Massimo Gramellini, la Stampa 11/11/2008, 11 novembre 2008
Mi unisco al lamento di Pupi Avati per lanciare un timido appello agli scrittori di romanzi, film e fiction televisive: dateci storie a lieto fine
Mi unisco al lamento di Pupi Avati per lanciare un timido appello agli scrittori di romanzi, film e fiction televisive: dateci storie a lieto fine. Non sempre. Qualche volta. E non un lieto fine retorico e spudoratamente roseo. Sporcatelo pure con un retrogusto amaro, perché non esiste successo della vita che non si porti dietro la sconfitta di qualcun altro o di un’altra parte di noi stessi. Però offrite uno squarcio di luce, vi scongiuro. Fateci alzare dal divano o dalla poltrona con lo stesso spirito con cui ci si solleva dal lettino dei massaggi: sconquassati, eppure pieni di vigore. Intendiamoci. Sto parlando di lieto fine. Non di lavaggio del cervello per piazzisti d’ottimismo, come vorrebbero i governanti. E tanto meno di epilogo caramelloso, quella mistura nauseabonda di ciglia umide e frasi da carta dei cioccolatini, di cui certa fiction nostrana è purtroppo maestra. Il bene va raccontato con gli stessi ingredienti usati per raccontare il male. molto più difficile. Però in tempo di crisi ne abbiamo un bisogno disperato. La denuncia degli orrori è sacrosanta ma asfittica: dopo aver visto per l’ennesima volta spadroneggiare la cattiveria e l’ingiustizia, avrò voglia di rinchiudermi ancora di più in un bozzolo opaco di cinismo. Non di uscire per strada a sfidarle. E comunque qui nessuno reclama la dittatura del lieto fine. Ci basterebbe che diventasse una variabile. E che chi lo persegue non venisse considerato dai suoi colleghi un artista minore. Dante, che minore non era, sostò a lungo all’inferno. Ma infine uscì a riveder le stelle. MASSIMO GRAMELLINI PER LA STAMPA DI MARTEDì 11 NOVEMBRE 2008