Giampaolo Pansa, Il Riformista 9/11/2008, 9 novembre 2008
Non è difficile costruire l’Obama italiano. Basta ricordarsi di come hanno fatto negli Stati Uniti per trovare l’Obama vero
Non è difficile costruire l’Obama italiano. Basta ricordarsi di come hanno fatto negli Stati Uniti per trovare l’Obama vero. E attenersi ad alcune regole. Prima di tutto, bisogna mettere l’occhio su un uomo e non su una donna. L’Italia resta un paese maschilista, meglio non rischiare. L’uomo sul quale puntare per la corsa a Palazzo Chigi deve essere giovane, ma non troppo. Un tipo fra i quaranta e i cinquanta, in grado di sposare l’energia all’esperienza. Statura alta, basta con i tacchi. Asciutto o meglio ancora magro, indice di buona salute. Eleganza sobria, abito scuro, camicia bianca, cravatta neutra. Mai scamiciato, tranne quando fa jogging. Senza accento regionale. Dotato di moglie bella, ma non vistosa. E di due figli piccoli, purché non petulanti. La condizione sociale è stata in partenza modesta, da classe media impiegatizia. Poi si è elevata grazie a un corso universitario brillante. Laurea in Giurisprudenza, ottima per districarsi nella giungla legislativa italica. Avvocato con studio affermato. Cattolico praticante, però senza eccessi. Avrà accanto a sé, ma defilato, un amico prete, cordiale e sorridente. Niente integralismi. Eterosessuale, però generoso con i gay. E in grado di mostrare con orgoglio una cartella fiscale da contribuente fedele. quasi banale avvertire che anche l’Obama italiano ha da essere telegenico. In tivù dà risposte brevi, mai scontate né troppoo geniali, usa parole semplici che tutti possano capire. Rivela decisione, tuttavia non è mai aggressivo. Ha un bel sorriso da uomo sereno. Non sfotte l’avversario. E non sbrocca raccontando barzellette. Deve dimostrarsi un ottimo parlatore, non retorico, eppure capace di scaldare le folle. opportuno che studi i discorsi di Obama e come sono stati pronunciati. Anche nel Duemila l’oratoria non è un ferro vecchio da buttare. Sarà bello dire dell’Obama italico ciò che il saggista Paul Berman ha detto dell’Obama vero: «Ha una tale stoffa da trascinante oratore che, volendo, potrebbe essere un pericoloso demagogo». L’asse portante dei suoi discorsi sarà l’Italia di tutti gli italiani. Spiegherà che non esiste un’Italia del nord e una del sud. Un’Italia di sinistra e una di destra. Un’Italia di chi è nato qui e una degli immigrati. Un’Italia cattolica e una atea o agnostica. L’Obama nostrano si rivolgerà a tutti e dirà che li considera tutti amici, fratelli, alleati. Spiegherà che avrà bisogno di chiunque nella propria battaglia per rendere migliore e più prospero il Paese. Sarà sempre inclusivo e mai escludente. Ed eviterà di demonizzare qualcuno o qualcosa. I suoi spot in tivù non saranno mai negativi, contro l’avversario. Ma soltanto positivi, di chi costruisce invece che distruiggere. Niente colpi sotto la cintura dei concorrenti. Nello spot di mezz’ora che ha chiuso la campagna dell’Obama americano non c’era una sola critica contro McCain. Non si mostrerà ottimista né pessimista. Il suo stile sarà da realistra incoraggiante. Quello che dice: le nostre difficoltà riusciremo a superarle insieme, e io vi spiego come dobbiamo fare. Sarà di sinistra, ma non troppo. E anche un pochino di destra. Insomma un moderato che punta al progresso. Capace di rivolgersi agli anziani, senza dimenticare i giovani, e viceversa. Il suo scopo sarà di trovare un consenso bipartisan. L’unico che conduce alla vittoria. La sua cifra numero uno dovrà essere la serietà. Si mostrerà sobrio nei dibattiti, nei discorsi, nelle interviste. Essenziale, esplicito e comprensibile. All’opposto del politicante verboso, non userà la parola come fanno gli imbonitori. Le sue promesse risulteranno poche. La prima quella di far cambiare rotta alla politica. Basta con i ras, con la casta, con i serpenti sotto le foglie. Onestà, onestà, onestà. Anche l’Obama italiano avrà bisogno di volontari. Dovrà metter su un esercito di militanti, ma starà attento a evitare il caos che ne può venire. Sartà formato da giovani, capaci di sfruttare al massimo Internet e la rete. Ma guai a dimenticare gli sms, i messaggini telefonici. Sono questi ad aver spinto Obama verso la vittoria. Tutti hanno un cellulare. A cominciare dagli anziani. Obama ha mandato milioni di sms, in pratica a tutti i possibili elettori. Pure il nostro Obama dovrà essere un organizzatore meticoloso, previdente, capillare, cauto e al tempo stesso innovativo. L’arma cruciale sarà la sua squadra più stretta. Con tutte le competenze necessarie, compreso un ragazzo di 27 anni alla Jon Favreau che ha inventato lo slogan del trionfo: «Yes, we can». A dirigere il team provvederà un gemello di Ramh Emanuel, il duro di Chicago, oggi scelto da Obama per essere il chief of staff alla Casa Bianca. Venerdì l’abbiamo visto alla tivvù, durante la prima conferenza stampa. una tigre con i capelli grigi, la magrezza del chiodo d’acciaio, lo sguardo a radar per sorvegliare l’ambiente. Ha persino strizzato l’occhio a qualcuno. Quasi a dire: tranquilli, ci sono qua io. E alla fine, anche al nostro Obama saranno necessari molti soldi. Ma se avrà una figura e un progetto credibili, non sarà difficile trovarli. Chi ha poco darà poco. Chi ha tanto darà tanto. Non tutti i Paperoni italiani sono fessi. Un Paese allo sfascio come l’Italia di oggi è un pericolo per tutti. Pure per chi può arrivare non solo alla quarta settimana, ma alla quinta, alla sesta, alla settima. Ce lo vedete il nostro centro-sinistra prendere questa strada? Oggi no. Ma domani chissà. Anche per gli sfigati la speranza è sempre l’ultima a morire.