Alain Elkann, La Stampa 9/11/2008, 9 novembre 2008
Come si fa a lavorare in Parlamento e a seguire, per esempio, il processo di Perugia come avvocato? «Prima ero componente della Commissione Giustizia, ora ne sono presidente, ma calpestare la polvere delle aule dei tribunali mi offre un particolare approccio nell’analisi dei testi normativi, fatto di concretezza e di adesione ai problemi reali»
Come si fa a lavorare in Parlamento e a seguire, per esempio, il processo di Perugia come avvocato? «Prima ero componente della Commissione Giustizia, ora ne sono presidente, ma calpestare la polvere delle aule dei tribunali mi offre un particolare approccio nell’analisi dei testi normativi, fatto di concretezza e di adesione ai problemi reali». In che modo? «Ad esempio, mi sono potuta esprimere con cognizione di causa sulla questione dell’adeguatezza della paga dei giudici onorari». Oggi, con il suo ruolo politico, potrebbe ancora essere l’avvocato difensore del senatore Andreotti? «Finché ho difeso Andreotti non ho ritenuto di scendere in campo, ma solo perché non avrei avuto il tempo per fare le due cose. Ma non credo che il mio ruolo politico, soprattutto tecnico, possa incidere sulla mia difesa. Ovviamente sto molto attenta alla mia obiettività e alla serenità nel momento in cui scrivo alcuni voti che invece possono incidere sulla mia attività». Per esempio? «Nel 2006 c’è stata la questione dell’indulto e so che i miei clienti ne avrebbero avuto beneficio, ma ho votato contro l’indulto perché ero contraria a quel provvedimento fatto malissimo: sapevo che non sarebbe servito a niente. Oggi, un tema cruciale sono le intercettazioni telefoniche...». Intercettazioni sì o no? «Nel centrodestra sono quella che più preme perché restino le intercettazioni per i reati contro la pubblica amministrazione». Quindi è importante conoscere l’interesse del proprio cliente o l’interesse della funzione che uno rappresenta? «Per me è irrinunciabile pronunciare un’arringa. L’arringa di difesa è il momento in cui, come professionista, mi sembra di dare al massimo il mio mandato di tutelare un soggetto. Non lascerei mai la toga». Nemmeno se la facessero ministro? «E’ un problema che si è posto, ma ora no. Fare l’avvocato è un arricchimento per la mia attività politica e quindi faccio entrambe le cose. Ma se prevalesse la necessità di scelta non avrei dubbi. Però, volendo, si possono fare bene due cose». Il Parlamento funziona meglio dei tribunali? «Sono uguali nell’estrema lentezza delle procedure. Anzi, in realtà la prima mia spinta verso il mio lavoro è stata data dal fatto che la giustizia italiana è semidefunta. La gente rinuncia alla giustizia. Quando mi si chiede quanto tempo ci vuole per ottenere il risarcimento di un diritto c’è chi volta le spalle e rinuncia ai propri crediti». bravo il ministro Alfano? « idoneo al ruolo, difficilissimo. un momento molto difficile della giustizia perché occorre mediare tra le istanze dell’Avvocatura e della Magistratura e lui è abilissimo a mediare». La riforma si fa o non si fa? «La riforma si deve fare e diventa importantissima la separazione della carriera. Ma prima di tutto è indispensabile restituire efficienza alla giustizia». possibile? «Solo se si agisce su due piani, quello normativo e quello culturale». Cosa intende per culturale? «In Italia esiste, e l’ho sperimentato da avvocato, un dislivello di produttività tra magistrati, e quindi ritengo indispensabile che tutti i magistrati acquisiscano consapevolezza della necessità di produrre di più. Ma non possiamo lasciare che ci siano magistrati a tempo pieno anche la domenica e altri sempre assenti». La pensa come il ministro Brunetta? «No. Lui è convinto che basti fissare l’orario con una norma per ottenere l’aumento di produttività. Ma io vivo nei tribunali e so che il lavoro dei magistrati non può essere registrato con un disco orario. Casomai è necessario inserire la figura di un manager che possa coordinare gli orari di udienza». La difesa di Sollecito le fa perdere molto tempo? «Ho organizzato la mia attività in modo che le udienze si svolgano nei giorni di venerdì e sabato». Non crede che il suo ruolo in Parlamento la indebolisca? «Quando me lo chiedono rispondo con le parole di Vittorio Emanuele Orlando: ”Se il giudice è capace di farsi influenzare negativamente da un ruolo politico di un avvocato non è un buon giudice”». Ma anche i giudici sono persone... «No. Quando giudicano gli uomini, sono quasi sacerdoti. Io devo credere in questo». Avrebbe voluto fare il giudice? «Non sarei capace di farlo, perché credo che debba essere una persona che si macera nel dubbio ma poi riesce a pervenire ad una soluzione di innocenza o di colpevolezza. Io resterei nel dubbio. Mio padre voleva che facessi il magistrato perché diceva che la vita dell’avvocato è troppo impegnativa». Le piace la vita da parlamentare? «Mi piace l’attività di Presidente di Commissione Giustizia. Grazie a quel ruolo ho incontrato il Presidente della Commissione Giustizia di Pechino. Mi ha illustrato il sistema giudiziario cinese e poi mi ha chiesto: ”Come fa il Parlamento italiano a esercitare il controllo sui giudici?».