Sergio Romano, Corriere della Sera 10/11/2008, 10 novembre 2008
Mi riferisco alla lettera di Ferdinando Zucconi Galli Fonseca, Primo presidente della Corte di Cassazione in pensione, e alla sua risposta
Mi riferisco alla lettera di Ferdinando Zucconi Galli Fonseca, Primo presidente della Corte di Cassazione in pensione, e alla sua risposta. Diversamente da lei non ritengo «convincente» la risposta di Davigo sulle sentenze troppo lunghe. Il giudice deve amministrare semplicemente giustizia e non ha nessun bisogno di «premunirsi contro i ricorsi in appello». Il procedimento giudiziario, in ogni modo, non dovrebbe essere occasione per opere poetiche, filosofiche o ideologiche, né per supplire a sostanziali carenze legislative. Condivido la sua proposta di «limitare i ricorsi in appello» e l’osservazione sulla collaborazione che l’Ordine giudiziario dovrebbe dare al potere legislativo per un perfezionamento del sistema, invece che sprecarsi in lotte per la «difesa dei diritti acquisiti e la richiesta di maggiori mezzi finanziari». E qui rimanderei al volume «Fine pena mai» di Luigi Ferrarella, molto chiaro e preciso su tutto, anche sulla questione degli sprechi. Quanto al posto di lavoro, osservo che i magistrati hanno (se non tutti, forse il 99%) un ufficio dove, se lo spazio lo permette, ospitano i loro assistenti. Sì, perché, dopo la creazione di tale categoria, hanno spinto per averne almeno uno personale e temo che ci siano riusciti tutti. Un problema di locali, semmai, si pone per i funzionari amministrativi e per gli archivi. Quanto al fatto di scrivere le sentenze a casa, mi sembra solo una comodità del giudice. Però vorrei chiederle: si possono portare gli atti dell’ufficio fuori dello stesso? Ritengo che bisognerebbe recuperare la Giustizia dal coma profondo nel quale è mantenuta (e non tanto ad opera dei politici), con una riforma sostanziale dell’ordinamento giudiziario, che impedisca la comparsa dei magistrati sui giornali, la collaborazione continuativa (ma anche saltuaria) con testate anche di primo piano, la consulenza, l’insegnamento, l’applicazione nei ministeri (quello della Giustizia è alla loro mercé: vedere sul Corriere del 3 febbraio 2003 la dichiarazione di Vassalli:« Il Guardasigilli è considerato dai magistrati un servo o un antagonista».) Mario Grosso mario.grosso@tele2.it Ho letto la lettera di Ferdinando Zucconi Galli Fonseca e la sua risposta e penso che siano stati messi in evidenza i nodi fondamentali del problema giustizia. Da 30 anni o poco meno lavoro nell’amministrazione giudiziaria come dirigente amministrativo. Proprio nel mio ultimo incarico alla Corte di Appello di Brescia ho potuto dimostrare che con un impiego più razionale delle risorse esistenti, si possono gestire meglio i fondi, soprattutto quelli destinati alle «spese di giustizia». Alla fine del 2007 ho ottenuto il risultato del «quasi pareggio» di bilancio, dimezzando anche i ritardi delle procedure contabili di liquidazione. Gli esempi di buona gestione, quindi, ci sono e non sono limitati alle Procure di Bolzano e di Torino. Bisogna soltanto avere voglia di riformare l’organizzazione della giustizia; ma pare che questa voglia non ci sia. Ci sono anche le riforme. Dal settembre del 2006 è in vigore il decreto legislativo n. 240/2006, che ha istituito all’interno degli uffici giudiziari una figura di dirigente o direttore amministrativo un po’ diversa da quella di prima. Non è un magistrato e deve adottare gli atti di gestione per l’organizzazione delle risorse umane e strumentali, conservando un grado di autonomia, seppur mantenendo un necessario raccordo con il magistrato che definisce gli indirizzi strategici di governo della giurisdizione. Ma le norme di quel decreto sono rimaste in larga parte inattuate, fatti salvi alcuni episodi in cui, per la buona volontà dei singoli, è stato possibile realizzare esperimenti di riorganizzazione in senso manageriale. lecito quindi porsi la domanda (retorica) che lei si pone, sul perché l’ordine giudiziario non si sia mai assunto la responsabilità di avviare una reale riforma dell’amministrazione giudiziaria; la risposta non può che essere una e non retorica: è perché non si ha nessuna voglia di farlo. Laura Pizzorni laura.pizzorni@giustizia.it Cari lettori, Ricordo anzitutto che la mia risposta a Zucconi Galli Fonseca ha provocato un intervento dell’Associazione Nazionale Magistrati ( Corriere del 5 novembre) con cui il sindacato dell’ordine giudiziario ricorda alcune delle sue proposte per la riforma dell’organizzazione della giustizia: revisione delle circoscrizioni giurisdizionali, riforma del processo e unificazione dei riti, processo telematico, depenalizzazione dei reati, allargamento dell’area delle pene alternative, riforma del processo penale. Ne ho preso nota con interesse, ma le vostre lettere mi sembrano confermare che è lecito attendere dall’Ordine giudiziario una maggiore dose di autocritica. La lettera dell’Anm è piena di indicazioni interessanti e conferma per certi aspetti che i magistrati sono consapevoli delle loro responsabilità. Ma quello che mi ha maggiormente colpito è la mancanza di un cenno alle anomalie di un sistema in cui i procuratori sono diventati attori mediatici della vita pubblica, hanno condizionato con il loro protagonismo qualsiasi dibattito sulla giustizia, hanno usato l’obbligatorietà dell’azione penale per scegliere, di fatto, le azioni giudiziarie da perseguire, e hanno spesso perdonato a se stessi, per un male inteso spirito di corpo, ambizioni e capricci che non convengono al loro ruolo. Ho invocato la collaborazione dei magistrati perché so che qualsiasi riforma sarebbe, senza di essi, sbagliata o poco efficace. Ma qualche mea culpa, ogni tanto, renderebbe l’Ordine e i suoi rappresentanti più credibili e autorevoli.