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 2008  novembre 10 Lunedì calendario

MORTE DI MIRIAM MAKEBA - CORRIERE DELLA SERA


ANTONIO CASTALDO
MILANO – Aveva appena finito di cantare, e insieme agli altri artisti salutava il pubblico. Poi, mentre tutti applaudivano, lei ha taciuto. Ha chiuso gli occhi ed è svenuta. Miriam Makeba è morta pochi minuti dopo in ospedale, per una crisi cardiaca. successo a Castel Volturno (Caserta), dove la cantante sudafricana simbolo della lotta all’apartheid, l’artista nota nel mondo come Mama Africa, aveva accettato di esibirsi. Sebbene stanca e malata, non ha voluto dire di no agli organizzatori del concerto di solidarietà a Roberto Saviano. Soprattutto perché si sarebbe tenuto nel paese dove meno di due mesi fa sei innocenti ragazzi ghanesi, sono stati trucidati dalla camorra.
Miriam Makeba aveva 76 anni. Dal 2005, dopo aver condotto una trionfale tournée in tutto il mondo, aveva cominciato a soffrire di gravi problemi fisici che la costringevano a muoversi in carrozzella. Anche ieri mattina, durante la visita al centro d’assistenza Fernandez, si era presentata su una sedia a rotelle, accompagnata da sua nipote e da una badante. Aveva la febbre. In serata il concerto, e la sua esibizione che, verso le 21.30, seguiva in scaletta quella di Maria Nazionale. «Ha cantato davanti a poche decine di persone – racconta Jean Milongo, mediatore culturale del Fernandez – e lei sembrava infastidita. Parlando in inglese ha detto: mi avete fatto aspettare troppo tempo, e adesso non c’è più nessuno». Sebbene debilitata, la Makeba ha voluto ugualmente onorare il suo impegno. Stringendo il microfono tra le mani giunte, immobile su una sedia, ha cantato tre pezzi. Poi si è di nuovo rivolta al pubblico, composto quasi solo da africani che vivono nei ghetti di baracche e vecchie case cadenti sulla foce del Volturno: «Voleva andarsene, ma l’hanno trattenuta – aggiunge Milongo ”. Hanno invocato "Pata Pata", e lei non ha saputo dire di no». Poi, poco prima che sul palco improvvisato calasse il sipario, il malore: «Erano tutti in piedi, c’era Idris che ringraziava. Io l’ho vista svenire mentre qualcuno cercava di sorreggerla. Mi sono avvicinato, ed ho sentito che urlavano: un medico, chiamate un medico».
Antonio Castaldo

MARIO LUZZATTO FEGIZ
Miriam Makeba ha sempre saldato la sua arte con la militanza in favore dei poveri, della gente di colore, delle buone cause come del resto dimostrato dal suo ultimo impegno, un concerto contro la camorra. La Makeba ha una lunghissima carriera iniziata nel Sudafrica degli anni 50, durante il regime dell’apartheid e delle township in cui era segregata la popolazione nera. Nata il 4 marzo 1932 a Johannesburg, aveva debuttato nel 1953 con «Lakutshona llange» cantata con i Manhattan Brothers. Poi si unisce al gruppo jazz sudafricano delle Skylarks. Il grande successo arriva con il musical «King Kong» che fa circolare il nome della Makeba anche al di fuori del Sudafrica.
Nei primi anni ’60 l’impegno politico diventa assoluto: nel ’63 ai funzionari dell’Onu denuncia il regime dell’apartheid. La rappresaglia da parte del governo di Pretoria non si fa attendere e le viene revocata la cittadinanza. Intanto la fama come cantante continua a crescere, soprattutto grazie alle eccellenti interpretazioni di brani della cultura Xhosa e di un inno come la ritmatissima «Pata Pata». Fra i suoi amici ed estimatori, Harry Belafonte, con il quale realizzò anche un album intitolato «Miriam Makeba and Harry Belafonte». L’attivismo politico le fa conoscere (e poi sposare) Stokeley Carmichael, uno dei leader del movimento nero Black Panthers che la trasforma in una «nemica» del governo americano fino alla scelta dell’esilio in Guinea.
Negli anni ’70 e ’80 l’interpretazione di moltissimi temi popolari l’hanno resa celebre in tutto il mondo come «Mama Africa». La biografia «Makeba: My Story» ripercorre una vita romanzesca fino al rientro in patria nel 1990, dopo la liberazione di Nelson Mandela. Fino all’ultimo ha conservato intatta l’intensità della grande interprete. Fra i suoi ultimi lavori l’album dal vivo «En public à Paris et Conakry» del 2005.
Mario Luzzatto Fegiz