Pietro Garibaldi, La Stampa 4/11/2008, pagina 1, 4 novembre 2008
La Stampa, martedì 4 novembre Dopo il crollo dei mercati finanziari dello scorso ottobre, non si deve più guardare al 1929, ma al 1933
La Stampa, martedì 4 novembre Dopo il crollo dei mercati finanziari dello scorso ottobre, non si deve più guardare al 1929, ma al 1933. Il fallimento della Lehman Brothers e la caduta della Borsa del 20% in un solo mese, sono catastrofi finanziarie paragonabili al crollo di Wall Street dell’ottobre del 1929. La vera sfida è ora evitare di passare dalla crisi finanziaria alla grande depressione. Il punto di riferimento è il 1933, l’anno in cui la disoccupazione negli Stati Uniti raggiunse il 25% (era intorno al 5% nel 1929) e il prodotto interno lordo arrivò a perdere il 50% del valore che aveva quattro anni prima. Abbiamo ottime possibilità di evitare una vera depressione. Le previsioni economiche pubblicate ieri dalla Commissione europea non sono certamente buone, ma non hanno nulla a che fare con uno scenario da depressione. Per l’Italia si prevede una crescita zero sia nell’anno in corso che nel 2009, con una prima ripresa già nel 2010. Rispetto al resto dell’Europa dei 15, rimarremo tra le economie più deboli, insieme con Spagna e Irlanda. Non può ovviamente bastare la lettura delle previsioni della Commissione europea per scongiurare uno scenario di depressione. La vera differenza tra la situazione di oggi e quella d’inizio degli Anni 30 è nelle scelte di politica economica. In quegli anni le autorità monetarie accumularono una serie imperdonabile di errori. Dopo il crollo della Borsa del 1929 la politica monetaria negli Stati Uniti si fece più restrittiva, con aumenti dei tassi d’interesse e riduzione della quantità di moneta in circolazione. La corsa agli sportelli e i fallimenti di diverse banche furono la tragica conseguenza di quegli errori. A differenza di allora, la risposta delle autorità di politica economica è stata in queste settimane imponente. Negli Stati Uniti si è approvata una misura di sostegno al sistema finanziario per 700 miliardi di dollari e numerose istituzioni, sull’orlo del fallimento, sono state nazionalizzate. In quasi tutti i Paesi europei le banche sono state ricapitalizzate. Anche in Italia vi è stata una disponibilità immediata dello Stato a entrare nel capitale delle banche e in questi giorni è allo studio un nuovo provvedimento. Anche la politica monetaria si è mossa in senso opposto a quanto accadde negli Anni 30. La Federal Reserve americana ha nuovamente abbassato i tassi di interesse dello 0,5% la scorsa settimana; la Banca Centrale Europea ha già ridotto i tassi d’interesse e gli operatori si aspettano un’ulteriore riduzione per questa settimana. Sommando tutti questi provvedimenti, lo scenario di lieve recessione previsto dalla Commissione europea appare sia ragionevole che condivisibile. Data l’entità del crollo finanziario, se effettivamente nel 2010 avremo già la ripresa, possiamo interpretare le previsioni della Commissione europea come una buona notizia. Tuttavia, se continuiamo a paragonare la situazione dei giorni nostri con i tragici Anni 30, dobbiamo evidenziare un’importante differenza. Nel 1932, dopo la serie di errori sopra descritti, con l’elezione di Roosevelt alla Casa Bianca gli Stati Uniti diedero luogo a un immenso programma di spesa pubblica e una crescita massiccia dello Stato sociale. Un programma di quella portata, anche se domani dovesse vincere Barack Obama, non è più realizzabile per l’aumento del debito pubblico americano. Un grosso aumento di spesa pubblica non è certamente realizzabile nel nostro Paese. L’aumento del differenziale tra i tassi sul nostro debito pubblico e quello tedesco, un fenomeno osservato in questi giorni, è un campanello di allarme per ricordarci quanto la situazione dei nostri conti pubblici sia delicata e quanto irrealizzabile sia, nel nostro Paese, un grande aumento di spesa pubblica. Lo scontro di questi giorni tra il ministro dell’Economia, intento a difendere i conti pubblici, e i vari ministri della spesa non è un bello spettacolo. L’Italia ha una serie di problemi strutturali, nella pubblica amministrazione, nel sistema fiscale, nel mercato del lavoro, nel sistema educativo che tutti conoscono. Se in Europa si deciderà di permettere ai Paesi di sforare temporaneamente il 3% di disavanzo, è bene che in Italia lo si faccia solo ed esclusivamente per risolvere i problemi strutturali. Perché al di là della crisi i problemi strutturali dell’Italia ci sono e devono essere risolti. I più urgenti sono il riordino degli ammortizzatori sociali e una completa riforma della scuola. Pietro Garibaldi pietro.garibaldi@carloalberto.org