Raffaele La Capria, Corriere della Sera 11/11/2008, 11 novembre 2008
Tra i ricordi indimenticabili della mia infanzia ci sono i piatti che cucinava Rosaria, la nostra cuoca, che aveva ereditato dalla più antica tradizione partenopea un vero e proprio genio
Tra i ricordi indimenticabili della mia infanzia ci sono i piatti che cucinava Rosaria, la nostra cuoca, che aveva ereditato dalla più antica tradizione partenopea un vero e proprio genio. Il sartù di riso, i maccheroni al forno con polpettine e melanzane, i peperoni imbottiti, la scarola imbottita con ulive, uva passa e pangrattato, il pesce arrosto con l’aceto, le alici al gratin in tortiera all’origano o bollite aglio, olio e limone, i polpettini alla Luciana, la spigola all’acqua pazza, la parmigiana di melanzane, la «scapece » di zucchine (fritte e marinate nell’aceto), i panzarotti imbottiti di prosciutto e mozzarella, le orecchiette di pasta coi broccoli verdi, i fiori di zucca fritti, e la frittata di maccheroni... Ognuno di questi piatti, se riuscissi ad assaggiarne uno coi profumi e i sapori che sapeva mettervi dentro il genio di Rosaria, sarebbe oggi una potente madeleine, suscitatrice di memorie e momenti che le parole non saprebbero mai veramente descrivere. Come si fa a descrivere il rapporto intenso, assoluto, che hanno le papille gustative di un bambino per il cibo di cui è ghiotto? E la felicità che può procurare un buon cibo a quell’età? Ma qui voglio parlare della famosa frittata di maccheroni, piatto che non è tanto facile da trovare, e che bisogna ordinare, al ristorante che conosci, un giorno prima. Ma voglio scriverne la ricetta che mi son fatto ripetere per sicurezza dalla mia amica Paola Carola, figlia di quella Jeanne Carola autrice di un testo giustamente famoso, La cucina napoletana. Dunque, si prepara a parte una salsa di olio d’oliva (100 g) e aglio (tre spicchi, per sei persone). Si fa rosolare l’aglio, vi si aggiungono olive nere di Gaeta disossate, capperi, un filetto di alice salato a piccoli pezzetti, e molto prezzemolo tritato sottile che va versato nell’ olio prima di togliere la padella dal fuoco. Cuocere la pasta, spaghetto classico (De Cecco n. 12). Salare l’acqua. Nota bene: la pasta deve cuocere non 12 minuti ma 8, per essere al dente. Si versa la pasta nella padella dove c’è la salsa, la si condisce, la si fa raffreddare per una mezz’ora. Poi nella padella si fa rosolare prima da una parte, poi dall’altra, e poi, ruotando la padella, anche ai lati, per cuocere bene tutto il contorno. La frittata deve cuocere fino a diventare color del bronzo da ogni parte, dev’essere tutta soda e compatta. Ma si fa presto a dire «si fa rosolare prima da una parte, poi dall’altra» perché questo comporta un’abilità da prestigiatore. Quando è rosolato il fondo bisogna poggiare un piatto sulla superficie non ancora cotta, e con abile mossa capovolgere la padella in modo che il sopra scivoli sotto, così le due facce della frittata saranno entrambe rosolate allo stesso punto di colore. Ma non basta. L’addetto alla padella deve, con diverse torsioni del polso, inclinarla in modo che i bordi della frittata anch’essi rosolino adeguatamente. Sarà tutto perfetto quando la frittata potrà essere paragonata a uno scudo di rame per il colore e la rifinitura dorata. Negli ultimi anni della sua vita mia madre, ultraottantenne, per attirarmi a colazione da lei (avevo sempre fretta e poco tempo per queste visite) mi telefonava e mi diceva: «Ti preparo la frittata di maccheroni!». Quando me lo diceva io ero terrorizzato, perché mia madre era diventata uno stecchino tanto era magra e debole e senza più forze, e come avrebbe fatto a manovrare la padella e a compiere tutte le contorsioni che la frittata di maccheroni richiedeva? Così andavo all’appuntamento qualche minuto prima, per aiutarla nell’eventualità che lei ne avesse bisogno. E ne abbiamo combinati di pasticci insieme con quella padella! Era un miracolo se alla fine, bene o male una frittata, non proprio dorata come richiesto, veniva fuori; era un miracolo se si evitavano ustioni o peggio se il capovolgimento non riusciva e tutto finiva a terra! Ma l’amore di una mamma tutto può e alla fine ci siedevamo a tavola contenti come dopo una battaglia vinta: «Ti piace come mamma ha fatto la frittata di maccheroni? Era così che la volevi? » «Sì mamma, grazie, era buonissima » dicevo sollevato, ora che il pericolo era passato. RAFFAELE LA CAPRIA PER IL CORRIERE DELLA SERA DI MARTEDì 11 NOVEMBRE 2008