Il Sole 24 Ore, 9 novembre 2008, 9 novembre 2008
"Così posai per Richard", Laura Leonelli, Il Sole 24 Ore, 9 novembre 2008 - Aveva ragione Marcello Mastroianni quando diceva che per Sophia Loren il tempo non passa mai
"Così posai per Richard", Laura Leonelli, Il Sole 24 Ore, 9 novembre 2008 - Aveva ragione Marcello Mastroianni quando diceva che per Sophia Loren il tempo non passa mai. Sempre lei, il suo volto scolpito, la sua voce da cinema, da storia del cinema, e quei suoi occhi meravigliosi da Nefertiti, che hanno guardato dritto al cuore di milioni di uomini e li hanno fatti innamorare. Anche i più freddi. Anche quelli abituati a nascondersi dietro un paio di occhiali spessi. Anche Richard Avedon, il fotografo dei grandi, che ha scelto l’immagine di Sophia e di lui accanto a lei, ritratti allo specchio, per la copertina di Performance, tributo all’artista americano, pubblicato in Italia da DeAgostini, uscito in tutto il mondo a quattro anni dalla scomparsa del maestro, ma fedele al concept, l’idea, dello stesso autore. E l’idea, quell’in più che ha illuminato il senso e la sensualità di questa straordinaria performance fotografica, è stata, con buona pace delle altre attrici ritratte, l’immagine di Sophia Loren, avvolta in una delicatissima vestaglia rosa e in una nuvola di capelli neri, con le mani a sistemarsi i riccioli, belle e sottili come un’ombra cinese. Una diva nel suo divenire tale, una diva che gioca tra realtà e finzione, una diva splendida ancora oggi, pura luce di fotogenia, che in esclusiva per il Sole 24 Ore nella sua casa di Ginevra, ricorda, tra gli infiniti incontri con i più celebri fotografi del mondo, anche quello con Richard Avedon. Roma, 1966, lancio pubblicitario per il film Arabesque di Stanley Donen. Sophia Loren ha già vinto un oscar per la Ciociara, ha già posato per «Life» e Alfred Eisenstaedt nella sottoveste nera di Matrimonio all’italiana, e ha già fatto sognare la metà maschile del pianeta nello spogliarello di Ieri, oggi e domani. Ha trentadue anni e la sua bellezza, come diceva Avedon di ogni vera star, «è la sua opera più grande». Naturale l’incontro tra i due, naturale che non fosse il primo né l’ultimo. «Ho conosciuto Avedon nel 1959, a New York – ricorda la Loren ”. Avevo appena finito di girare Quel tipo di donna di Sidney Lumet e la produzione chiamò Richard per un mio ritratto. All’epoca era il segno della consacrazione, e per questo ricordo ogni dettaglio, io con il fiato sospeso, l’ingresso nel suo studio, quelle scale buie, strette, che non finivano mai, poi si apriva una porta e appariva la scena, tutta bianca, si accendevano le luci, c’era la musica e c’era lui ad accogliermi, un bell’uomo, sempre con i suoi occhiali neri, molto fascino, molta discrezione. Ecco, farsi ritrarre da Avedon è sempre stata una festa discreta, massima eleganza e per questo mi sono abbandonata alle sue mani e ai suoi occhi, senza avere il coraggio di dire niente. E non era un problema di lingua, anche se ero all’inizio della mia lunga storia d’amore con il cinema americano. Era fiducia, ammirazione». Era, all’epoca, una Loren con un meraviglioso e aderentissimo abito rosso, le labbra dello stesso colore e i capelli corti che non conoscevano ancora, almeno in fotografia, il fascino oscuro e seducente dello spettinato. Questione di pochi anni, una folata di vento, il solito fondale chiaro, e Richard Avedon, in camicia bianca e cravatta nera, e Sophia Loren, in abiti di scena firmati Dior, si ritrovano a Roma, un pomeriggio, dopo l’ultimo ciak di Arabesque. «Aveva chiesto lui di fotografarmi con il negligè rosa cipria che indossavo per il film. Una piuma, decisamente, che si muoveva anche solo parlando. Forse per questo Avedon era rimasto così silenzioso, quasi invisibile e a un certo punto me lo sono visto comparire alle spalle, là dove non ammetto la presenza di nessuno, davanti allo specchio, quando mi trucco. Ho imparato da sola a truccarmi e ho imparato i trucchi per diventare più carina. Quindi è una cosa mia, personale, è la mia storia. E invece, eccolo lì, il maestro, a guardarmi, a studiarmi, a vedere come mi cadeva la luce sul viso, sugli zigomi, perché Avedon amava moltissimo i miei zigomi e i miei occhi». Testimone privilegiato di questa giornata particolare è Tazio Secchiaroli, fotografo e amico carissimo della Loren. lui a seguire un passo dietro l’altro, in punta di piedi – «one minute, diceva con il suo inglese mezzo italiano» – la nascita di un’immagine ormai storica. Ed è ancora lui, qualche giorno dopo, a sottoporre alla grande attrice i provini del suo reportage. La censura è un segno a matita, un contorno labbra color mattone. Il giudizio è insindacabile, «no», «ok». E il sì sorprende la diva tra i veli di chiffon, a posare di tre quarti, a seguire quelle «pochissime indicazioni che mi dava Avedon, perché il suo era un gioco in solitario, rapidissimo, in crescendo e io avevo sentito che la sua luce su di me era perfetta. Non chiedevo altro, perché ho sempre avuto un istinto naturale per la luce, è un fatto genetico, la so riconoscere quando mi scivola sul viso, quando mi scalda la pelle, quando "micapisce", al punto da sapere sempre come apparirò sullo schermo. E se la luce è giusta, allora nasce un’immagine». Allora ci si può rincontrare, a New York nel 1970 e a pagina 70 del volume, dopo La contessa di Hong Kong di Chaplin, dopo I girasoli di De Sica, ma soprattutto dopo un figlio, Carlo Jr. La diva che Avedon ritrae è una donna splendida come sempre, ma straordinariamente sciolta, consapevole, libera. Indosso non ha nulla, solo emozione «e quella volta, mi ricordo, la musica l’avevo scelta io, tutto Sinatra, Night&Day, la mia preferita in continuazione, e poi Ella Fitzgerald, Oscar Peterson, la Bossa Nova. E avevo i capelli sciolti, e Avedon mi faceva guardare direttamente nella luce, e poi è arrivato il vento, e allora io mi sono sentita particolare, giusta». Carina, visto che il trucco anche questa volta era perfetto.