito la Germania che ha stanziato due miliardi in più per l’eccellenza nelle università, la Francia che ne ha stanziato dieci. Per una tradizione che affratella destra e sinistra, pubblico e privato, l’Italia ha paura di investire su università e ricerca. una visione miope del futuro, avvinghiata ai tagli di bilancio. Dobbiamo avere più fiducia in noi stessi, più coraggio e più consapevolezza del valore dei giovani. Da un ministro giovane e dinamico è lecito attendersi linee- guida che aprano una nuova, più costruttiva stagione.