Roberto Giovannini, La Stampa 7/11/2008, 7 novembre 2008
Dalla fabbrica del Maragone, dalla tenda del presidio sindacale dove un gruppo di operai e operaie stanno lì a contemplare lo stabilimento silenzioso, la si vede bene la villa di Antonio Merloni, in alto su una collina
Dalla fabbrica del Maragone, dalla tenda del presidio sindacale dove un gruppo di operai e operaie stanno lì a contemplare lo stabilimento silenzioso, la si vede bene la villa di Antonio Merloni, in alto su una collina. Il Maragone e la Santa Maria - un fabbricone capace di sfornare diecimila lavatrici al giorno - sono gli stabilimenti fabrianesi di quella che è stata la «sua» azienda, la «Antonio Merloni spa». La società - vittima di una gravissima crisi produttiva, industriale e finanziaria che va avanti da anni - è stata commissariata sulla base della legge Marzano. Nel bilancio 2008 si era aperto un buco di quasi 500 milioni, una voragine che ha spazzato via l’ennesimo piano di ristrutturazione e arrestato la produzione di lavatrici, frigoriferi, cucine a gas, asciugatrici. I commissari sono riusciti a far ripartire (sia pure a organico molto ridotto) il lavoro delle sette fabbriche sparse tra Marche, Umbria ed Emilia. Ma la situazione del gruppo, che dava lavoro a ottomila persone tra dipendenti diretti e indotto, resta disperata. Fabriano, un tempo regina dell’emigrazione verso Brasile e Argentina, oggi è ricca e prospera grazie agli elettrodomestici. Fabbriche ovunque, grandi e piccole: il 58% dell’occupazione qui la dà l’industria, oggi traballante sotto i colpi della crisi. Monocoltura produttiva, ma anche «familiare». In un arco di cinque chilometri dalla «Antonio Merloni» si trovano uffici e stabilimenti della «Indesit Company» di proprietà di Vittorio Merloni, già presidente di Confindustria. E quelli del «Mts Group» posseduta dal fratello, Francesco. Vittorio, Francesco e Antonio: i tre figli di Aristide Merloni, il figlio di un bracciante della frazione di Albacina diventato perito meccanico, che nell’estate del 1930 tornò al paese per aprire una fabbrica di bilance. Nasce qui l’impero di Aristide Merloni, che recluta «metalmezzadri» come lui prima per la fabbrica di bombole da gas. Poi nel ”57 arrivano gli scaldabagni elettrici. Poi cucine, frigoriferi, le lavatrici con il marchio «Ariston». Un potere economico che è anche potere «culturale» e certamente politico: Aristide dal 1951 al 1957 è sindaco di Fabriano, dal 1958 diventa senatore: per la Dc, naturalmente. Muore nel 1970 in un incidente. Subito dopo le strade - industriali ma personali, anche - di Vittorio, Francesco e Antonio si separano. A rompere con i fratelli è proprio Antonio, che decide di fondare una azienda tutta sua, la «Antonio Merloni» (AM) che di fatto entrerà in concorrenza con la Indesit di Vittorio. Concorrenza anche «politica»: Vittorio e Francesco sono Dc di sinistra, Antonio più moderato, e sarà sindaco (come il padre) tra il 1980 e il 1995. Sono i quindici anni più belli per la «AM», gestita in assoluta solitudine da Antonio. Ne decide le strategie (produzione per conto terzi di elettrodomestici di qualità media). Disegna persino e progetta i modelli e le linee produttive. Un modello che senza mezzi termini si può definire paternalista, ma non autoritario: le paghe sono buone, la vita è discreta, il sindacato «fa il suo». Un modello che ancora oggi viene ricordato con affetto e nostalgia dai dipendenti. Nonostante la catastrofe - provocata dal cambiamento dei mercati ma anche da tanti errori marchiani - abbia ridotto intere famiglie a tirare avanti con i 750 euro mensili della cassa integrazione. Luciana, all’altro presidio davanti la «Santa Maria», rivanga le cene di massa per migliaia di persone organizzate alla «AM» per festeggiare con dipendenti, fornitori, pensionati la festa di Santa Lucia (patrona dei metalmeccanici) ogni 13 dicembre. «Tavolate imbandite - dice Luciana - tutto offerto da lui. Faceva venire i Pooh, Little Tony, Gigi Proietti. Poi a un certo punto si alzava e diceva cose tipo: ”le cose vanno bene, stiamo tutti insieme, auguri”». C’era Santa Lucia, ma anche il pacco natalizio con i dolci, la Befana con i regali per i bimbi. E la colonia estiva di due settimane a Fano per i figli degli operai. Pagava tutto lui. Pagava, Antonio Merloni, anche i prezzi di una gestione aziendale disattenta, le scelte d’investimento confuse, come la fabbrica in Ucraina. E a nulla è servito vendere i suoi terreni e case in Sardegna (70 milioni, mise nel piatto, nel 1973), varare piani di rilancio a raffica, cambiare modello industriale (dal conto terzi ai marchi). O l’ultima scelta: cedere le sue quote (forse non il potere) alla 33enne figlia Giovanna, ingegnere, cugina della deputata Pd Maria Paola, nominata vicepresidente del gruppo poco prima del commissariamento. E adesso? Da due giorni i commissari hanno richiamato in fabbrica 600 dei 1.300 operai di Santa Maria e Maragone. E cercano compratori. Che quasi sicuramente non saranno né la Indesit di Vittorio, né la Mts di Francesco. «A Fabriano c’è un’azienda che ha avuto dei problemi, per scelte che non sta a me commentare», ha detto gelidissimo Paolo Merloni, figlio di Francesco e ad del Mts Group. I lavoratori tremano, vedono accumularsi affitti e bollette non pagate, e sperano in un miracolo. Uno di loro, Giulio, la vede così: «Sono sicuro che Antonio Merloni spera di rientrare, di recuperare la sua azienda, al termine dell’amministrazione controllata». Forse è così. Stampa Articolo