Alberto Ronchey, Corriere della Sera 8/11/2008, 8 novembre 2008
Al Presidente la Costituzione degli Stati Uniti concede «prerogative quasi regali», come osserva Tocqueville in La démocratie en Amérique
Al Presidente la Costituzione degli Stati Uniti concede «prerogative quasi regali», come osserva Tocqueville in La démocratie en Amérique. A tanto tempo dalla Convenzione di Filadelfia, 1787, è ancora così malgrado i successivi emendamenti. L’originario disegno costituzionale fu concepito per 4 milioni di cittadini, fra i quali appena 880 mila con diritto di voto. Poi quella consociazione patriarcale di fine ”700 ha generato l’attuale macrosocietà multirazziale, multireligiosa, competitiva e spesso conflittuale con 300 milioni di cittadini, alla base della massima superpotenza nel mondo attuale. Ora le sovrane prerogative del potere presidenziale, dopo il voto del 4 novembre, vengono conferite a un afroamericano. L’evento è di portata politica e storica incalcolabile, non solo negli Stati Uniti ma ben oltre. L’ascesa del coloured people era già da tempo manifesta, sia nelle cariche pubbliche, sia nella vita sociale. Basta ricordare gli alti compiti affidati a Colin Powell e Condoleezza Rice, o i riconoscimenti e i successi ottenuti da personaggi come Jesse Jackson, Clarence Thomas, Richard Parsons. Ma ora, con Barack Obama, «il primo nero» è alla Casa Bianca. Obama dovrà governare fra i residui d’ogni pregiudizio razziale, più o meno latente, se non fra movimenti aggressivi eredi del Ku Klux Klan o delle Black Panthers. Al neopresidente spetterà, nello stesso tempo, la responsabilità di affrontare innumerevoli problemi non risolti e anzi esasperati negli ultimi anni fino alla scadenza del mandato di George W. Bush. Nell’economia, oltre a fronteggiare il collasso di Wall Street che ha contagiato il sistema finanziario su scala internazionale, dovrà intervenire con urgenza sulla crisi dei mutui e dei valori immobiliari che negli Stati Uniti assilla i risparmiatori anche se punisce gli speculatori. Ma dovrà presto affrontare anche fondamentali questioni come il debito pubblico raddoppiato, il passivo del commercio con l’estero, le incognite sulla variabile gestione delle riserve monetarie accumulate dalla banca centrale in Cina e finora investite nei titoli del Tesoro di Washington. Nello scenario politico e strategico internazionale, gli oneri assunti dalla «superpotenza gendarme» hanno raggiunto lo stadio della massima superestensione. In politica estera, l’agenda del neopresidente comprende i conflitti cronicizzati nell’Iraq e nell’Afghanistan dei talebani favoriti dall’instabilità del Pakistan, il pericolo del nazionalismo atomico iraniano, le difficili relazioni con la Russia di Putin, il proselitismo castrista nel Sudamerica delle sfide anti yanqui da Chávez a Morales e oltre. Ma non è ancora tutto, anzi c’è molto di più. Rimane il contenzioso ecologico, «una scomoda verità» secondo il film documentario di Al Gore. Sulla questione dell’inquinamento ambientale, infatti, l’emissione massima di esalazioni fino all’effetto «serra» deriva dall’iperconsumo energetico degli Stati Uniti. questa la più complessa vertenza internazionale, mentre l’attesa conversione del massimo sistema industriale alle fonti energetiche alternative, con la riduzione dei consumi di petrolio e gas, impone alti costi per un’efficace tutela dell’ambiente. Se non ora, mentre incombe la recessione dell’economia, nei prossimi tempi sarà questo negli Stati Uniti e in ogni società industriale il «problema dei problem