Dariusch Atighetchi, Il Sole-24 Ore 2/11/2008, pagina 46, 2 novembre 2008
Il Sole-24 Ore, domenica 2 novembre Per l’Islam l’uomo non è padrone di sé stesso; il malato che mostra forza di spirito nell’affrontare le sofferenze guadagna credito verso Dio; inoltre, l’eutanasia gli impedirebbe di ottenere questo credito
Il Sole-24 Ore, domenica 2 novembre Per l’Islam l’uomo non è padrone di sé stesso; il malato che mostra forza di spirito nell’affrontare le sofferenze guadagna credito verso Dio; inoltre, l’eutanasia gli impedirebbe di ottenere questo credito. Il Corano (6,151) recita: «non uccidete il vostro prossimo che Dio ha reso sacro, se non per una giusta causa». I documenti giuridico-religiosi islamici condannano l’eutanasia; tuttavia, al loro interno si notano posizioni differenti di fronte a particolari situazioni cliniche in quanto interpretate in modi diversi. In altre parole, si incontrano almeno due correnti di opinioni: A) opinioni che proibiscono l’eutanasia attiva e passiva, il suicidio e il suicidio assistito; il divieto sembra valido indipendentemente dalla condizione psico-fisica del paziente. B) Una seconda corrente, minoritaria e più articolata, vieta l’eutanasia ma tollera l’interruzione di trattamenti terapeuticamente inutili mirati esclusivamente a ritardare un’inevitabile morte incrementando il dolore. Non si tratterebbe di un atto eutanasico, né di interrompere direttamente una vita ma solo di ripristinare, se possibile, il processo naturale del morire senza interventi manipolativi del medico. Infatti, il morire tecnologicizzato viene talvolta percepito come una forma di manipolazione della dignità umana. Non a caso il Codice islamico di etica medica del 1981 diceva «il medico deve allungare la vita, non la morte». Un detto del Profeta Muhammad recita «anzitutto non provocare danno». Ma quando finisce la vita e inizia la morte? Le opinioni divergono. Ad esempio, parecchi esperti sostengono che il prolungare la vita di un paziente in stato vegetativo permanente (il caso Terri Schiavo) è illecito in quanto è assente la coscienza cioè l’elemento caratterizzante l’uomo; oppure, questo stato clinico è innaturale e artificialmente provocato. Il Comitato etico dell’Associazione medica islamica del Nord America giudica non-obbligatorio proseguire l’assistenza con trattamenti inutili (inclusa la respirazione artificiale) pur conservando la nutrizione e idratazione artificiale; il decesso del malato terminale non verrebbe imputato alla sospensione delle "terapie" ma al processo inarrestabile della malattia. Analoghe le posizioni dell’Organizzazione islamica per le scienze mediche, dell’Accademia di diritto musulmano di Jeddah nel 1999 e dell’ultimo Codice islamico di etica medica (2004): poiché un trattamento futile non è obbligatorio, le procedure "terapeutiche" possono essere interrotte (inclusa la respirazione artificiale); bisogna mantenere l’idratazione e l’alimentazione artificiale, oltre alla cura del dolore (anche a rischio di accorciare la vita). Il Codice di etica medica della Repubblica Islamica del Pakistan definisce eliminabile qualsiasi trattamento che mantenga il malato in uno stato vegetativo permanente o qualsiasi trattamento che non riesca a interrompere la totale dipendenza dalle cure intensive. In realtà i documenti islamici non sono unanimi circa il valore da riconoscere alla nutrizione e alla idratazione artificiale, cioè se si tratti di strumenti terapeutici o meno; ne consegue una incertezza nel valutare la disponibilità a staccare tali strumenti in determinati casi. La valutazione viene complicata dall’esteso ricorso ai criteri di "futilità-inutilità" per interrompere l’assistenza medico-tecnologica in atto, oppure per non iniziare un nuovo intervento medico. Su queste tematiche chi legifera è solo lo Stato. Il referente religioso rimane importante come dimostra la difficoltà manifestata da parecchi Stati islamici nell’approvare legalmente i criteri di morte cerebrale a causa dei contrasti tra le autorità religiose locali. Ciò non ha impedito alla grande maggioranza degli Stati islamici di approvare tali criteri. I Codici Penali degli Stati musulmani vietano l’eutanasia. Nonostante ciò, interpretazioni difformi della situazione clinica e delle leggi rendono le pratiche eutanasiche (non percepite né definite come tali) presenti in parecchi Paesi. A complicare il quadro, in questi contesti culturali tra il dovere di non uccidere e il diritto di rifiutare trattamenti da parte del malato grave o terminale, la preoccupazione di non uccidere è prevalente, soprattutto per il timore di incorrere nei rigori della legge. Il testamento biologico (meglio dire direttive anticipate) non costituisce un problema, anzi, in Nord America e in altri Stati occidentali le associazioni mediche islamiche lo raccomandano vivamente. Alcuni Parlamenti musulmani si stanno muovendo in tale direzione. L’utilità di simili documenti appare evidente in quelle aree di immigrazione in cui l’autonomia del malato è più rispettata ma è anche più forte il rischio dell’accanimento terapeutico. I modelli di testamento biologico islamico circolanti possono includere richieste assai diverse. Ad esempio, quella di rispettare i desideri del malato nella gestione delle fasi terminali o molto gravi quando costui non sarà più in grado di decidere; di nominare il tutore-rappresentante del malato; di donare o meno i propri organi post-mortem; di includere le disposizioni ereditarie, eccetera. Contemporaneamente, le richieste del malato e del suo rappresentante devono rispettare i principi dell’Islàm (rifiutando atti eutanasici) e, per evitare tale eventualità, il testamento non dovrebbe risultare vincolante per il medico. Dariusch Atighetchi