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 2008  novembre 08 Sabato calendario

Chissà perché quando si dice "poesia", subito si pensa a qualcosa di enfatico, retorico, lacrimoso

Chissà perché quando si dice "poesia", subito si pensa a qualcosa di enfatico, retorico, lacrimoso. "Poetico", appunto. Poco importa che John Keats, un signore che con i versi aveva una certa dimestichezza, ammonisse: «il poeta è la più impoetica delle creature». No, vulgata vuole che a questo appellativo corrisponda chi, senza pensarci troppo, riversa sulla pagina sentimenti patetici, con paroloni il più possibile alti e vaghi. Da qui il radicato cliché - ora rinvigorito da un´apposita iniziativa televisiva di Pippo Baudo - stante il quale siamo tutti, in fondo, dei poeti. Basta palpitare un poco, tirare fuori senza pudori le emozioni che si crede di provare e in un quarto d´ora il componimento è pronto per essere declamato da attori, se possibile più imbarazzanti degli autori stessi. Perché poi meravigliarsi se di fronte al numero esorbitante di chi scrive versi, pochi o punti leggono poesia? Eppure, per sgomberare il campo da ogni equivoco, basterebbe mandare a memoria una paginetta di Wislawa Szymborska, di cui ora Adelphi pubblica le Opere (pagg.1173, euro 70, per l´impeccabile cura di Pietro Marchesani, con il prezioso corredo biografico di Anna Bikont e Joanna Szczesna e una bella conversazione con Federica K. Clementi): «Signora, nella Sua concezione la poesia è solo elevatezza sublime, eternità, sospiro e gemito - con una frequenza che non troveremmo neppure negli album di versi delle giovanette d´inizio secolo. Con tanta ampollosità non si può suscitare nulla nel lettore d´oggi, perfino la persona più intima, sentendo una frase così guarderà in preda al panico l´interlocutrice, dopo di che si ricorderà all´improvviso di avere qualcosa di terribilmente urgente da sbrigare in città. Insomma, vogliamo toglierci le ali e cercare di scrivere a piedi?». Sempre nella rubrica «Posta letteraria», in cui risponde ad autori per lo più esordienti e in smaniosa ricerca di pubblicazione, la grande poetessa polacca invita a diffidare delle Muse (che sono «amorali e capricciose») e a intraprendere piuttosto mestieri slegati dagli umori altalenanti di quelle isteriche, perché «sulle isteriche non si può contare». D´altronde, che male c´è, se in assenza di talento letterario, si rinuncia all´avventura della scrittura e se ne intraprende un´altra, forse ancora più affascinante, quale la lettura? «Datemi una qualche speranza di poter essere pubblicato o almeno un qualche conforto», aveva scritto un altro aspirante poeta. E lei risponde: «Dopo aver letto, dobbiamo optare per la seconda ipotesi. Attenzione dunque, La stiamo confortando: l´attende una sorte meravigliosa, la sorte di lettore, e di lettore della miglior specie, perché disinteressato; la sorte di amante della letteratura, il quale sarà sempre il suo partner principale, ossia non colui che deve conquistare, ma è conquistato. Lei leggerà di tutto per il solo piacere di leggere». In fondo, è quanto la stessa Szymborska fa da una vita intera. Perché la lettura è «il più bel passatempo mai escogitato dall´umanità». La Nostra ne è talmente convinta da spingersi nei territori più insoliti e bizzarri. Perdendosi, se del caso, anche dietro libri futili, perché pure da quelli si possono ricavare informazioni o comunque qualche ora di svago. Nasce così un´ulteriore rubrica, «Letture facoltative», dove la poetessa polacca si esercita su quei testi che per lo più non vengono recensiti, pur essendo spesso tra i più venduti: manuali di ogni risma, libri di divulgazione scientifica, antologie, memorialistica, monografie. Non si tratta di recensioni canoniche, ma delle brillantissime divagazioni di «una lettrice amatoriale, su cui non gravi l´imperativo di un´incessante valutazione». Alla Szymborska bastano poche decine di righe per dar corso al suo personalissimo «lateral thinking», che può prendere spunto da un libro sull´evoluzione dei molluschi come da un tomo sulla storia della pulizia, da una raccolta di fiabe eschimesi come da un prontuario sui giochi in cortile. L´accensione può addirittura aver luogo sfogliando un calendario. «Si tratta infatti di un libro, e grosso per di più, dal momento che non può contare meno di trecentosessantacinque pagine. Fa bella mostra di sé nelle edicole, per un tiratura di tre milioni e trecentomila esemplari: è il bestseller dei bestseller. Richiede agli editori un´inesorabile puntualità, perché nei piani editoriali non c´è modo di spostarlo di un anno o di un anno e mezzo. Dai redattori esige la perfezione professionale, dal momento che il minimo errore potrebbe provocare turbe mentali. Immaginatevi due mercoledì nella stessa settimana o l´onomastico di Enrico nel giorno di san Giovanni! (.) Ci sopravvivranno milioni di libri, una parte considerevole dei quali scritta male, datata e senza senso. Il calendario è l´unico libro che non si prefigga di sopravvivere a noi tutti, che non aspiri a una sinecura sugli scaffali di una biblioteca, è programmaticamente effimero». Alcuni critici - si ricorda nella biografia - sostengono che le poesie di Wislawa Szymborska sono un po´ come le sue prose: trattano questioni apparentemente marginali e sicuramente trascurate. La verità è che qualunque argomento, dal più ordinario al più tragico, può essere condensato in una successione di versi. L´importante è come lo si fa. E nel "come", la Nostra è un´inarrivabile maestra: scetticismo, sobrietà e precisione si fondono in una lingua colloquiale che grazie al costante rovesciamento dei luoghi comuni, osserva Marchesani, «dilata la vista sulla realtà»; compressione del senso e accelerazione della fantasia vanno di pari passo a un gusto sopraffino per il gioco linguistico e a un sorvegliatissimo controllo delle metafore; l´innata predisposizione al ritmo si sposa a un´ironia compassionevole che tiene costantemente a bada il rischio del pathos. Si potrebbe condensare questo lungo lavorìo in un unico concetto, in un´unica parola: «naturalezza». Che è figlia però di un filtro di revisione quanto mai esigente: «pubblico poco perché scrivo di notte, ma di giorno ho la pessima abitudine di leggere ciò che ho scritto, e sono dell´opinione che non tutto resista alla prova di una rotazione del globo terrestre». Per certo quel poco che sopravvive allo spietato giudizio dell´autrice, è un distillato capace di arrivare immancabilmente alla mente e al cuore dei lettori: sempre più numerosi, sempre più entusiasti; in patria e all´estero. Fors´anche per l´enorme simpatia che suscita la postura esistenziale della Szymborska, la quale, a fronte delle dilaganti schiere di improbabili dottoroni che hanno sempre un´opinione su tutto e su tutti, ebbe l´ardire di far ruotare il suo bellissimo discorso di investitura al Nobel su due minuscole parolette: «non so». Lungi dall´offrire apodittiche risposte, la sua poesia infatti è animata dal rovello del dubbio, da domande continue e inevase. Quella poesia non conosce né punti fermi, nè tantomeno punti esclamativi. Semmai i Due punti, come suona il titolo della sua ultima, popolarissima raccolta. Quei due punti segnalano un sentimento costante di apertura e stupore, un senso di grata meraviglia di fronte all´ininterrotto succedersi dei miracoli del mondo: «Un miracolo normale:/l´abbaiare di cani invisibili/nel silenzio della notte/. Un miracolo fra tanti:/ una piccola nuvola svolazzante,/e riesce a nascondere una grande pesante luna». Oppure: «Un miracolo all´ordine del giorno:/venti abbastanza deboli e moderati,/impetuosi durante le tempeste./ Un miracolo alla buona:/ le mucche sono mucche». Basta aprire bene gli occhi, mettere l´orecchio a terra e respirare a pieni polmoni per riscoprire nel consueto l´eccezionale, il miracoloso. Oltretutto l´uomo, malgrado se lo scordi spesso, è un animale dotato di immaginazione. E allora, apposta per lui, ecco «Un miracolo supplementare, come ogni cosa:/ l´inimmaginabile/è immaginabile». Wislawa Szymborska pare non dimenticare mai questo fondamentale assunto. Anche nei momenti di massima malinconia, di massimo dolore. Come nella straziante poesia scritta dopo la scomparsa del compagno, Kornel Filipowicz, e affidata al punto di vista del gatto di famiglia («Il gatto in un appartamento vuoto»). Parca in tutto, e dunque in particolare nello svelare i tratti salienti della propria vita, la migliore definizione di sé ce la dà en passant, in due versi che suonano: «Miei segni particolari:/incanto e disperazione». Proprio da questa coppia di sentimenti contrastanti si irradia l´opera poetica forse più toccante e acuminata di un autore contemporaneo, che noi tutti abbiamo la fortuna di leggere. FRANCO MARCOALDI PER LA REPUBBLICA DI SABATO 8 NOVEMBRE 2008