Il Messaggero 9 novembre 2008, 9 novembre 2008
Garattini: "Più merito, meno sprechi: così la ricerca italiana può decollare" di ROBERTO GERVASO LA RICERCA è la nostra Cenerentola
Garattini: "Più merito, meno sprechi: così la ricerca italiana può decollare" di ROBERTO GERVASO LA RICERCA è la nostra Cenerentola. Tutti ce l’hanno in bocca e ne invocano i finanziamenti, ma nessuno, o troppo pochi, mettono mano al portafogli. I politici della ricerca s’infischiano: è la loro ultima preoccupazione. La finanziaria taglia spensieratamente i fondi, tanti protestano, ma niente cambia. Anzi, se possibile, peggiora. Il professor Silvio Garattini, padre, ma non padrone, dell’Istituto Mario Negri, scienziato di gran vaglia, tira malinconicamente le somme della ricerca in un Paese amministrato da una classe politica (destra o sinistra, poco importa) che non sa guardare oltre il proprio naso. Più lungo di quello di Pinocchio. In Italia, si fa ricerca solo all’università? No. In campo biomedico, anche in Istituti scientifici del Servizio sanitario (IRCSS), al Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), all’Istituto Superiore di Sanità, alle Fondazioni di ricerca. La ricerca italiana langue. Ma non è l’ultima del mondo. perennemente in ambasce. Colpa di chi? Certamente dell’Università, in quanto corporazione. Perché? Con i suoi oltre cinquemila corsi di laurea, con la moltiplicazione delle cattedre – ci sono più cattedre di neurologia a Roma che nell’intera Gran Bretagna – e delle sedi, ha drenato tutte le risorse economiche disponibili per pagare stipendi e sostenere spese generali. Conseguenza? I fondi per la ricerca sono scarsissimi. Le responsabilità dei politici? A Montecitorio e a Palazzo Madama i professori universitari sono numerosi. Sa cosa gli manca? Cosa gli manca? La cultura scientifica. Cioè? Non capiscono l’importanza della ricerca per un Paese come l’Italia ricco di risorse umane e povero di materie prime. Non solo… Che altro? La ricerca dà frutti nei decenni. Mentre i politici? Guardano al giorno dopo. E l’industria? Nell’Unione Europea l’Italia è, con il Portogallo, il Paese in cui i privati investono meno (0,45% del PIL contro circa 1,2% degli altri Paesi del Vecchio Continente). Quando è cominciato il calvario della nostra ricerca? L’Italia non ha mai brillato nel sostenerla. Perché? Da noi la cultura è prevalentemente letteraria – giuridica – filosofica. Dopo la guerra, fino agli anni ”70, gli Stati Uniti hanno generosamente finanziato i buoni gruppi di ricerca italiana. Su quella spinta, alla fine degli anni ”80, grazie anche ai progetti finalizzati del Consiglio Nazionale delle Ricerche, la spesa per la ricerca arrivò al 1,4 per cento del PIL, il prodotto interno lordo. Poi? cominciata la stagione dei tagli. Oggi quanto si spende per la ricerca? A malapena l’1 per cento del PIL. Inclusa la spesa universitaria? Inclusa. In quale percentuale? Cinquanta per cento. Cosa si può fare per la ricerca che non è stato fatto? Molte cose, ma ci vogliono soldi. Se ci fossero risorse per tutte le istituzioni? Si potrebbe rilanciare il merito. Quali ministeri hanno fondi per la ricerca? Tutti (Difesa, Ambiente, Agricoltura, Funzione Pubblica, Industria, eccetera). Ma li spendono senza coordinamento. Il gruppo 2003 formato dai ricercatori italiani di ogni disciplina, in tutto, circa 60, ha proposto di staccare la ricerca dei Ministeri per costituire l’Agenzia Italiana per la Ricerca Scientifica (AIRS). Il suo scopo? Coordinare le risorse disponibili per istituire bandi di concorso aperti a tutte le organizzazioni che hanno idee. Chi finanzia oggi, in Italia, la ricerca? Più fondi pubblici o donazioni private? Certamente fondi pubblici, che pagano gli stipendi dei ricercatori, i costi delle infrastrutture e delle spese generali. Queste voci rappresentano circa il 75 per cento dei bilanci delle istituzioni di ricerca. E le donazioni private? In Italia costituiscono una piccola parte del bilancio totale della ricerca. Le due principali charities italiane (AIRC e Telethon) erogano meno di 100 milioni di euro all’anno. Ma queste risorse sono molto ambite. Sì. Perché rappresentano denaro utilizzabile di cui si conosce in anticipo la disponibilità. E il denaro pubblico? Non si sa mai quando arriva. Altre fonti? Le Fondazioni Bancarie che, in molte Regioni, effettuano cospicui interventi. E il cinque per mille? Avrebbe potuto essere una notevole innovazione per la ricerca. Perché non lo è stato? Lo sarebbe stato se non l’avessero distribuito a una miriade di tanti enti pubblici e privati. Per quali ragioni? Ragioni elettorali. stato anche decurtato. Con i ”tetti” è sceso al 3 per mille. Lo Stato ha, dunque, trattenuto indebitamente fondi dei cittadini destinati alla ricerca. Sì. L’ultima finanziaria, quanti euro ha stanziato? Non si sa perché molte somme sono all’interno dei bilanci dei singoli Ministeri. Una cosa è certa. Che cosa? La finanziaria, nel triennio, farà dei tagli che colpiranno chi ha speso troppo e prodotto poco. I tagli devono essere selettivi. I Paesi europei che più spendono per la ricerca? In senso assoluto, quelli asiatici, seguiti dagli USA. E in Europa? L’Italia si colloca al 6° - 7° posto, se si guarda ai valori assoluti. E se si considera la spesa per milione di abitanti? Il nostro Paese scende molto in basso. Gli Stati Uniti restano, comunque, la Nazione guida. Sì, ma Giappone, Cina, India sono, e sempre più saranno, temibili competitori. Singapore ha inviato mille giovani nelle principali Università inglesi ed americane per ottenere il PhD (dottorato di ricerca). Essi dovranno tornare e soggiornare nel loro Paese per almeno quattro anni. Quattro anni? Sì: per trasferirvi le tecniche acquisite. Quanti sono i centri di ricerca in Italia? Qualche migliaio. Chi l’ha fondati? In campo biomedico, molti sono privati. Solo a Milano, fra gli altri, il DIBIT, l’IFOM, l’IEO, l’Istituto nazionale dei tumori, l’Istituto neurologico Besta, l’Istituto cardiologico Monzino, eccetera. L’elenco sarebbe lungo. Quando sono nati? Alcuni risalgono agli anni ”60-’70. Altri, come la Fondazione Humanitas o la Fondazione Multimedica, hanno pochi anni. Lei ha fondato e dirige l’Istituto Mario Negri. Quanti ricercatori vi lavorano? Il personale è di circa 1000 addetti. Quanti i ricercatori? Il 70 per cento. Tutti a Milano? No. 250 a Bergamo e altri 250 a S. Maria Imbaro, in Abruzzo. Quanti ricercatori ci sono in Italia? Circa 2,7 per ogni mille lavoratori. E la media europea? 5,1 Da che cosa dipende il numero dei ricercatori? Dal bilancio per la ricerca. Perché tanti emigrano? Perché trovano più mezzi di lavoro e migliori carriere all’estero. La circolazione dei ricercatori non è, in linea di principio, un male? No. Il guaio è un altro. Quale? I cervelli emigrati non vengono sostituiti da ricercatori stranieri che verrebbero volentieri in Italia. Qualcuno dei nostri torna? Sì. Mantenendo impegni all’estero? Spesso. La ricerca porta pochi voti nelle gerle dei partiti. Sì, ma, alla fine, è un problema di cultura. Cioè? Molti, per ignoranza, hanno paura della ricerca. Pensi alla lotta contro l’energia nucleare, all’impiego degli OGM, alla sperimentazione animale, alle cellule staminali embrionali. più sensibile al problema della ricerca la Destra o la Sinistra? Non vedo molte differenze. E cosa vede? Solo grandi discorsi. vero che rifiutò di fare il ministro della Salute in un governo di sinistra? Il Ministro della Salute non dev’essere un ricercatore. Perché? Un ricercatore è credibile solo se è al di sopra delle parti. I migliori ministri della Salute del dopoguerra? E’ difficile dare giudizi. Chi sono stati? Il socialista Mariotti ha avuto il merito di realizzare il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), caratterizzato da universalità, equità, gratuità. E il ministro Sirchia? Quello di aver messo al bando il fumo nei locali pubblici. E la ministra Rosy Bindi? Ha garantito il sopravvento della scienza sulla ciarlataneria. Direbbe con Sir Alexander Fleming, scopritore della penicillina; ” il lavoratore solitario a fare il primo passo in un dato campo. I particolari possono essere messi a punto da un’équipe, ma l’idea prima è dovuta all’intraprendenza, al pensiero, all’intuizione dell’individuo”? Credo che sia ancora vero, ma oggi è quasi impossibile fare ricerca senza ”masse critiche” e gruppi interdisciplinari. Perché? Con la straordinaria circolazione delle idee non è facile sapere chi ha avuto per primo quella buona. la verità che insegue il ricercatore o è il ricercatore che insegue la verità? La verità nella scienza è all’interno delle cose che esploriamo. Come va cercata? Con ingenuità e umiltà. Anche per lei, come per Jean Rostand, la ricerca scientifica è la sola forma di poesia retribuita dallo Stato Chi ama la ricerca non guarda solo alla retribuzione. Guarda soprattutto alla possibilità di fare ricerca. La scienza è sempre esatta? Aspira ad esserlo, ma, essendo un’attività umana, è fallibile. Il vantaggio della scienza? Ha al suo interno tanti e tali controlli e verifiche da riuscire sempre a correggere gli errori in tempi più o meno lunghi. La scienza progredisce a balzi o a piccoli passi? I balzi si vedono sempre dopo. E i piccoli passi? Sono i progressi di ogni giorno. Scienziato è chi fornisce vere risposte o chi pone vere domande? Se la domanda è ben posta è più facile ottenere risposte veritiere.