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 2008  novembre 07 Venerdì calendario

LUCIA ANNUNZIATA PER LA STAMPA DEL 7 NOVEMBRE 2008

Per gli Altri è stato sempre molto facile. Clinton non era ancora Presidente e già lo si presentava circondato da montagne di hamburger e gelati di cui era estremamente ghiotto; con altrettanta facilità, negli anni tardivi del suo mandato, venne rappresentato circondato da ben altre tentazioni. Poi venne George Bush, ed è stata un’autentica manna: nel primo Thanksgiving dopo la sua elezione nel 2000 (cioè quasi due mesi prima che mettesse anche solo piede nella Casa Bianca) venne presentato alla nazione, nelle piume del Tacchino - Turkey in Usa è anche un modo per dire «cretino».
Ma ora con Obama? Dove sono le imitazioni di Barack? Mai visto il candidato nella veste di Zio Tom, e neanche in quella, magari meno offensiva, del primo della classe. Mai visto Lui preso in giro, né durante la campagna elettorale, né ora, che pure è ormai Presidente. Né mai toccata è la sua famiglia - e dire che la statuaria e felina Michelle potrebbe ben competere con la risatina folle che i comici fanno fiorire periodicamente sulle labbra di Hillary. Niente. Anche perché la prima e l’ultima volta che su di Lui e Michelle della satira è stata fatta, con la famosa copertina del New Yorker in cui entrambi venivano ritratti come ribelli neri, divenne uno scandalo nazionale. E il New Yorker dovette fare un gran passo indietro.
La satira americana, dunque, batte colpi. Anche la suprema irriverenza americana tace ammutolita davanti a un Presidente Nero, bello e di sinistra? Eccessi di «correttezza politica», visto che Obama è nero? O persino in America la satira sa attaccare solo la destra? Ferve dibattito. Un prosperoso e amato settore culturale e mediatico è arrivato probabilmente al picco della sua influenza e notorietà proprio durante questa ultima corsa elettorale, con la parodia di Sarah Palin fatta da Tina Fey, o il Bush di Will Ferrell, o le battute su McCain che rifiuta l’intervista a David Letterman.
Un fenomeno che lo stesso John Stewart conduttore di «Saturday Night Live» ha definito come l’affermarsi del «complesso satirico industriale», parafrasando il «complesso militare industriale», cioè uno dei famosi poteri che nel linguaggio sinistrese vengono identificati come le forze oscure della destra, e di Bush in particolare. Ma ora che Washington è dominata da un serissimo clima e da tanta correttezza politica, si chiede il pepato Salon, pubblicazione on line cultural- progressista, «chiuderà il complesso satirico industriale»?
Ma al dunque, al netto di tutte le discussioni più «colte» il discorso ritorna il più semplice possibile: perché nessuno, neppure i più sofisticati comici come Letterman, appunto, sono finora mai riusciti a ridere di Obama? E, per il futuro, ci riusciranno mai? James Downey, uno degli autori di «Saturday Night Live» ha recentemente ammesso, durante il New York Festival, che «sarà difficile» ridere di Obama. Intanto perché «i media sono innamorati folli di Obama», e poi perché «è così perfetto che davvero non offre mai molte occasioni cui attaccarsi». Ma al fondo, ha confessato Durst, c’è l’imbarazzo della razza: «All’inizio sarà sicuramente difficile perché sono un bianco, e bianca è anche la maggioranza di coloro che seguono il nostro tipo di satira».
Una situazione autenticamente delicata , dunque. Cui però si sta già cercando di mettere riparo. Un primo rimedio potrebbe venire già nella prossima stagione dalla Abc, dove Jonathan Collier, lo stesso della fortunata serie dei Simpson, sta lavorando a una nuova serie «The Goode Family», che rappresenta l’elettorato obamiano. Per ora Obama è così «perfetto» che le uniche battute su di lui se le è fatte da solo, scherzando con i giornalisti: «Contrariamente a quanto è stato detto non sono nato in una stalla».