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 2008  novembre 08 Sabato calendario

Tra le banche centrali sembra una gara a chi taglia di più i tassi: una scelta obbligata, con lo spettro della recessione globale

Tra le banche centrali sembra una gara a chi taglia di più i tassi: una scelta obbligata, con lo spettro della recessione globale. Ma, l´emergenza della crisi economica non dovrebbe essere un pretesto per evitare di rivedere criticamente l´operato delle autorità monetarie. Perché è vero che derivati, manager avidi, e regole violate hanno alimentato la crisi finanziaria, ma una mano l´hanno data anche i banchieri centrali; che sembrano agire sempre più a rimorchio della Borsa, piuttosto che in anticipo sul ciclo. A partire dagli anni ´90, la politica monetaria ha privilegiato ovunque l´obiettivo della stabilità dei prezzi, come condizione per una crescita duratura. Così è stato: nel decennio 1998-2007 l´inflazione mondiale è rimasta sempre intorno al 4% (14% nei precedenti 30 anni), mentre la crescita mondiale toccava livelli record. Si è pagato però un costo elevato in termini di instabilità finanziaria. Oggi, le borse sono ai livelli di 11 anni fa: nel frattempo, sono quasi raddoppiate, dimezzate, raddoppiate di nuovo e ancora dimezzate. Neppure nel periodo nero del mercato azionario, dal 1969 al 1980, la volatilità è stata altrettanto elevata. Il prezzo medio delle materie prime è più che raddoppiato a partire dal 2002, per poi perdere il 40%; quello del petrolio è quintuplicato, e poi giù del 60%. Il valore delle case è mediamente raddoppiato, ma in molti paesi è già in picchiata. Il primo errore dei banchieri centrali, Federal Reserve in testa, è stato di ignorare il prezzo delle attività finanziarie, lasciando gonfiare la bolla delle dot-com, ma annunciando la disponibilità a intervenire qualora fosse scoppiata, per limitare i danni. La promessa implicita di sostenere col credito facile i prezzi delle attività in caso di crolli ha alimentato la propensione degli investitori a sostenere rischi irragionevoli. Dopo lo scoppio della bolla Internet, la prolungata espansione del credito a tassi inferiori all´inflazione è stato il secondo, più grave errore. Perché i mercati hanno verificato che potevano fare affidamento sulla protezione delle banche centrali. E perché il sussidio al credito ha indirizzato i capitali verso le attività che possono più facilmente costituire garanzia (immobili, infrastrutture e servizi di pubblica utilità), invece che verso investimenti maggiormente produttivi. Investire in società con regimi tariffari o concessioni, finanziandosi con il debito e con il sussidio fiscale implicito negli interessi passivi, diventa la parola d´ordine, anche tra gli imprenditori italiani. Così, dal 2004 la Borsa ricomincia a correre trainata dai leverage buyout che banchieri e investitori istituzionali, affamati di rendimenti, fanno a gara a finanziare. Si gonfia anche la bolla immobiliare, con la benedizione dei governi che ovunque vedono con favore la diffusione della proprietà. Negli Stati Uniti i nefasti mutui subprime si diffondono proprio per iniziativa di società para-pubbliche sotto la spinta del Congresso. Da noi, tutti si scoprono immobiliaristi, grazie al debito bancario. E con i mutui al 2%, anche tra le famiglie è corsa al mattone: molti si illudono che, affittando la casa acquistata, l´investimento si possa autofinanziare. Dalle banche centrali, neanche un monito. Il terzo errore delle banche centrali è aver operato senza coordinamento, come se ognuna agisse ancora in un´area economica chiusa ai movimenti di capitale. Ma i capitali circolano liberamente: le ingenti risorse liquide accumulate dall´Asia e dai paesi esportatori di energia hanno inondato il mondo e, sommandosi all´espansione monetaria di Europa e Stati Uniti, hanno fatto crescere la domanda mondiale a tassi insostenibili, fino a far esplodere i prezzi di energia e materie prime. Altra bolla. Le ultime tre bolle sono scoppiate simultaneamente, con la conseguenza che il valore degli attivi dei debitori (banche per prime) si è drasticamente ridotto. La fiducia dei creditori si è incrinata. In queste condizioni i debitori sono costretti a vendere attività, a sostituirle con altre meno rischiose, e ad aumentare il proprio capitale per ripristinare la fiducia nel debito emesso. Si chiama delevering ed è quello che sta succedendo. Per incoraggiare le banche a non vendere e non contrarre i prestiti, le banche centrali le stanno finanziando copiosamente, a costi che in Giappone e Usa sono praticamente nulli. Oppure si accollano attività rischiose in cambio di titoli liquidi. Ma la politica monetaria può solo attenuare l´impatto del delevering sull´economia, non eliminarlo. Negli USA, in pochi mesi la crescita dei prestiti bancari si è dimezzata. Nell´area euro, l´espansione dei crediti ai residenti si mantiene su tassi elevati, ma dubito possa durare. Il delevering sarà completo solo quando le banche torneranno ad erogare credito spontaneamente, a tassi che remunerano il capitale (oggi, molte si finanziano sul mercato a tassi superiori a quelli dei loro prestiti). Poiché una parte preponderante degli attivi bancari e del debito emesso è a fronte di finanziamenti garantiti da immobili, la crisi finanziaria finirà solo quando il prezzo degli immobili avrà toccato il fondo. Purtroppo il mercato immobiliare è poco liquido, e i tempi richiesti per l´aggiustamento dei prezzi sono molto lunghi. Inoltre, quello che conta non è tanto il valore di bilancio odierno dei prestiti, ma l´aspettativa di quanto varranno dopo che la recessione appena cominciata avrà avuto il suo impatto. I rendimenti delle obbligazioni corporate, a livelli record in Europa e Usa, scontano un forte aumento dei tassi di insolvenza, che per ora non si è materializzato. Il Financial Stability Report della Banca d´Inghilterra stima in quasi 800 miliardi le perdite latenti nell´area Euro solo sui titoli corporate e garantiti da mutui. Il rischio di credito, dunque, rimarrà elevato e la propensione a erogare bassa, fino a quando non sarà chiaro il costo finanziario della prossima recessione. Di fronte al rischio di una recessione globale non ci sono molte alternative agli interventi indiscriminati di finanziamento da parte delle banche centrali. Ma arrivano ancora una volta dopo che i mercati sono crollati: di fatto, le banche centrali, volenti o nolenti, agiscono a sostegno dei prezzi delle attività finanziarie, limitando così i costi di errate decisioni di investimento del passato. Tutti i tagli della Fed sono stati scanditi da Wall Street. La BCE ha addirittura alzato i tassi il 3 luglio, quando forse la portata della crisi avrebbe dovuto già essere evidente, adducendo il rischio di inflazione, per poi ridurli precipitosamente il 15 ottobre dopo il peggior crollo della borsa in 20 anni (e poi di nuovo ieri l´altro). La Banca d´Inghilterra, nonostante una banca (Northern Rock) debba essere nazionalizzata già a febbraio, chiaro segno della crisi, mantiene ostinatamente i tassi al 5% fino all´8 ottobre, per poi quasi dimezzarli sotto la pressione della Borsa. Sarebbe auspicabile che si chiarisse la relazione tra politica monetaria e andamento dei mercati. Perché sembra che siano le Borse a dettare i tempi degli interventi sui tassi. Ma è un meccanismo perverso che negli ultimi 15 anni ha funzionato da incentivo al rischio: va neutralizzato.