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 2008  novembre 11 Martedì calendario

Nei telefoni in Italia la concorrenza c’è e si vede. Sia nel fisso che nel mobile e nell’accesso a Internet

Nei telefoni in Italia la concorrenza c’è e si vede. Sia nel fisso che nel mobile e nell’accesso a Internet. Molto spesso però l’abbondanza e la complessità delle offerte commerciali volutamente o no creano confusione tra i consumatori generando la famigerata «giungla tariffaria». E dato che la recessione spinge singoli e famiglie a fare economia, magari anche là dove prima ci si poteva concedere qualche distrazione, tanto più si sente l’esigenza di scegliere la bolletta più coerente con il proprio portafoglio. Sulla base di dati e metodologie utilizzati dall’Autorità per le Comunicazioni (Agcom), abbiamo così provato a confrontare i prezzi dei principali operatori nei due campi di offerta più affollati: la telefonia mobile e le formule «integrate» telefono più Internet. Il metodo scelto è quello adottato dall’authority britannica Ofcom e ritenuto valido dall’autorità italiana: e che consiste nel definire tre tipologie di consumatori (i «basket», panieri, secondo la terminologia anglosassone) e identificare le varie offerte sul mercato in modo da confrontare i prezzi e mettere a fuoco le proposte più convenienti. Qualche avvertenza è indispensabile. Per ogni operatore il dato di spesa mensile è relativo alla media dei tre principali piani tariffari. Inoltre si è assunta una durata media di due minuti per conversazione, indicazione suggerita dalle statistiche più consolidate, e che viene utilizzata anche dagli istituti di ricerca specializzati. Non sono stati considerati i piani tariffari in abbonamento, che, a differenza degli altri Paesi europei, in Italia rappresentano una quota modesta delle linee: solo il 12% a settembre 2008. Né sono state contate le molte opzioni e promozioni presenti sul mercato, la cui analisi avrebbe reso impossibile un confronto omogeneo. Infine, nelle chiamate internazionali, sono stati riportati i prezzi relativi a chiamate in Europa. Abbiamo ipotizzato una coppia con bassi consumi che non manda sms e totalizza complessivamente 60 minuti di telefonate al mese, una famiglia con due adolescenti (300 minuti) e un single con alti consumi (380 minuti). Dal confronto si ricava che H3G è l’operatore più conveniente per il primo «basket», cioè per chi telefona poco; mentre Wind ha le offerte economicamente più vantaggiose sia per la famiglia di quattro persone che per il single. Infatti la coppia spende 10,2 euro mensili con H3G, 11,6 con Wind, 12,3 con Vodafone e 15,5 con Tim. La famiglia con i due figli adolescenti 87,4 euro con Wind, 89,9 con H3G, 98,8 con Vodafone e 116 con Tim. E il single 94,9 euro con Wind, 101,6 con H3G, 110,2 con Vodafone e 136 con Tim. Da questo confronto – pur con i limiti e le avvertenze ricordati’ emergono comunque alcune cose molto chiare. La prima è che la concorrenza nella telefonia mobile è molto forte, visto che la differenza di prezzo può superare addirittura il 50%. In secondo luogo Wind si caratterizza come la compagnia low cost della telefonia mobile. H3G ha un profilo simile, ma punta su una competizione di servizio e non solo di prezzo: è stata la prima a lanciare l’Umts, offre la tivù mobile con standard Dvb-h (come anche Tim e Vodafone), fa un marketing innovativo che consiste nel quasi regalare (in gergo sussidiare) il telefonino. Una strategia che tuttavia finora non l’ha premiata. Se Wind è Ryanair, Tim e Vodafone sono le compagnie di bandiera. Tim resta la più costosa. E questo sembra confermare la buona reputazione e la fedeltà al marchio di cui gode presso il pubblico. Mentre Vodafone riesce a collocarsi in uno spazio intermedio tra low cost e offerta di qualità, probabilmente cogliendone i vantaggi in termini sia di quote di mercato che di redditività. Fin qui la telefonia mobile. Ma altrettanto interessante è il confronto tra le offerte integrate telefono- Internet. Dove le compagnie low cost sono almeno tre: Tiscali, Tele 2 (gruppo Vodafone) e Wind Infostrada. E le compagnie di bandiera sono Telecom Italia e Fastweb. Diversamente dalla telefonia mobile qui non c’è un price leader e le differenze tra offerta e offerta, anche tra low e high cost, sono più basse. Anche in questo caso abbiamo identificato tre profili di consumatori: una coppia di anziani con bassi consumi che totalizza 225 minuti al mese, una coppia giovane con due bambini e consumi medi (650 minuti) e una coppia con due figli adolescenti e alti consumi (880 minuti mensili). Qualche avvertenza: sono state considerate solo le offerte base, la navigazione Internet sempre a tariffa piatta e chiamate di tre minuti. Così, secondo i nostri calcoli, la coppia anziana dovrebbe spendere 36,5 euro al mese con Tiscali, 36,8 con Tele 2, 39,2 con Wind Infostrada, 43,7 con Telecom Italia e 47,2 con Fastweb. La coppia giovane con due bambini 56,1 con Tiscali, 56,4 con Tele 2, 56,1 con Wind Infostrada, 64 con Telecom Italia e 67,8 con Fastweb. E infine la coppia con adolescenti spende 70,5 con Tiscali, 70,8 con Tele 2, 69,5 con Wind Infostrada, 77,4 con Telecom Italia e 83,1 con Fastweb. Come si vede insomma anche nella telefonia fissa ci sono due aziende, l’ex monopolista e Fastweb, che puntano su qualità, marchio, reputazione e possono praticare prezzi un po’ più alti. Fastweb, di proprietà della svizzera Swisscom, si conferma come l’operatore più caro ma anche più innovativo e tecnologico; quello tra l’altro con il più elevato numero di accessi diretti in fibra ottica d’Europa. Da entrambi i confronti emerge in conclusione che al complicarsi delle offerte commerciali corrisponde in realtà una semplificazione progressiva del mercato, una più netta definizione dei singoli operatori. Grazie all’authority, la possibilità di cambiare operatore conservando il proprio numero funziona piuttosto bene, a vantaggio dei consumatori e della concorrenza. Se nel mobile Tim e Vodafone mantengono posizioni forti, è anche perché hanno saputo farsi percepire come enormi comunità di clienti. Ma anche nel fisso, dove l’eredità dell’operatore dominante è più forte, oggi c’è più concorrenza. Basta considerare la diminuzione della quota di Telecom Italia negli accessi fisici alla rete fissa, scesa dal 94% all’84% tra il 2005 e il primo trimestre 2008. Un dato sempre alto, certo, ma che va corretto al ribasso alla luce del fatto che nelle zone d’Italia in cui l’unbundling (affitto della rete) è disponibile da più tempo, ad esempio Milano, Torino e Roma, la quota Telecom è di parecchio inferiore e scende in qualche caso sotto il 50% del mercato. Intanto Telecom Italia ha chiesto di ritoccare il canone del telefono fisso al dettaglio di 1,26 euro, portandolo da 12,40 a 13,66 euro mensili Iva esclusa. E, contestualmente, di aumentare di 1,7 euro per linea il canone all’ingrosso, cioè quello applicato dall’ex monopolista ai concorrenti per l’uso della propria infrastruttura: da 7,6 a 9,3 euro. L’Agcom ritiene che l’aumento del canone all’ingrosso non possa essere più alto di quello applicato alle famiglie. Perché in tal caso si ridurrebbe la possibilità per i competitor di proporre ai clienti offerte migliorative; e dunque si restringerebbero gli spazi della concorrenza. La questione, già affrontata la settimana scorsa, sarà discussa nel prossimo consiglio dell’authority che si terrà domani. A quanto si sa, la materia potrebbe richiedere maggiori approfondimenti, con un probabile rinvio della decisione. La previsione comunque è che Telecom dovrà abbassare le proprie pretese, come richiesto anche dalle associazioni dei consumatori. Edoardo Segantini Tempi agitati per l’Autorità delle Comunicazioni, ammesso che ce ne siano mai stati di tranquilli. Molti i dossier aperti, a parte il canone Telecom (di cui si parla nell’altro articolo): i prezzi degli sms, del traffico dati e la reale velocità dei collegamenti Internet. Una crescente pressione dell’opinione pubblica, che la crisi economica accentua. Insomma molto lavoro per una struttura che accusa un aggravio di compiti e un’insufficienza di risorse. Intanto dal 1˚ gennaio partirà il call center per i consumatori ed è atteso, sempre a breve, il varo di una nuova sezione del sito Agcom con il confronto tra le offerte tariffarie. Tra l’authority e l’eurocommissaria Viviane Reding si è aperto un disaccordo sulle tariffe di terminazione mobile, quelle che gli operatori incassano per ogni telefonata che termina sulla propria rete. Le posizioni sono distanti: per il triennio 2008-2011 la Reding chiede una riduzione del 70%, l’Agcom del 35%. «L’ispirazione che muove noi e Bruxelles è assolutamente identica’ dice il presidente dell’Agcom Corrado Calabrò ”: entrambi partiamo da una valutazione attenta e controllata dei costi sostenuti dalle imprese. Quel che diverge è la modulazione dei tempi e dei modi». In altre parole, dice l’Agcom, «la tutela degli interessi dei consumatori non deve tradursi in provvedimenti insostenibili per il sistema delle imprese e dannosi per l’equilibrio competizione-innovazione». Altrimenti si rischia di ottenere lo stesso effetto della legge Bersani che ha sì eliminato la voce «costi di ricarica», ma in modo tale da spingere alcuni operatori ad aumentare subito altre voci.  quello che gli inglesi chiamano effetto waterbed (materasso ad acqua): spostando il peso da una parte, il liquido va dall’altra. In quell’occasione si è creato uno squilibrio concorrenziale che ha finito in qualche modo per favorire i due big, Tim e Vodafone, che hanno potuto rinviare l’aumento dei prezzi a un secondo momento, cioè all’agosto scorso; mentre gli operatori più deboli si sono trovati in difficoltà a sostenere un mutamento che ribaltava i loro piani industriali. L’Agcom ha poi avviato, insieme all’Antitrust di Antonio Catricalà, un’indagine conoscitiva che riguarda il prezzo degli sms. Attualmente costano 15 centesimi a singolo invio e sopra i 164 caratteri scatta il secondo sms. La questione è stata sollevata dall’autorità francese, secondo la quale i nostri messaggini sono i più cari d’Europa. «Da un primo esame – dice Calabrò – sembrerebbe che non sia esattamente così. Comunque ai risultati dell’indagine conoscitiva seguiranno misure conseguenti. Intanto l’indagine rappresenta già di per sé una moral dissuasion ad applicare prezzi ingiustificati». L’altra bolletta sotto osservazione è quella del traffico dati mobile, che interessa in particolare i possessori di iPhone e simili: un’élite del mercato, per ora, ma in forte crescita. Le associazioni dei consumatori hanno denunciato bollette-choc. L’Agcom sta valutando provvedimenti come la richiesta agli operatori di inserire «sistemi d’allarme» che avvertano l’abbonato quando sta superando una certa soglia di spesa. «A breve – dice il presidente dell’Agcom – ci saranno interventi per garantire correttezza e trasparenza». Ultimo, ma non per importanza, è il capitolo dei cosiddetti «20 megabit al secondo », ovvero la velocità di collegamento a Internet reclamizzata dagli operatori. «Troppo spesso – dice Calabrò – non sono 20 mega ma sì e no 6 o 7. Troppo spesso le affermazioni commerciali di alcuni operatori non trovano riscontro nella realtà, come risulta dalle moltissime lamentele che riceviamo. La nostra intenzione è di rendere obbligatoria la comunicazione della reale velocità di accesso al posto di quella di picco». Qui si apre un’altra questione delicata: chi garantisce la correttezza e la veridicità dei dati? Le ipotesi sul tappeto sono due. Una è quella che ogni operatore possa far certificare i propri numeri da un ente abilitato, per esempio dall’Iso di Ginevra. L’altra è che il compito sia centralizzato nelle mani dell’autorità nazionale, nel nostro caso l’Agcom, aumentandone ulteriormente poteri e doveri. Il problema va esaminato anche nella prospettiva della rete di nuova generazione e dei servizi che saranno introdotti, televisivi e non. «Oggi e nel futuro prossimo – dice Calabrò – non basta più occuparsi dell’esistente, occorre creare le regole per un mercato che ancora non c’è. Il problema che si pone è, ancora una volta, di equilibrio tra interessi contrapposti. Chi investe nella nuova rete dev’essere indubbiamente incoraggiato, ma gli incentivi non devono togliere spazio alla concorrenza».