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 2008  novembre 07 Venerdì calendario

DENISE PARDO PER L’ESPRESSO DEL 7 NOVEMBRE 2008

A salvarla sarà il modulo Alitalia o l’azionariato popolare? Intanto, sarà pure "maggica" (nonostante i tempi cupi). E caput mundi. E come si sa, non si discute (e non è vero) ma si ama. Però, la banca avanza. E avanza di brutto. L’11 novembre, giorno dell’assemblea della A. S. Roma, verrà nominato consigliere d’amministrazione Roberto Cappelli, stimato professionista ma soprattutto legale che rappresenta l’Unicredit, l’istituto che con la fusione con la Capitalia di Cesare Geronzi ha ereditato il mega debito di Italpetroli (di cui la squadra è asset principale): 365 milioni di euro in tutto, la prima tranche da versare entro il 31 dicembre.La bestia più nera fra le tante bestie nere di questa prima e disastrosa fase del campionato piombate sulle spalle di Rosella Sensi, prima presidente e amministratore delegato di una Roma in preda a una crisi da paura.
A quasi tre mesi dalla scomparsa del padre Franco, amatissimo dal popolo giallorosso per cui si era svenato investendo nella squadra 250 milioni di euro, Rosella Sensi, nella nuova stagione della sua presidenza, prima quota rosa del calcio italiano, è sotto tiro. A 360 gradi. Guardata a vista da quattro milioni di occhi di tifosi furibondi (che sono circa due milioni). Una sconfitta dopo l’altra in campo. I romanisti alla porte di Trigoria tenuti a malapena a bada. La pelata dell’allenatore Luciano Spalletti in bilico, in pericolo perfino i suoi figli che, ha raccontato, non vogliono uscire di casa. Le liti nello spogliatoio tra mister e giocatori. Il quotidiano "il Romanista" che titola impietoso "Presidente dove sei?". E il gelo tra lei e il capitano dei capitani, Francesco Totti, torturato da un ginocchio in fallo, desideroso di allungare il contratto (scadenza 2010) fino al 2014 alla stessa cifra: cinque milioni e mezzo a stagione. Lei nicchia. Lui ci rimane male pensando alla sua fedeltà da carabiniere al "core de sta città" (la Roma, non Rosella). Una bufera. A due velocità. Una calcistica. E l’altra finanziaria. Unicredit, in balia delle montagne russe della Borsa e con la finanza mondiale sotto scacco, ha risposto picche alla richiesta di una proroga a marzo. E il tam tam curve-tribune è pronto a informare che le proposte dei due (anonimi) gruppi americani e di un fondo arabo (vicino al colonnello Gheddafi o al tunisino Tarak Ben Ammar?) esaminate in questi giorni, sono ferme alla metà dei 283 milioni offerti in primavera da George Soros per l’acquisto della squadra. E dire che l’anno scorso, l’anno di un campionato esaltante con la Roma seconda in classifica, i lupi della tifoseria romanista avevano finalmente riconosciuto la leadership della figlia di Sensi. Nata con la fede giallorossa, battezzata con il nome, poco curva sud, con cui Mamie in "Via col vento" chiamava la capricciosa padroncina, Rosella, primogenita di tre (Cristina si occupa del marketing, Silvia di Roma Channel), 37 anni, occhi alla "Miodiomo’chejedico?" un fisico gracile, maritata con il commercialista Marco Staffoli, non ha mai avuto vita facile nella "maggica". Le è stato rimproverato tutto. Il carattere difficile e schivo: non si fida di nessuno e vede nemici dappertutto. Il decisionismo anche sui calciatori (Bruno Conti, responsabile tecnico Daniele Pradè, direttore sportivo, vengono solo consultati, Spalletti poco). Il fatto che mandi il marito a trattare con i giocatori (ha negoziato lui il passaggio di Cristian Chivu all’Inter). Le apparizioni troppo rare a Trigoria, la cittadella della Roma. Le sparizioni dopo le sconfitte, accampando improvvisi e provvidenziali malanni. Le assenze anche dopo le vittorie. Poi, l’aver stretto buoni rapporti con Luciano e Alessandro Moggi, quando erano in auge, e con Adriano Galliani (al contrario del padre, grande antagonista del cartello delle squadre del Nord), tanto da diventare vice presidente della Lega Calcio. Ma anche il rapporto privilegiato con Marione, conduttore del seguitissimo programma "Te la do io Tokyo", su Radio Centro Suono Sport, l’unico al quale si concede. Infine, l’ostracismo nei confronti del quotidiano "il Romanista" reo di pubblicare nella pagina delle lettere le critiche dei tifosi su di lei senza censurarle.
Una lupacchiotta o una zarina? O, invece, in una città malata di calcio, una ragazza con una palla al piede che ne decreta gloria o crocifissione? Torna il tormentone del 2004, quando la squadra era in difficoltà: "Rosella, dov’è il progetto?" chiede, ora come allora, l’anima giallorossa. Lei, a cavallo delle onde della bufera, si è blindata più che mai a Villa Pacelli, la residenza di famiglia. Al suo fianco, il fidatissimo Gianroberto De Giovanni, l’avvocato di 39 anni che ha seguito tutte le trattative. L’editore Pippo Marra, consigliere della Roma, amico personale, riservato come può esserlo solo un calabrese riservato. Il consulente Enrico Bendoni, vicino ai Sensi fin dal tempo di Franco. Il controller del gruppo Cristina Mazzoleni, la bravissima donna dei conti. E i discretissimi banchieri Giampietro, Angelo e Arturo Nattino, proprietari della Finnat (nel cda i Buitoni, i Rattazzi, i Violati), advisor di Italpetroli, dagli stretti legami con il Vaticano e con Franco Caltagirone, uno degli uomini più liquidi d’Italia. E il capofila degli imprenditori interessati ai terreni di Torrevecchia: 29 ettari valutati 100 milioni diventati edificabili con la giunta di Walter Veltroni a patto di costruire la Cittadella dello sport. Ma il terremoto politico romano ha complicato il cammino. E ora il dossier è fermo sul tavolo del sindaco Gianni Alemanno. Purtroppo, nemmeno l’ipotetica vendita di Torrevecchia placherebbe la scadenza bancaria di dicembre. Per far fronte al debito bisognerebbe anche cedere i depositi petroliferi di Civitavecchia, valore 50 milioni. Il resto del patrimonio non può alzare granché, visto che gli alberghi, la tenuta La Leprignana, e il "Corriere Adriatico" sono stati già alienati. A comprare il quotidiano è stato proprio Caltagirone che, tra l’altro, controlla il 4 per cento del Monte dei Paschi di Siena, banca creditrice di 50 milioni di euro dai Sensi. «Caltagirone dimostri di avere un’anima e salvi la squadra», auspica una persona vicina alla vedova Maria e alle tre sorelle Sensi. «Questa città gli ha dato tanto. Ora sarebbe arrivato il suo turno». Su un punto Rosella sembra essere ferma: ora non si può vendere nulla. La crisi finanziaria ha falcidiato le stime degli asset di Italpetroli. E in città, tranne Caltagirone, nessuno ha i quattrini e le spalle solide per rilevare la Roma che, secondo gli esperti, con il marchio e con il nome di Totti idolatrato persino in Cile (anche lì lo chiamano affettuosamente "el pupone") ha un potenziale sfruttato ancora in minima parte. Quindi, le soluzioni da sondare sono altre. Per esempio, mettere su una cordata di imprenditori modello Alitalia. Coinvolgere i fratelli Toti, i potenti costruttori rivali di Caltagirone, Alberto Tripi, il re dei call center, Giovanni Malagò, l’imprenditore dalle mille relazioni, e tanti altri romanisti doc e vip che con una cifra contenuta potrebbero passare alla storia come i salvatori della squadra del cuore. E soprattutto, da poteri forti metter le mani sul potere capitolino più forte che c’è. L’altra strada è ripescare il progetto della Kpmg e dello studio legale Tonucci sull’azionariato popolare, presentato nel 2005 dalla Fondazione Roma Europea e da "il Romanista". Tra i relatori Giuseppe De Rita, Cesare Sanmauro, Riccardo Luna e Maurizio Costanzo (fra i primi sostenitori di questo modello per la Roma). Un piano più semplice da realizzare che altrove, calcolando che la maggior parte dei tifosi giallorossi sono correntisti Unicredit (li ha ereditati da Capitalia). Allora, la figlia di Sensi lo prese come un’offesa, interpretandolo come un giudizio negativo sulla famiglia. Ma oggi, come direbbe "miss Rosella", è un altro giorno.