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 2008  novembre 09 Domenica calendario

"Industria esposta per mille miliardi di dollari", Morya Longo, Il Sole 24 Ore, 9 novembre 2008 - La Federal Reserve ha calcolato che l’83,6% delle banche americane ha ridotto o reso più onerosi ifinanziamenti alle imprese

"Industria esposta per mille miliardi di dollari", Morya Longo, Il Sole 24 Ore, 9 novembre 2008 - La Federal Reserve ha calcolato che l’83,6% delle banche americane ha ridotto o reso più onerosi ifinanziamenti alle imprese. La Banca d’Italia ha stimato che le condizioni di approvvigionamento sono peggiorate per il 43,4% delle aziende. Il Fondo monetario qualche settimana fa aveva ammonito che i "rubinetti" del credito si sono chiusi del 7,3% negli Stati Uniti e di una percentuale di poco inferiore in Europa. Aveva ragione Mark Twain, un secolo fa, quando definì i banchieri come «coloro che ti prestano l’ombrello quando c’è il sole e te lo chiedono indietro quando inizia a piovere». Se servivano ulteriori conferme, eccole qui: i gruppi industriali di tutto il mondo vivono con il cappio al collo. Perché da un lato hanno una montagna di debiti in scadenza: più di mille miliardi di dollari nel 2009 solo di finanziamenti bancari (esclusi i bond) a livello mondiale secondo Thomson Reuters. Dall’altro, invece, hanno banche sempre più "tirate" e un mercato obbligazionario che dà pochi segni di vita. Per fortuna – ha calcolato Société Générale – le imprese hanno ancora un po’ di liquidità disponibile in cassa: 430 miliardi di euro solo le prime 163 aziende del Vecchio continente. Una preziosa bombola d’ossigeno. Insufficiente, però, a salvare tutti. Per capire se esista veramente quello che gli economisti chiamano credit crunch, cioè il razionamento del credito, bisogna partire dai dati. Innanzitutto le scadenze. Come accennato, l’anno prossimo le società industriali avranno una montagna di debiti da rimborsare. Solo negli Stati Uniti, secondo i calcoli di Standard & Poor’s, le aziende dovranno onorare 568miliardi di dollari di bond e finanziamenti bancari entro la fine del 2009. In altri anni questo non sarebbe stato un problema: sarebbe bastato bussare alle porte delle banche o del mercato per ottenere nuovo credito e far fronte alle scadenze. Facile. Soprattutto negli anni in cui il costo del finanziamento continuava a scendere: emettere nuovo debito, infatti, significava ridurre i tassi d’interesse pagati. Ma oggi la vita non è più così semplice. Soprattutto per le società con basso rating, quelle cioè con una situazione finanziaria già debole. Il mercato obbligazionario è infatti diventato – soprattutto per loro – una sorgente secca. Si pensi che in Europa, secondo i dati raccolti da Société Générale, non vengono emesse obbligazioni high yield (cioè a basso rating) dal luglio del 2007. Zero. In America, raccontano i dati di Standard & Poor’s, le società con una situazione finanziaria debole hanno qualche speranza in più: nel terzo trimestre del 2008, per esempio, sono riuscite a raccogliere 4,4 miliardi di dollari. Ma anche qui c’è poco da gioire: i rendimenti di queste obbligazioni hanno toccato proprio l’11 ottobre il record di 1.149 punti base sopra i titoli di Stato. Insomma: anche chi raccoglie, deve pagare tassi d’interesse a due cifre. Per le società con un rating elevato la vita è ovviamente più facile. Ma il costo del finanziamento anche per loro è molto più elevato di un tempo. Per chi non vuole (o non può) percorrere la strada del mercato obbligazionario, non resta quindi che quella delle banche. Ma, come detto, anche questa è in salita. Gli istituti continuano a dire che non ci sono freni sul credito, ma le stime aggregate raccontano una storia diversa. Oltre ai calcoli delle banche centrali e del Fondo monetario, bastano i dati sul periodo gennaio-ottobre raccolti da Thomson Reuters per vedere il credit crunch: in Europa i prestiti sindacati erogati dalle banche alle imprese sono scesi da 1,37 miliardi di dollari del 2007 a 724 milioni del 2008, mentre in America la frenata è stata da 1,8 miliardi a 837 milioni. Un dimagrimento forzato. Per questo gli esperti sono convinti che molte imprese, a livello mondiale, non ce la faranno. Standard & Poor’s prevede che l’anno prossimo il tasso di default sia destinato a salire al 7,6% negli Stati Uniti, in netto aumento rispetto allo 0,97% di fine 2007. Oltreoceano, prevede l’agenzia di rating, dovrebbero finire in bancarotta 125 società l’anno prossimo: 10,4 casi "Parmalat" ogni mese. Solo in America. La Sace stima invece che in Italia le insolvenze societarie cresceranno del 10% quest’anno rispetto al 2007. «E prima della fine del 2009 – commenta nella sua Economic Research – il trend non dovrebbe migliorare». Eppure la situazione è meno nera di quanto possa apparire. Per un motivo: le società industriali hanno ancora tanta liquidità e un po’ di linee di credito a cui attingere per far fronte agli impegni immediati. Uno studio di Citigroup rivela che a fine 2007 esistevano a livello mondiale 6mila miliardi di dollari di linee di credito ancora inutilizzate da parte delle società. Da allora ”riferiscono gli addetti ai lavori – buona parte di questi fondi sono stati usati. Société Générale, in un universo più piccolo composto da 163 società europee, ha però calcolato che queste aziende hanno ancora 163 miliardi di euro in cassa e 313 miliardi di linee di credito ancora aperte: 430 miliardi in totale. Questo potrebbe bastare per un po’. E poi? O le banche restituiranno l’ombrello, oppure tante imprese si bagneranno sul serio.