Alessandro Mangiarotti, Corriere della Sera 11/11/2008, 11 novembre 2008
MILANO
Per dirla come Alessandro Montemaggiori, ornitologo e consulente dell’Ente dell’aviazione civile, il rischio di
bird strike esiste da quando gli aerei hanno iniziato a «invadere gli spazi degli uccelli»: «Il primo incidente risale al 1903». Da allora s’è provato di tutto negli aeroporti per tenere lontano il pericolo: «Cannoncini a gas e lanciarazzi, fasci di luce e allarmi acustici, persino falchi liberati in volo per marcare il territorio». Aumentano però i voli e insieme gli uccelli: «Gabbiani e storni in testa, che hanno imparato a vivere sfruttando l’uomo». E così il numero di bird strike continua a crescere: 708 gli impatti nel 2007, quasi due al giorno, di cui 546 avvenuti sotto i 300 piedi di quota, quindi vicino agli aeroporti. Nel 2003 erano stati 342 (267 sotto i 300 piedi). «Solo l’1% degli incidenti gravi è riconducibile però a questa causa», sottolinea Montemaggiori.
I dati, leggermente più bassi rispetto ad altri Paesi Ue, sono contenuti nella relazione del
Bird strike committee Italy dell’Enac. Fiumicino guida la classifica degli impatti: 86. C’è poi Malpensa: 68. Ma sono in assoluto gli scali costieri quelli più a rischio, con Venezia (33) e Trapani (27) in testa. Come ci sono aeroporti più o meno esposti al pericolo, così ci sono momenti del volo più delicati. Spiega il presidente dell’Agenzia nazionale sicurezza volo Bruno Franchi: «Il 90% degli impatti si realizza all’interno o vicino agli aeroporti. Soprattutto durante le fasi di atterraggio e decollo». Dice il rapporto Enac: 158 quelli avvenuti in atterraggio, 111 in decollo. «Gli aeroporti del resto costituiscono un habitat ideale per molte specie di uccelli». Gabbiani
in primis: causa di bird strike nel 29% dei casi. Seguono i gheppi (16%), quindi rondini e rondoni (12%).
Ogni aeroporto è preso però di mira da specie diverse. Ci sono così regole valide per tutti mirate a creare un ambiente non favorevole agli uccelli: «Erba alta all’interno degli scali, banditi specchi d’acqua e discariche dentro e fuori», afferma Montemaggiori. E norme studiate ad hoc: «Razzi che esplodono a distanza facendo rumore e luce, allarmi acustici che riproducono il richiamo di pericolo di una particolare specie». Gianni Di Lenardo è un falconiere e nel 1986 ha importato in Italia il sistema brevettato quarant’anni prima dalla Royal Air Force: «Usare i falchi, pellegrino e sacro, per tenere lontani gli altri uccelli». Dal 2000, nei cieli del Marco Polo di Venezia, Di Lenardo fa volare ogni giorno quattro dei suoi 10 falchi: «Due al mattino, due al pomeriggio. Quando c’è un avvistamento li lasciamo liberi, poi li richiamiamo ». Il risultato: «Siamo passati da due-tre impatti a settimana a uno ogni dieci giorni, considerando però anche il passero che finisce su un parabrezza».
Alessandra Mangiarotti