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 2008  novembre 05 Mercoledì calendario

Non sono certo i tempi in cui si possa andare a vedere la Nba a cuor leggero. Due biglietti, un paio di hamburger e il cappellino ricordo, e sei già in rosso nel conto in banca

Non sono certo i tempi in cui si possa andare a vedere la Nba a cuor leggero. Due biglietti, un paio di hamburger e il cappellino ricordo, e sei già in rosso nel conto in banca. Il basket Usa, una favola per il marketing, lo sport più «venduto» al mondo, fa i conti con la recessione. La stagione appena iniziata sarà all’insegna dell’austerità. Ci sono le eccezioni. Una su tutte, Los Angeles: l’unica città dove il prezzo del biglietto è aumentato. Succede sempre quando i Lakers vincono o arrivano in finale. Jack Nicholson e Denzel Washington, pagheranno 2.500 dollari a partita per sedersi a bordo campo. Per 41 partite. Esclusi i playoff. Ma questa è Hollywood, e la fila di quanti vorrebbero quelle poltrone, va dallo Staples Center fino al Viale del Tramonto. Non è l’americano medio. L’America vera che digrigna i denti, la incontri piuttosto a Charlotte, North Carolina, sede dei Bobcats. Il proprietario, Bob Johnson, fondatore del Black Enterteimment Network, il canale afroamericano, è in perdita da anni: «E questa non sembra certo la stagione in cui riusciremo a ribaltare il trend». Oltre la metà delle franchigie è in rosso. «Congiuntura storica delicata», spiega vagamente David Stern, il commissioner della Nba. E intanto, per prepararsi all’inverno economico, chiude gli uffici di Los Angeles e licenzia un’ottantina di impiegati. La forza lavoro persa nel business legato alla Nba è stimata al 9,1% negli ultimi tre mesi. «Bisogna stare calmi – ribadisce Stern ”. La nostra lega è passata attraverso momenti anche peggiori. Eppure siamo qua, vivi e vegeti». Vivi, d’accordo, sul vegeti si potrebbe discutere. Diciamo convalescenti. L’ultimo anno per la Nba non è stato esattamente materiale da collezione. Lo scandalo delle partite truccate dall’arbitro Tim Donaghy che orientava il punteggio a vantaggio degli allibratori clandestini, ha sollevato molte ombre. Il reo confesso è in galera, ma l’indagine è stata silenziata con stile sovietico. Donaghy disse di non essere il solo, ma nessuno è stato a sentirlo. La finale Boston-Los Angeles doveva servire a riverniciare la facciata di fresco. Due franchigie leggendarie, una rivalità accesa. Eppure. I dati di ascolto sono cresciuti ris petto alla noiosissima San Antonio’Cleveland di dodici mesi prima, ma non tanto da gridare al trionfo. E anche lì, polemiche: dicono che si siano messi d’accordo per arrivare almeno a gara 6, per motivi televisivi. Esagerano, ma che la Nba avesse «caldeggiato» quella sfida si sapeva. E alcune decisioni arbitrali, per così dire, «condizionate», hanno messo pepe sulla vicenda. Insomma, tutto il mondo è paese. Ma anche una ripetizione di Lakers contro Celtics nel 2009 (probabile) non risolverà il problema se il mondo attorno si sgretola. Prendete Philadelphia. Sede di una delle squadra più prestigiose, i 76ers: il palazzo dello sport di chiama Wachovia Arena. La Wachovia è una banca che non esiste più. Se l’è comprata la Wells Fargo. Però i 76ers non stanno vedendo un dollaro. Dice Craig Depken, economista della University of North Carolina: «La volatilità dei mercati ha un effetto decisivo su di un mondo, la Nba, che punta tutto sul brand. Le conseguenze di questo crollo, nel mondo dello sport, sono solo all’inizio». Il piano B per la Nba è stato preparato per tempo. Se la lega dovesse oggi sopravvivere grazie al mercato interno, saremmo alla tragedia. Ma da anni l’abile Stern ha reso la lega un business senza precedenti. L’economia mondiale potrà anche contrarsi, ma prima che 300 milioni di cinesi (il numero stimato di praticanti) smettano di comprare cappellini e magliette, di tempo ne passerà. La Cina, bisogna dirlo piano, è l’attuale vera patria della Nba. Con 51 canali televisivi che trasmettono le partite (ce ne sono 71 in tutta Europa), il colosso asiatico garantisce prosperità negli anni a venire. Nel 2007 l’acquisto di oggetti griffati Nba fu di 400 milioni, il 50% in più rispetto alla stagione precedente. E non è un discorso di bandiera, perché la maglia di Yao Ming, la star di Houston importata da Shanghai, è solo al decimo posto delle graduatorie di vendite. Ben lontano da Kobe Bryant e Kevin Garnett, i due rivali delle finali Nba (chiaro il concetto, no?). In Europa è sempre Kobe l’idolo incontrastato al registratore di cassa delle magliette, ma forse non tutti sanno che ci sono due italiani nei primi dieci: Bargnani al 7˚ e Belinelli al 9˚, senza neppure aver messo piede in campo o quasi. Noi sì che siamo nazionalisti. Popolarità Nel Paese asiatico sono 52 i canali che trasmettono le partite. E nel 2007 il merchandising della Nba è aumentato del 50% Spettacolo Kobe Bryant (L.A. Lakers) va a canestro contro i Denver Nuggets nei playoff 2008. I Lakers hanno poi perso la finale con gli eterni rivali dei Boston Celtics Hollywood c’è Numerosi gli attori e i registi fan della Nba. In alto, Antonio Banderas e Cameron Diaz. Sopra, Jack Nicholson con il figlio Raymond Riccardo Romani