Il Sole 24 Ore, "Io le azioni le conto e non le peso" di Paolo Madron, 9 novembre 2008, 9 novembre 2008
Intervista a Francesco Gaetano Caltagirone - "Io le azioni le conto e non le peso" Per via della sua enorme liquidità, un paio di miliardi di euro, Francesco Gaetano Caltagirone si iscrive di diritto agli imprenditori-panda, così rari da fare notizia e salvaguardare la specie in tempi in cui la materia in oggetto, il denaro, drammaticamente scarseggia quasi ovunque
Intervista a Francesco Gaetano Caltagirone - "Io le azioni le conto e non le peso" Per via della sua enorme liquidità, un paio di miliardi di euro, Francesco Gaetano Caltagirone si iscrive di diritto agli imprenditori-panda, così rari da fare notizia e salvaguardare la specie in tempi in cui la materia in oggetto, il denaro, drammaticamente scarseggia quasi ovunque. Sarà anche per questo, cioè perché è bravo a fare soldi, che tutti studiano le sue mosse per vedere quando è il momento di entrare o uscire dal mercato. Diciamo, insomma, che Caltagirone è una sorta di Warren Buffet italico. Prendiamo l’ultimo episodio, Generali: il fatto che il costruttore-editore in queste settimane abbia arrotondato il suo pacchetto comprando ancora, è stato preso per un segno benaugurante. Vuol dire, hanno pensato in molti, che se compra lui possiamo farlo tutti con la ragionevole speranza che si sia finalmente toccato il fondo, ergo più giù non si possa andare. Oracolo di Roma alla stregua dell’oracolo di Omaha? Il ruolo non gli piace, o forse non gli piace essere preso come esempio di chi l’azzecca sempre. Anche se francamente, guardando indietro, la fama non pare immeritata. Non deluda le attese di quanti si chiedono perché è tornato a comprare Generali. Semplice. Il titolo è calato meno delle medie di Borsa e visti i fondamentali ha dei prezzi interessanti, tale da giudicarlo conveniente. Dove vuole arrivare? Non lo so, ma non certo a scalare le Generali. La cui capitalizzazione dieci giorni fa ha superato quella di Axa e Allianz, inorgogliendo il già fiero petto di Antoine Bernheim, un tempo criticato per la sua gestione poco audace. Meglio una gestione prudente che resiste alle crisi piuttosto che una garibaldina che poi si sgonfia, non le pare? Vedo che lei a Trieste fa molto asse con De Agostini. Per noi c’è un denominatore comune con De Agostini ma anche con gli altri soci privati. Portiamo in una società tradizionalmente ben gestita un piccolo quid di novità, una visione più privatistica dell’azienda. Le contestazioni sulla governance che infuriavano a inizio anno sono un lontano ricordo? La governance non è un vestito buono per tutte le situazioni. A me per esempio non piace il duale perché allontana gli azionisti dalla società interponendo un altro organismo. Sta pensando a qualcuna in particolare? No, penso solo che le aziende che enfatizzano il ruolo dei manager più che a proprietà diffusa siano senza proprietario. Credo che la proprietà abbia una funzione, e quindi che il problema sia come il management si rapporta ad essa. Troppo rampantismo? Non mi piacciono i manager che hanno l’ossessione dei risultati a breve, ma quelli che hanno una prospettiva meno ansiogena. Simile a quella che ha portato le Generali a capitalizzare come nessun altra assicurazione al mondo, cinesi esclusi. A Trieste lui indossa il cappello dell’assicuratore, a Siena quello del banchiere. Visto che disastro le banche? Dopo il fallimento di Lehman Brothers sono diventate tutte più prudenti, circola pochissima liquidità, e quella che circola la investono obbedendo a rischi minimi. Poi c’è un problema di fiducia, perché non si capisce ancora bene quanto banche e istituzioni finanziarie siano contagiate dalla peste. Infatti, tanto per non correre rischi, tutte alzano le soglie di capitalizzazione, almeno in Europa e America. Uno dei criteri fondamentali di Basilea è che chiunque presti soldi degli altri deve averne una parte come capitale proprio, il famoso Tier 1. Ma stabilire in assoluto una soglia minima non ha senso, è chiaro che il dato dipende dalla qualità dei crediti. Se ho prestato male i miei soldi non basta né il 6 né l’8 né il 15. Se invece ho avuto una condotta corretta vanno bene i criteri di Basilea sin qui seguiti. Cosa ne pensa dello Stato banchiere? Lo Stato banchiere è un retaggio del passato. Piuttosto penso a uno Stato che interviene senza entrare nella proprietà ma agevolando il rapporto tra banche ed economia reale. Mi pare che in questo senso il governo stia andando nella giusta direzione. Ciò non toglie che il Montepaschi abbia un Tier1 tra i più bassi del sistema. Montepaschi ha appena fatto una importante acquisizione e concordato prima con Bankitalia i criteri per ricapitalizzarsi con un programma di dismissioni. Fin che non si realizzano, è chiaro che gli manca qualcosa. Ma sono piuttosto fiducioso. Ma lei una banca se la comprerebbe adesso che si sono allentate le barriere con l’industria? Lo statuto del Monte prevede che io possa arrivare al 5. Un privato può avere fino al 15, ma sopra il 5 deve essere autorizzato. E poi scusi, nel caso del Montepaschi la fondazione ha il 58 per cento. L’ultima fondazione padrona, l’ultimo dei moicani. L’unica fondazione che detiene la maggioranza assoluta del capitale. E per quanto se la terrà? A Siena tengono molto al controllo della banca. D’altronde lo hanno da 5 secoli. I banchieri che hanno sbagliato devono andare via? Chiunque abbia sbagliato deve pagare, soprattutto se rischia denaro degli altri. Detto questo, mi pare che i banchieri italiani siano stati migliori di quelli stranieri. In questi giorni non ha comprato solo Generali, ha anche incrementato la sua quota in Acea. Abbiamo superato il 5% a fronte di una soglia massima che per statuto è all’8 per cento. In realtà qualcuno dice che siete già al 7,5 per cento. Diciamo che ci stiamo avvicinando. Anzi, ci siamo quasi. Contento dell’investimento nella municipalizzata? un’azienda che va molto bene. Finora si è occupata di acqua e energia, adesso è corteggiata per investire anche nel gas in combinazione con un partner estero. Questo deve avvenire senza ridurre in alcun modo la sua presenza nell’elettricità. Farlo sarebbe un grave errore. Ha visto come litigano tra loro le municipalizzate quando cercano di sposarsi? Quando la politica si intromette per un privato può essere un problema. L’importante è che le scelte siano improntate a criteri economici e non politici. Ogni volta che la politica tende a prevaricare noi ci mettiamo di traverso. Dicono che quando compra lei allora vuol dire che si può tornare a farlo. davvero il momento? Non sono un profeta. So solo che quando si compra non si può pretendere di farlo ai minimi ma bisogna mediare. Non sono convinto che siamo arrivati al fondo della crisi, ma che ci siano dei settori i cui fondamentali giustificano l’acquisto. C’è un settore dove non metterebbe un euro, e non mi dica i giornali perché sarebbe troppo facile e ci faremmo la figura dei masochisti. Sapesse quanto glielo direi volentieri, specie di questi tempi. Battute a parte, noi abbiamo investito in assicurazioni, banche, utilities, cemento, editoria e immobili. Ci aggiungerei l’alimentare e, con discernimento, il farmaceutico. Invece cosa eviterebbe come la peste? La tecnologia sofisticata, che magari sul breve rende molto ma poi è facile a sgonfiarsi. E l’auto. In Telecom ci metterebbe qualche soldo? Sul titolo specifico non ho elementi per risponderle. In generale, mi sembra un settore dove il boom è alle spalle. I margini dei telefonici tendono a ridursi in tutto il mondo, meno che sui mercati emergenti Si ritiene più bravo a vendere o a comprare? Gli affari si fanno comprando. Eppure lei è un grandissimo venditore. In Rcs, per esempio, è l’unico che ci ha guadagnato. Sono uno che ha comprato a prezzi bassi, non si è innamorato del titolo, e ha capito quando era il momento giusto di venderlo. Anche perché era libero da patti di sindacato e vincoli da salotto buono. A me interessa il ritorno economico, non il potere. vero che era arrivato all’8% di Rcs? Mi pare che dichiarammo poco più del 5, in ogni caso non superai il 7,5. Comprai a 0,60 euro e vendetti tra i 6 e i 7 euro. Un titolo come Rcs ha una componente economica e una politica, nel momento in cui quest’ultima ha prevalso io ho venduto. Se UniCredit vendesse la sua quota in Mediobanca potrebbe interessare l’oggetto? Non ci ho mai pensato. Ci pensi adesso. Un investimento dipende dal momento e dal prezzo. Mediobanca è un’azienda ben gestita e ben patrimonializzata, dunque sulla carta è interessante. I salotti buoni del Nord, per snobismo o paura, l’hanno sempre tenuta un po’ al margine. Ci ha sofferto? Sono abituato che quando faccio le cose c’è sempre qualcuno a cui non sta bene. Ma se si eccepisce sul blasone la cosa non mi tocca. Invece quando c’è una concorrenza seria mi preoccupo. A proposito di salotti buoni. Pochi sanno che a suo tempo lei tentò di comprare la Montedison. Non esageriamo. All’epoca Mediobanca progettava per Montedison la fusione con Falk in modo da rafforzare la sua presa. Io avendo intuito che era sotto attacco andai a trovare Vincenzo Maranghi e gli dissi: noi abbiamo il 6% di Montedison, e se siete d’accordo possiamo salire ancora. La società possiede attività finanziarie come la Fondiaria di cui potete essere i naturali gestori e attività industriali che potremmo seguire noi. E Maranghi cosa le ripose? Con un sorriso mi ringraziò dicendomi però che Mediobanca sapeva bene come difendersi da sola. Io uscii da piazzetta Cuccia pensando: questi non hanno capito che i tempi sono cambiati. Poi arrivò l’attacco e tutti ci telefonarono per avere le nostre azioni Montedison. Io per non schierarmi detti mandato alla Merrill Lynch di venderle frazionate. Facemmo una plusvalenza stratosferica. C’è qualcosa che con senno di poi non comprerebbe più? Blu, la società di telefonia mobile. Pensavo Bnl, non per i soldi che ci ha guadagnato ma per il rumore che ha contornato la vicenda. Fu una delle tante buone operazioni finanziarie realizzate quell’anno, ma non l’unica. Bnl era una questione di principio. In un paese democratico non esistono azionisti di serie A e azionisti di serie B. E un certo mondo che ti dice: «Quella cosa interessa a me, scansati» non deve esistere. Il risultato di questa concezione oligarchica dell’economia tende a sancire rendite di posizione inaccettabili. Lei definì maliziosamente Bnl un’operazione di sistema. Veramente questa espressione me l’hanno messa in bocca altri, io non l’ho mai usata. Detto questo, io non sono per pesare le azioni, ma per contarle. E il sistema che dice il contrario è un sistema iniquo e inefficiente. vero che aveva fatto un’offerta fantasmagorica per La Stampa? Non ho mai fatto offerte per La Stampa né ci sono state trattative ad alcun livello. Ho solo mandato un messaggio alla Fiat che, se avesse deciso di vendere, io ero interessato. Mercoledì scorso Repubblica l’ha presa a schiaffi, dipingendola come un cementificatore delle periferie di Roma. E io che pensavo, vista l’intesa con cui avete gestito la nomina del nuovo presidente della Fieg, che lei e De Benedetti andaste d’amore e d’accordo. Accetto le opinioni di tutti, ma non che si falsifichi la realtà. Il gruppo di cui sono a capo mai ha posseduto un terreno che da non edificabile è diventato edificabile, né mai ha fatto richieste in tal senso. Uno dei motivi di divergenza con la giunta Veltroni era perché questo avveniva e noi eravamo contrari. Quindi non ho capito se mescolarci ai concorrenti che criticavamo è stato fatto su commissione o per sporcare la mia immagine. Sicuramente non è stato fatto in buona fede. A proposito. Da dove nasce quel suo attacco violento a Roma che assomiglia a una metropoli con le favelas, letto come un siluro alla passata giunta Veltroni? Non era un attacco diretto a qualcuno, ma solo il frutto della grande amarezza di chi vede che le cose a Roma non sono come le aveva immaginate, una decadenza comune per altro a molte città italiane. Nonè un problema di Veltroni e di Roma, è un problema del Paese, purtroppo. Il mio era un richiamo a lottare contro il declino. Nella campagna elettorale per il rinnovo del sindaco lei si era espresso per una discontinuità. Passati cinque mesi la discontinuità è arrivata? troppo presto per poterlo dire. Quanto calerà ancora il mercato immobiliare? Andrà a paralizzarsi. Noi abbiamo abbassato i listini del 15% e per 3/4 anni probabilmente non adegueremo i prezzi all’inflazione. Il combinato disposto tra ribassi e mancato adeguamento all’inflazione porterà a un calo del prezzo reale del 30%. In più ci metta anche un ulteriore sconto dovuto al calo dei tassi di interesse. La crisi degli immobiliaristi del nord, Zunino in primis, non le ha dato il destro per comprare a manbassa? Un calo del 30% reale sul prezzo degli immobili porta a un calo di quello del terreno del 70%. I prezzi richiesti attualmente per le aree sono destinati a forti ribassi. Visto che non è un mistero che le abbiano chiesto di entrare in Alitalia mi dice perché ha rifiutato? Beh, tutto non si può fare. E poi è un’azienda con dei problemi seri, per salvarla bisogna avere una governance molto forte e non guardare in faccia nessuno. Non credo che un azionariato così diffuso corrisponda allo scopo. E poi soprattutto non credo che un Paese possa avere due hub. Detto questo, faccio molti auguri a chi si dovrà cimentare con questa sfida e mi auguro per l’Italia che la possa vincere. Il 14 avete un consiglio di amministrazione sui primi nove mesi. Le province del suo impero stanno soffrendo molto? C’è una bella crisi reale in tutti i settori dove operiamo: immobiliare, cemento, pubblicità. I prossimi mesi, inoltre, non si prevedono certo più positivi. Sicuramente, con la liquidità che ha il gruppo potremo in compenso cogliere delle belle occasioni per diventare più grandi e competitivi quando la crisi sarà finita. Contento del governo Berlusconi? Sono contento che gli italiani abbiano la percezione di essere governati. La democrazia si fonda sul consenso popolare, ma una volta eletto qualcuno deve poter governare. L’impressione è che questo governo voglia farlo senza cadere prigioniero dei soliti veti. Ma a suo genero consiglia di andare di qua, di là, o stare al centro dov’è adesso? Ho una regola: io non mi occupo della politica di Pierferdinando Casini e lui non si occupa dei miei affari. Lei è uno degli uomini più ricchi del mondo secondo la classifica di Forbes. Facendo appello alle origini siciliane della sua famiglia, volevosapere se per lei è meglio comandare o fottere. Ma può anche rispondermi, come diceva l’indimenticato Remo Gaspari, che a forza di comandare si fotte. Per me il potere economico deve essere indipendente da quello politico e viceversa. Io mi occupo di economia e guardo alle cose prescindendo dal potere. Quando avevo vent’anni mi sarebbe piaciuto fare politica ma la mia vita ha preso un’altra strada. I soldi però danno potere, e lei ne ha molti. Sì, ma io detesto l’arroganza del potere, specie quando si esercita per schiacciare gli altri. Più che avere potere ci interessa che altri non lo abbiano su di noi. Lei ricorda Citizen Kane: protocapitalista, self made man con amore per l’arte, i giornali…si riconosce? Non lo so, sicuramente, dato che mio padre è morto quando avevo 4 anni e avendo mia madre dovuto subire molti bastoni tra le ruote, so cosa significa il potere e quanto è ingiusto quello dell’uomo sull’uomo. Per questo, ed è il motivo per cui mi piace avere dei giornali, sono sempre pronto a difendere qualcuno che di quel potere è vittima. Non dica che lei non usa i suoi giornali per di fendere il suo di potere... Io sono convinto che un giornale non dovrebbe parlare né bene né male del suo editore. Non dovrebbe parlarne proprio. So che è un principio teoricoma dovrebbe essere così. I suoi giornali però parlano di lei Infatti ho premesso che il principio è teorico. ****** Lettera di Alberto Statera a proposito dell’intervista di Madron a Caltagirone. Il Sole-24 Ore, martedì 11 novembre Nell’intervista a Francesco Gaetano Caltagirone pubblicata sul Sole-24 Ore del 9 novembre, la domanda di Paolo Madron sulla cementificazione delle periferie romane, relative a un mio articolo sulla Repubblica, rivela una concezione del nostro mestiere purtroppo diffusa, ma che non mi appartiene. Non so se l’ingegner Caltagirone e l’ingegner De Benedetti vadano «d’amore e d’accordo», come scrive Madron. Se così fosse ne sarei lieto, ma ciò non interferirebbe né ha interferito con il mio lavoro e le mie opinioni. Quanto alle affermazioni dell’ingegner Caltagirone, che ha letto nel mio articolo cose mai scritte, vorrei informarlo, insieme ai lettori del Sole-24 Ore, che io non scrivo «su commissione» di nessuno, come spero non facciano i giornalisti delle sue numerose testate. Infine, sulla «buona fede» mia e su quella dell’ingegner Caltagirone, sarà un tribunale a giudicare. Alberto Statera de