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 2008  novembre 06 Giovedì calendario

Corriere della Sera, giovedì 6 novembre L’occasione di occuparmi seriamente, come scrittore, dell’uomo Dino Campana mi si presentò nel 1982

Corriere della Sera, giovedì 6 novembre L’occasione di occuparmi seriamente, come scrittore, dell’uomo Dino Campana mi si presentò nel 1982. L’editore Giulio Bollati e il giornalista e scrittore Corrado Stajano stavano progettando per l’editore Mondadori una collana di «casi giudiziari» che avessero avuto qualche rilevanza nella storia politica o in quella del costume. Mi chiesero se avevo delle idee da proporgli. Gli dissi che non ero a conoscenza di nessun processo interessante (soltanto in seguito avrei avuto occasione di imbattermi nel processo ai Futuristi per oltraggio al pudore, all’epoca della rivista «Lacerba»): ma che mi sarei occupato volentieri del percorso giudiziario di Dino Campana, per il suo internamento in manicomio. In seguito alla legge del 14 febbraio 1904, n.36, infatti, le autorità che decidevano il destino dei matti in Italia erano il Ministro dell’Interno e quello di Grazia e Giustizia; e le vicende personali di ogni matto, prima di essere un caso clinico, erano un caso giudiziario affidato ai pubblici ufficiali e alla magistratura. La documentazione su Dino Campana doveva trovarsi negli atti del tribunale di Firenze e degli altri tribunali delle località dove lui era stato in manicomio o in prigione. Per facilitare le mie ricerche in Italia, Giulio Bollati, che allora era amministratore delegato della casa editrice Il Saggiatore, mi scrisse questa lettera, datata Milano 19 novembre 1982: Il Dott. Sebastiano Vassalli sta conducendo una ricerca storica, intesa a ricostruire la biografia dello scrittore Dino Campana; biografia che sarà pubblicata dalla nostra casa editrice. Saremo grati alle persone e agli Enti che vorranno facilitargli l’accesso a notizie, documenti, luoghi, utili al suo lavoro. Per l’estero, Bollati si rivolse all’ambasciatore Sergio Romano, che era allora il responsabile, presso il Ministero, degli Istituti Italiani di Cultura. Vennero interpellati gli Istituti di Buenos Aires, di Montevideo, di Bruxelles e di Berna. Dal Sudamerica arrivarono risposte generiche, sulla difficoltà o addirittura sulla impossibilità, per quei Paesi, di avere notizie degli immigrati nei primi anni del secolo. In Belgio e in Svizzera, invece, si fecero ricerche molto accurate, che portarono ad escludere che Dino Campana fosse mai stato registrato, sia pure solo per un giorno, nelle prigioni di Bruxelles, di Ginevra o di Berna. I mesi di carcere raccontati da Dino a Pariani non erano mai esistiti, così come non era mai esistito (si veda, in proposito, il saggio di Gino Gerola edito da Sansoni nel 1955) il mese di prigione a Parma. In compenso, nella «vita non romanzata» del Pariani, non si faceva il minimo accenno all’unica prigione dove Dino era stato davvero per qualche settimana: il carcere di Marassi a Genova… *** Con la lettera della casa editrice Il Saggiatore mi presentai all’Archivio di Stato di Firenze, nel palazzo degli Uffizi. I primi documenti che vidi furono i registri del Regio Esercito, in cui Dino Campana risulta: Soldato volontario nel 40˚Reggimento Fanteria (Allievo ufficiale) ascritto 1ª categoria classe 1883. (Dino era nato nel 1885, e se avesse aspettato la leva, sarebbe dovuto andare alle armi due anni dopo, con la sua classe di appartenenza). Dal 4 gennaio al 4 agosto 1904. Il 4 agosto cessa dalla qualità di allievo ufficiale per non aver superato gli esami al grado di sergente. Quella fu la prima sorpresa: e non era una sorpresa da poco, perché non faceva parte della «vulgata » sul poeta pazzo, e anzi la contraddiceva radicalmente. E perché racchiudeva un segreto di famiglia, tenuto nascosto a tutti e così ben difeso che anche i cugini di primo grado e gli altri parenti non ne avevano saputo nulla. A diciotto anni, Dino si era arruolato volontario per intraprendere la carriera militare, ed era stato ammesso al corso allievi ufficiali. Il 40˚Reggimento di Fanteria (devo questa precisazione al professor Giovanni Tesio dell’Università del Piemonte Orientale, che sta svolgendo ricerche in proposito) era effettivamente di stanza a Modena. L’Accademia Militare di Fanteria era (ed è) a Modena, e accedervi non era cosa da tutti. C’era una selezione rigorosissima, che comprendeva esami e prove attitudinali. C’era da sostenere la spesa (notevole) del «corredo»: oltre alla biancheria la divisa invernale, la divisa estiva, l’alta uniforme, lo spadino, il cappello eccetera. *** La storia del poeta pazzo è una storia italiana che ha al suo centro la famiglia (il «familismo» è il principale connotato antropologico di questo Paese) e che poi si arricchisce di altri connotati, diventa un concentrato di storie italiane tra Ottocento e Novecento. Ci sono dentro l’emigrazione, i manicomi, le avanguardie artisticoletterarie («La Voce», i Futuristi), l’interventismo e la Grande Guerra, i «casini » e l’emancipazione femminile (il femminismo pionieristico dell’Aleramo). Ci sono dentro troppe cose perché la storia di Dino, quella vera, fosse raccontabile e accettabile, e perché una sola vita potesse reggerle tutte. Meglio coprire tutto con un velo di menzogne: come poi si è fatto. Al centro della famiglia Campana c’è la madre: Fanny Luti Campana, che dopo la nascita del secondo figlio, Manlio, rifiuta il primogenito e non riesce più a sopportarlo. A questo proposito è fondamentale la testimonianza di Giovanna Diletti Campana, moglie del fratello del padre, Torquato: perché è molto esplicita e perché si basa sull’esperienza diretta della testimone, e non su qualcosa che lei sa per sentito dire. (Il novanta per cento delle testimonianze su Campana riguardano cose che «tutti sanno», ma a cui nessuno ha assistito personalmente). Dino, in casa, non può starci perché la madre non lo tollera. I suoi guai nascono da lì: e si sa che, quando una vita incomincia ad andare storta, poi non c’è più nessuno che la raddrizzi. La bocciatura in prima liceo, i comportamenti strani, gli anni trascorsi in collegio sono una conseguenza di quel dramma familiare: e a loro volta causeranno l’alcolismo, i vagabondaggi, la nomea del «matto» e le persecuzioni dei compaesani… I coniugi Campana faranno tre tentativi di liberarsi del figlio primogenito. Il primo tentativo è la carriera militare, di cui si è detto; il secondo tentativo è l’internamento a vita in un manicomio; il terzo tentativo è il viaggio in Argentina con un passaporto speciale, valido soltanto per l’andata. Non ci riusciranno. *** Contrariamente alla leggenda marradese, messa in circolazione dalla famiglia, a diciotto anni Dino è tutt’altro che matto. Supera, con una buona votazione, l’esame di maturità al liceo D’Azeglio di Torino e viene ammesso all’Accademia Militare di Modena, dove rimane sette mesi, adattandosi a una disciplina durissima. Perché la sua carriera militare poi si interrompa, è rimasto un mistero. Al centro di quel mistero c’è un avvenimento che viene vissuto con vergogna dai suoi familiari e anche da lui. Nessuno più parla di quei sette, anzi: otto mesi. (Con il mese del cosiddetto «tirocinio »). Sono stati cancellati dalla vita di Dino. Anche l’interessato, così prodigo nel raccontare balle al suo biografo Pariani, si guarda bene dal farne parola. Soltanto in un testo del 1916, scritto per la rivista «La Riviera Ligure», leggiamo: A diciott’anni rinchiusa la porta della prigione piangendo gridai: Governo ideale che hai messo alla porta ma tanta ma tanta canaglia morale. Di che prigione si tratta? Era l’Accademia, la prigione? A Pariani, Dino disse di essere stato un mese in prigione a Parma quando aveva diciott’anni. Ma nei registri del carcere di Parma il suo nome non c’è, e anche a volerla collocare in un altro luogo, la condanna a un mese di prigione è poco verosimile. (A diciotto anni, allora si era minorenni). Di certo, c’è soltanto il fatto che non tutti i cadetti dell’Accademia Militare riuscivano a concludere i due anni di corso, e che anzi quelli che ci riuscivano erano forse una minoranza. Il fallimento, che per Dino rappresentò una tragedia, a Modena doveva essere un destino abbastanza comune… Sebastiano Vassalli