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 2008  novembre 10 Lunedì calendario

Pochi fuori sede: sette studenti su dieci restano in famiglia, Loredana Oliva, 10 novembre 2008 - A Foggia, nata nel 1990 per gemmazione da Bari (e sede autonoma dal ”99), nel 2000 c’erano 27 professori ordinari, oggi sono in 97

Pochi fuori sede: sette studenti su dieci restano in famiglia, Loredana Oliva, 10 novembre 2008 - A Foggia, nata nel 1990 per gemmazione da Bari (e sede autonoma dal ”99), nel 2000 c’erano 27 professori ordinari, oggi sono in 97. E mentre il vertice dell’accademia quadruplicava (o aumentava del 361,9%, per essere precisi), i ricercatori raddoppiavano e gli associati aumentavano del 67,2%, gli studenti, cioè la base su cui poggia tutta l’impalcatura delle cattedre, crescevano a ritmi assai più blandi, mettendo a segno in otto anni un +17,6 per cento. A Foggia, tanto, i conti lo permettono, visto che la quota di finanziamento statale assorbita dagli stipendi viaggia intorno al 74%, quindi lontana dalla soglia massima del 90%. Certo, in un anno è cresciuta di nove punti, ma al futuro qualcuno provvederà. La vicenda, più "antica", della Parthenope di Napoli è ancora più chiara: ordinari a pioggia (+250%), associati in raddoppio abbondante (+127%), conti in crescita (+8% nel solo 2007) e studenti in calo (-2%). Dinamiche simili tornano su e giù per l’Italia, da Cassino a Napoli fino a Sassari, e toccano anche gli atenei più blasonati come l’Alma Mater di Bologna. Numeri come questi raccontano bene la storia del gigantismo universitario, che si è sviluppato nella selva di corsi di laurea nata dal «3+2» (sono 5.073, dopo il record di 5.412 dell’anno scorso, e radunano oltre 180mila insegnamenti) e ha portato l’Accademia italiana sull’orlo dell’abisso finanziario. Perché nell’università del «3+2» è cresciuto tutto: gli ordinari sono aumentati del 32,2% (e il peso dei loro stipendi del 63,7%), due anni fa hanno superato il numero di associati e, senza interventi tempestivi, avrebbero presto raggiunto i ricercatori. Trasformando l’università statale in una struttura rovesciata dai costi impazziti mentre gli studenti (quelli in corso, su cui vanno parametrate le strutture degli atenei) avanzavano con passo assai più tranquillo (dal 2000 a oggi sono aumentati del 10,6%) prima di fermare definitivamente la loro espansione come si vede dai numeri della scuola. E da questi numeri è nata anche la scommessa del Governo, che si è tradotta nel piano in due tempi licenziato giovedì scorso dal consiglio dei ministri. Con il decreto si affrontano i nodi immediati (i ricercatori in attesa) e si alza una barriera contro i conti più in disordine (lo stop assoluto al reclutamento negli atenei che dedicano più del 90% del Fondo di finanziamento ordinario agli stipendi), ma contemporaneamente si mettono in pista misure di più ampio respiro (le Linee guida) finalizzate a dare alle università gli strumenti per ridurre i costi strutturalmente. Sull’esito della scommessa ogni ipotesi è un azzardo, ma al centro dell’agenda del Parlamento ora ci sono i problemi più scottanti del mondo universitario. Le linee guida, che dovranno ispirare i disegni di legge in cui si incarnerà la riforma, puntano infatti l’accento su proliferazione dei corsi, carriere dei docenti e valutazione dei risultati. Anche sul primo punto, a parlare sono le cifre: rispetto all’ultimo anno con il vecchio ordinamento, l’offerta universitaria ha raddoppiato il numero di insegnamenti portandoli alla quota abnorme di 180mila, molto spesso peraltro coperti con retribuzioni aggiuntive riconosciute al personale già di ruolo. Un fenomeno pagato dagli studenti, con la moneta della moltiplicazione di esamiprimadi arrivare alla laurea. Il gigantismo nasce lì, alla base della piramide insegnamenti corsi di laurea-facoltà che ha moltiplicato le cattedre e soffocato i bilanci, soprattutto con le promozioni. E la prova del nove arriva proprio dalle università più in difficoltà: all’Orientale di Napoli sono aumentati gli ordinari e diminuiti i ricercatori, e lo stesso è accaduto a Firenze, Trieste, mentre a Cassino la moltiplicazione degli ordinari avveniva mentre la platea di studenti si assottigliava. L’altro freno, essenziale, deve venire dalla trasparenza nella valutazione che, come chiesto anche dai «requisiti necessari» varati lo scorso anno, deve aprirsi anche alla voce degli studenti. Perché i rettori e gli organi accademici sono nominati da docenti e personale tecnico, e in un panorama opaco questo meccanismo può aver spinto ad assecondare qualche appetito di troppo. Su cui il ministero è ora chiamato a vigilare davvero.