Salvatore Silvano Nigro, Il Sole-24 Ore 2/11/2008, pagina 33., 2 novembre 2008
Il Sole-24 Ore, domenica 2 novembre Il ritrovamento di una cartolina postale ripropone l’«affaire Manzoni» del 1955
Il Sole-24 Ore, domenica 2 novembre Il ritrovamento di una cartolina postale ripropone l’«affaire Manzoni» del 1955. Giorgio Bassani scrive a Guglielmo Alberti, il 13 maggio del 1955: «Carissimo, scusami se non ti ho risposto subito. Ti scrivo da Napoli, dove, a scanso di espulsioni definitive dai ranghi della scuola, ho dovuto riprendere l’insegnamento all’Istituto Nautico. Parto da Roma alle 5,30, quattro mattine alla settimana; il resto del tempo lo dedico al Manzoni. Ecco dunque come stanno le cose. Fatto un sunto, per Gatti, delle varie risposte al referendum luxiano, ho cominciato a pasticciare attorno a un embrione di trattamento. Al presente, ho scritto una trentina di pagine, che corrispondono, all’incirca, ai primi dodici capitoli del romanzo: fino all’entrata in scena della Signora di Monza, per intenderci. Ho visto due volte il precedente film di Camerini, dove questo personaggio è trattato in modo veramente indecente. Io mi sto sforzando di cavarne qualcosa di meglio; e spero che ci riuscirò. Certo, molte scene, già in questa prima parte, ho visto che è impossibile conservarle, se non si vuole fare un film veramente chilometrico. Senza tener conto del fatto, poi, che ciò che è bello a leggerlo in un romanzo, può diventare noiosissimo nello schermo... Faccio un esempio: il dialogo sublime tra il Conte-zio e il Padre provinciale: che è una digressione, mi pare, irrecuperabile. Vorrei veramente finire questo lavoro per maggio, anche se la data di consegna è stata fissata al 1° giugno». Lo scozzese Archibald Colquhoun aveva pubblicato, nel 1951, la traduzione inglese dei Promessi Sposi; e l’aveva dedicata «Agli italiani del secondo Risorgimento del 1943-1945». Il successo della traduzione aveva indotto la Lux Film a progettare una nuova riduzione cinematografica del romanzo, che rispondesse alle esigenze di un pubblico internazionale e facesse dimenticare l’untuosità provinciale dei Promessi Sposi di Camerini. Nell’autunno del 1954, il consigliere delegato della Lux Film, Guido Maria Gatti, ed Emilio Cecchi, convocarono a Roma Colquhoun. Insieme rividero e commentarono il film di Camerini. E decisero di affidare a Guglielmo Alberti, in quel momento impegnato nella traduzione francese del romanzo manzoniano, il coordinamento del nuovo progetto. Gatti inviò una lettera circolare a Colquhoun, a Bassani, a Bacchelli e a Mario Parenti. Chiese suggerimenti su come impostare il film. E decise di affidare il trattamento a Bassani, che consegnò il testo definitivo alla fine dell’estate del 1955. Il trattamento di Bassani (pubblicato dalla Sellerio) risultò in sintonia con il suggerimento "politico" di Alberti: «Per tutto quel che ci ha tristamente insegnato il fascismo e per tutto il resto che ancor più tristamente è seguito nel mondo intero col proceder del secolo, sappiamo che non s’intendono I promessi sposi se non ci si identifica, come il più candido lettore, alle persone stesse di Renzo e Lucia, questa "gente di nessuno". Poiché "gente di nessuno" ci siamo sentiti un po’ tutti a un certo momento e da un momento all’altro sappiamo che potremo sentirci di nuovo, tanto precaria conosciamo ormai per essere la condizione umana, tanto facile la perdita del più elementare diritto in un mondo in cui non ci vuol nulla perché il sopruso si faccia, più o meno apertamente, legge, con la certezza di poter contare sulla tacita complicità dei più». Alberti temette che la regia del film venisse affidata al suo amico Mario Soldati. Colquhoun lo rassicurò: «Soldati è troppo impegnato e così sembra che tu non debba preoccupartene». Alberti preferiva Federico Fellini, il regista della recente Strada. Ma tutto sfumò. Dal trattamento di Bassani venne estratta una sceneggiatura men che mediocre, che arrivò a prendere sul serio l’ottimismo accomodante di un don Abbondio democristianamente modellato. La comitiva di collaboratori si ritrasse. Il film non si fece. Tutto il materiale (compreso quello qui citato) andò disperso. Dal Fondo Bacchelli della Biblioteca comunale dell’Archiginnasio di Bologna, proviene la risposta (della quale qui pubblichiamo uno stralcio) con la quale lo scrittore contribuì al referendum luxiano del 1955. A Bacchelli la sceneggiatura allestita dalla Lux dovette risultare ignobilmente deludente. Già a proposito del film di Camerini, lo scrittore manzonista aveva scritto a Gatti, nel 1941, in una lettera anch’essa inedita: «Sono stato esplicito e forse crudele, ma da parte mia bisognava pur dire e fissare i termini di quel che al film, per nessuna considerazione al mondo, è lecito tradire e falsare, come accade invece nell’attuale finale». Bacchelli aveva studiato la «dolorosa disperazione umana», che si fa romanzo nei Promessi Sposi. E non poteva accettare il miracolismo, come chiave di lettura del romanzo manzoniano: fosse esso legato alla finale pioggia liberatrice, nel film di Camerini; o alla salvifica peste che, nel finale della sceneggiatura tratta dal testo di Bassani, veniva allegramente celebrata da don Abbondio. Nel 1967, Bacchelli firmerà con Sandro Bolchi la sceneggiatura del teleromanzo I promessi sposi. Saranno otto puntate. Libero Bigiaretti accuserà il teleromanzo di «assurda equivalenza letterale». 1Il testo integrale della proposta di riduzione cinematografica dei «Promessi Sposi» fatta da Bacchelli sarà pubblicato nella rivista annuale «La modernità letteraria» (Fabrizio Serra editore, Pisa), nella primavera del 2009. Salvatore Silvano Nigro