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 2008  novembre 02 Domenica calendario

Sempre più indebitate e con la prospettiva di avere sempre meno soldi per far fronte agli impegni presi

Sempre più indebitate e con la prospettiva di avere sempre meno soldi per far fronte agli impegni presi. Sono le università italiane alle soglie di una stagione di sacrifici. A partire dal 2010 la legge 133 ridurrà di 1.500 milioni i finanziamenti che tengono in vita la didattica nelle aule accademiche. E se i soldi diminuiscono, crescono i debiti. Da una ricerca del Miur è emerso che le esposizioni bancarie degli atenei aumentano costantemente, con alcuni picchi preoccupanti. Ci sono università indebitate fino ad un quinto dei fondi ricevuti dal governo, e difficilmente potranno far fronte agli impegni presi con il drastico ridimensionamento dei trasferimenti statali previsto per i prossimi anni. Gli ultimi stanziamenti ammontano a 7.119 milioni di euro, l’1,5 per cento in più rispetto all’anno precedente, e in futuro, per la prima volta da quando c’è l’autonomia, il trend di crescita sarà negativo. Nel 2009 il fondo conterrà 63 milioni in meno, ma il calo nel 2010 toccherà quota 661 milioni, ovvero più del 10 per cento in meno. I tagli hanno scatenato la protesta degli atenei, eppure su un punto governo e rettori sono d’accordo: bisogna intervenire per evitare il tracollo. «Corriamo il rischio di non poter pagare neppure le retribuzioni del personale», ha spiegato la Crui, la conferenza dei rettori. Proprio questo è il cuore del problema. Secondo le ultime stime, le spese per gli stipendi di docenti e dipendenti tecnici o amministrativi pesano per 6,3 miliardi di euro, ovvero l’89 per cento del fondo di funzionamento ordinario (Ffo) stanziato dallo Stato. L’anno scorso erano all’85,1. Il governo, con in testa il ministro Mariastella Gelmini, intende ridurre i costi, e contrattacca su sprechi e bilanci prossimi al dissesto di alcuni atenei: «Dobbiamo dotarci di un sistema efficace per evitare che risorse distribuite a pioggia vengano dilapidate». Il ministro ha ricordato che in Italia sono attivi 5.500 corsi di laurea, 37 dei quali attivi con un solo studente, 327 facoltà che non superano i 15 iscritti, 320 sedi distaccate per 94 atenei (troppi per il ministro). «Eppure – ha aggiunto – produciamo meno laureati del Cile e non c’è un solo ateneo italiano tra i primi 150 al mondo». I rettori confutano parte di questi dati, ma anche per il mondo accademico è necessaria una riforma: «Un’autocritica è necessaria – ammette Enrico Decleva, presidente Crui – e siamo consapevoli che si debbano spendere meglio le risorse. Ma per quanto sia possibile ridurre e tagliare, come si fa a lavorare ritrovandosi da un anno all’altro con 700 milioni in meno?». Sul crinale del dialogo si muove anche il gruppo Aquis, composto dai tredici rettori degli atenei «virtuosi », quelli cioè con i conti in regola, pronti a «spendere meglio le risorse di cui dispongono a patto che il governo abbandoni la politica della mannaia ». «Bisogna lavorare sui costi del personale», propone Gilberto Muraro, docente di Scienze delle Finanze a Padova, che durante il governo Prodi guidava una commissione istituita proprio per risanare le finanze delle università: «La legge fissa un tetto: chi spende oltre il 90 per cento dei fondi di funzionamento per stipendi e costi fissi incorre in sanzioni. Cominciamo a rispettarlo». Nel 2007 sono state, conti «puri» alla mano, 26 le università fuorilegge da questo punto vista. Che si riducono a sei (Napoli L’Orientale, Pisa, Firenze, Trieste, Cassino e Bari) grazie alla «correzione» prevista dalla legge 31 del 2008. Come se non bastassero le spese di gestione, ci sono anche le banche con cui fare i conti. Secondo i dati Miur, le università indebitate sono 41. E in qualche caso è già scattato il campanello d’allarme. Ad esempio per L’Orientale di Napoli, ateneo da 10 mila studenti, che ha acquistato una nuova sede da 30 milioni di euro rilevando dall’Italgrani un enorme palazzo al centro della città. Qui l’esposizione è pari al 21,7 per cento dei fondi di funzionamento incassati nel 2006. Siena, dove è stato recentemente scoperta una voragine nei conti, è invece oberata da debiti per 93 milioni di euro. E non se la passano meglio a Firenze, dove per pagare le rate dei mutui, e contemporaneamente far quadrare i bilanci in disavanzo per oltre 22 milioni, hanno messo in vendita i gioielli di famiglia: le storiche ville Favard e Montalve. Ma non solo chi ha difficoltà di cassa ricorre al credito. Anche il «virtuoso» Politecnico di Milano, uno degli atenei con il miglior rendimento economico (qui le spese del personale coprono solo il 66 per cento dei 191 milioni stanziati), ha contratto debiti per quasi il 10 per cento delle proprie entrate governative. «Abbiamo risorse e piani di rientro, ricorrere al credito non è sbagliato a prescindere », spiega il prorettore Giovanni Azzone. «Ma se il governo deciderà di ripartire i sacrifici imposti dalla legge Tremonti in modo generalizzato, ignorando chi ha saputo contenere le spese, anche noi ci troveremo in difficoltà», aggiunge. Nella graduatoria degli indebitati figurano poi università come il Piemonte Orientale, le siciliane Messina e Palermo, e la Statale di Milano, il cui 7,65 per cento di indebitamento va però tarato sui 272 milioni incassati nel 2006. Visto il clima infuocato, è difficile immaginare che il governo possa dare una mano con le rate in scadenza. «Le università si sono indebitate – spiega il sottosegretario Giuseppe Pizza – perché spendono più di quanto ricevono. Non è possibile accollare allo Stato errori di gestione o di progettualità». Non resta che intaccare i patrimoni immobiliari. Per il futuro, però, gli esperti propongono l’introduzione di una norma che fissi dei limiti anche per le esposizioni bancarie degli atenei: «Sull’argomento manca una legge – conferma Muraro – ma va detto che alcuni atenei hanno sbagliato in buona fede. Forse prevedevano per il futuro che il governo continuasse ad aumentare i trasferimenti finanziari. E del resto chi poteva immaginare che invece di incrementare i già magri finanziamenti, il nuovo governo li avrebbe tagliati?». Antonio Castaldo