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 2008  novembre 06 Giovedì calendario

Viene voglia di chiedersi quale sia il segreto per cui anche il ventiduesimo film di James Bond, che esce in cinquecento copie accompagnato da un fragore planetario, sia già destinato allo sfondamento del botteghino, anche in questi amari tempi di depressione finanziaria e quindi inevitabilmente psicologica

Viene voglia di chiedersi quale sia il segreto per cui anche il ventiduesimo film di James Bond, che esce in cinquecento copie accompagnato da un fragore planetario, sia già destinato allo sfondamento del botteghino, anche in questi amari tempi di depressione finanziaria e quindi inevitabilmente psicologica. Ma d´altronde lo si è sempre saputo, che 007 è un antidoto: e non ci sarà da stupirsi se a dispetto del titolo impenetrabile, Quantum of Solace, il nuovo Bond, ancora affidato al magnetismo di Daniel Craig in questo sequel di Casinò Royale, sarà in grado di regalare agli spettatori, per l´appunto, «un pizzico di sollievo». Era toccato al James Bond di Sean Connery, nella prima metà dei Fab Sixties, aiutare il mondo occidentale a trangugiare le paure della guerra fredda e dei primi pericoli globali, la Russia sovietica, l´Operazione Tuono, lo psicotico che uccideva le donne con colate d´oro o con il cappello a tesa tagliente. E a rivederli oggi, quei film, sembrano infatti l´esorcismo fatto e finito contro il lato oscuro della modernizzazione. Connery era impagabile perché affrontava il rischio quasi unicamente a colpi di stile: con battute ironiche, citazioni dell´annata precisa del Dom Pérignon, formule inattaccabili del Martini. Era già più di un sex symbol, Connery: era già un mito, e quindi si sorvolava su una certa sua macchinosità di movimenti, qualche lentezza in sé inadatta a un agente segreto della sua caratura. L´interprete primo e irripetibile della creatura di Ian Fleming affrontava gli anni Sessanta con una cultura non troppo vagamente arretrata rispetto all´epoca dei Beatles e dei Rolling Stones, con tratti di un gentleman che, lo si vedeva, avrebbe preferito sparare a una bella donna o subire le più crudeli torture che non vedersi inflitta l´esibizione di un complesso beat, in una delle cavern inglesi dell´epoca; e alle gioie e dolori della motorizzazione rispondeva con il design supremo e fuori dal tempo dell´Aston Martin truccata. Non si poteva sopravvivere a Sean Connery, alla sua gestualità, al suo toupet, e non si poteva sostituirlo. Sicché quando l´attore scozzese abbandonò il campo («Ci sono troppi radicali liberi in giro», aveva scherzato con la segretaria di M, l´amabile Moneypenny, dopo essere stato praticamente processato dal capo del Servizio per visibili accenni di decadenza fisica), il suo sostituto Roger Moore aveva già fatto dimenticare la saga per la tv dei ragazzi di Ivanhoe, ma non le cialtronate di successo con Tony Curtis in Attenti a quei due. Con la sua faccia a metà fra il membro dell´Unicef e l´aficionado di un club inglese per strenui bevitori, il nuovo Bond poteva puntare soltanto sull´enfasi, per far deflagrare la guerra di spie e di agenti segreti nell´esagerazione, nell´iperbole, infine in una comicità esplosiva. Il fatto è che diversamente da altre epopee moderne, quella di James Bond si è adattata in modo prensile al mutare delle circostanze: anzi, più che un´epopea si è rivelata un cocktail di marketing, di narratologia, di strutture emotive, insieme con spruzzate di criminalità contemporanea avanzata, e guerre "glocal" come l´Afghanistan. A quel punto i volti di Bond non avevano più neppure tutta quell´importanza. Per Pierce Brosnan o per Timothy Dalton più della faccia contava la giacca. E se con il passare del tempo la cifra dei film di 007 si avvicinava sempre più al format di pellicole come Mission: Impossible!, con l´esasperazione anche tecnologica della violenza e del dinamismo, oggi con Quantum of Solace, il mixer ha conseguito la miscela egregia: in cui a una parte consistente di videogioco si unisce l´introspezione post-edonistica. Ci vuole un regista svizzero, Marc Forster, che aveva diretto il cult Il cacciatore di aquiloni, e che non ha avuto esitazioni a trasformare James Bond, con le fattezze di Daniel Craig, in uno stereotipo autenticamente "global", questa volta. A guardarlo con diffidenza, Craig potrebbe essere un nipote di Putin, una sintesi visiva di Occidente e Oriente, di post-thatcherismo e post-comunismo. E come dice il regista, in un´epoca in cui tutti hanno visto tutto via Internet, non è necessario viaggiare qua e là esoticamente: «In un film di James Bond, è più interessante un viaggio interiore, nel più profondo di Bond». Chi se ne frega della psicologia, dite? Allora lasciate 007 in un deserto cileno, che medita sul tradimento della sua donna, e portatelo al Palio di Siena, sul Lago di Garda, in Austria, fra stuntmen e incidenti semimortali della troupe. Il James Bond nostro contemporaneo è un leader in un mondo meticcio, dove si sono incrociati il Prozac e la playstation. Quindi, buio in sala, azione, che l´avventura cominci.