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 2008  novembre 03 Lunedì calendario

New York, 30 ott. (Apcom) - A dirlo meglio di tutti è Homer Simpson, nella puntata del cartone animato cult che andrà in onda domenica prossima, e che è dedicata interamente alle elezioni presidenziali del 4 novembre

New York, 30 ott. (Apcom) - A dirlo meglio di tutti è Homer Simpson, nella puntata del cartone animato cult che andrà in onda domenica prossima, e che è dedicata interamente alle elezioni presidenziali del 4 novembre. Di fronte allo schermo al tatto, in un seggio della fantomatica Springfield, Homer prova a votare per il democratico Barack Obama, ma il computer registra il suo voto per il repubblicano John McCain, non una, ma più volte, prima di inghiottirlo. Il segmento dei Simpsons, diffuso in anticipo su YouTube, è stato visto da milioni di persone ed è diventato una sorta di manifesto degli incubi elettorali nella notte in cui gli americani sceglieranno il prossimo presidente. Anche perché l’incidente di Homer è accaduto per davvero, in alcuni stati è previsto il voto anticipato, e potrebbe succedere anche martedì prossimo. I guai in vista sono numerosi, vanno dalle irregolarità nelle operazioni di voto con il possibile malfunzionamento delle ”macchine elettorali’ ai problemi legati alle liste, alle code interminabili ai seggi. E poi naturalmente ci sono i timori di più banali brogli: voti invalidati, elettori che per qualche motivo saranno respinti dai seggi o se ne andranno perché stufi di aspettare il loro turno, magari sotto la pioggia. La premessa è d’obbligo: negli Stati Uniti non si vota - salvo rare eccezioni - con una scheda elettorale e una matita indelebile, ma con sistemi meccanici o informatici spesso bizzarri, modernissimi o gli stessi di decenni fa. E neppure lo scrutinio assomiglia a quello cui sono abituati gli italiani: in molti i casi i voti sono contati dalle stesse macchine o con speciali scanner ottici. Non ci sono copie in carta del voto espresso e non esiste, in almeno 22 Stati americani, alcuna possibilità di controllare che le operazioni si siano svolte in maniera legittima. Di più: nove milioni di elettori, inclusi quelli di Florida e Ohio, useranno macchinari introdotti nel marzo scorso e mai sperimentati. Anche dove il voto è espresso con carta e penna, o dove vengono utilizzati macchinari che timbrano o bucano le schede premendo pulsanti o muovendo leve, i rischi di irregolarità sono concreti. Sembra impossibile, ma la realtà del voto assomiglia drammaticamente a quella di Homer Simpson. Ad esempio in West Virginia, Colorado, Tennessee e Texas dove alcuni elettori hanno premuto sullo schermo al tatto sul nome di un candidato notando che il voto veniva attribuito all’altro. Su YouTube ci sono i filmati che dimostrano questi problemi. I sistemi di voto sono previsti dagli Stati e non sono uniformi sull’intero territorio americano. Il 55 per cento degli elettori voterà con sistemi elettronici a scanner ottici, il sei per cento in più rispetto alle politiche del 2006. Un terzo degli americani sceglie il candidato su un touch screen, che assomiglia a quello di un bancomat, ma spesso non rilascia la ricevuta. Lo stato di New York utilizza ancora un sistema meccanico a leve introdotto negli anni Sessanta. I terribili macchinari che bucano le schede quando l’elettore preme il pulsante relativo al proprio candidato, sono ancora in vigore in Idaho: si tratta degli stessi utilizzati in Florida nel 2000, nel contestatissimo duello tra George W. Bush e Al Gore, poi deciso dalla Corte Suprema. Solo alcune piccole contee di Maine e Vermont usano le schede di carta e le preferenze espresse dagli elettori vengono contate a mano. Dopo lo scandalo della Florida (ci sono le prove di migliaia di voti non contati o attribuiti al candidato sbagliato) il governo federale ha investito milioni di dollari per rinnovare i sistemi di voto in molti stati. Sono state quindi introdotte le nuove macchine con schermo al tatto. La tecnologia non è garanzia di accuratezza. I voti vengono registrati su un chip di memoria, non su carta e la manomissione è un gioco da ragazzi: Cnn ha filmato il procedimento simulato da una associazione che si batte per garantire la regolarità del voto: basta togliere il vecchio chip, sostituirlo con uno nuovo. I ”bancomat’ elettorali sono semplici computer, in fin dei conti, e quello utilizzato per votare è un semplice software: basta poco per riprogrammarlo in maniera da aggiungere un 10% di voti a un candidato. Chi mai riuscirebbe ad accorgersene? La Florida insegna inoltre che il voto può essere influenzato ancora prima che i voti siano espressi: è sufficiente che i commissari responsabili dei seggi non consentano di votare ad alcuni elettori, per presunte irregolarità nelle liste elettorali.  vero che il voto è segreto, ma fino a un certo punto poiché gli elettori sono registrati come democratici, repubblicani o indipendenti. E non è un segreto, ad esempio, che il 95 per cento degli afroamericani voti per Obama e che per il democratico votano la stragrande maggioranza degli americani di origine ispanica, due terzi di quelli che hanno un nome ebraico, quasi tutti i giovani sotto i 25 anni. Apcom 19:43 - ESTERI - 30 OTT 2008 ’ Ho trovato su un canale francese di YouTube l’anticipazione della puntata in cui Homer Simpson finisce maciullato dalla macchina per votare. :-( « Fidarsi è bene… American Stories, American Solutions » Azioni * rss Commenti rss * trackback Trackback Informazione * Data : 31 Ottobre 2008 * Tag: Barack Obama, comunicazione politica, così va il mondo, elezioni presidenziali americane, Homer Simpson, John McCain, McCain, Obama, presidenziali americane, presidenziali statunitensi, voto elettronico * Categorie : comunicazione politica, così va il mondo 6 risposte a ”Come si vota negli USA” 31 10 2008 lary1984 (10:21:47) : Io sono favorevole alla tecnologia, permette di risparmiare soldi e tempo, ma nel caso delle elezioni politiche c’è da stare molto attenti, le macchine sbagliano, non sono perfette e possono radicalmente cambiare il destino di una nazione… Credo che per gli USA sarebbe sicuramente meglio usare ancora il vecchio sistema di carta e penna, anche se le dimensioni di questo stato federale sono probabilmente troppo grandi per utilizzare un sistema all’italiana… Ci vorrebbe, come dice Giovanna, un punto di incontro fra tecnologia e controllo manuale: magari voto elettronico e ricevute cartacee, in modo da poter controllare i voti su due fronti, quello umano e quello delle macchine, ma effettivamente sarebbe un lavoro ripetuto 2 volte e si tornerebbe al problema del tempo perso… c’è da chiedersi… ne vale la pena? io credo di sì, per il bene comune degli americani e di tutto il mondo in generale, vista la potenza di questa nazione! 31 10 2008 ilcomizietto (11:33:40) : Per chi fosse interessato al tema della sicurezza del voto elettronico, consiglio uno dei massimi esperti in materia di sicurezza (in generale): Bruce Schneier. http://www.google.com/search?domains=www.schneier.com&q=voting+machine&sitesearch=www.schneier.com%2Fblog Riassunto per chi ha fretta: Il voto elettronio è una truffa. 31 10 2008 Anghelos (13:06:41) : In teoria c’è un modo per rendere il voto eletronico sicuro, e cioè che le macchine di voto stampino un foglio con su scritto il candidato o il partito votato, foglio da mettere poi nelle urne. In questo modo lo scrutinio dei voti su carta dovrebbe dare lo stesso risultato di quello elettronico. Il problema è che a questo punto sembra solo che si raddopppi il lavoro… 31 10 2008 lary1984 (13:12:47) : Anghelos, è praticamente la stessa cosa che ho scritto io… ma credo ne valga la pena!! 2 11 2008 Leonarda Oliveri (10:46:34) : ”La Florida insegna inoltre che il voto può essere influenzato ancora prima che i voti siano espressi…” discorso plausibilissimo. La conclusione di questo post per esempio, orienterebbe senza parere gli elettori verso Obama, per almeno tre ragioni: 1. perchè è citato prima dell’altro candidato 2. perchè il suo nome è indicato espressamente a differenza di quello dell’altro candidato, 3. perchè c’è quel bel 95% (per di più espresso in numeri invece che in lettere) a iniziare la lista delle diverse percentuali dei suoi votanti. O no? Un carissimo saluto. Lea 2 11 2008 Tes (21:43:05) : Colgo l’occasione offerta dal commento della Professoressa Cosenza alle elezioni americane per analizzare il mega spot (30 minuti complessivi) con cui Barack Obama ha sostanzialmente chiuso la sua campagna elettorale ”above the line”. In primo luogo la collocazione temporale è stata accuratamente scelta: prime time (ore 20 della costa est) di mercoledì (in mezzo alla settimana, quando la gente è prevalentemente in casa) prima dell’inizio delle World Series (le finali del campionato professionistico di baseball). Lo spot, o meglio, come è stato ribattezzato, l’infomercial è costato, solo per l’acquisizione dello spazio sui maggiori network nazionali, oltre 3 Mil $ ed è stato diretto dal regista documentarista Davis Guggenheim , già premio oscar per An incovenient truth girato insieme ad Al Gore. La scelta è stata premiata dal pubblico (vedremo poi dall’elettorato) che ha seguito lo spot con indici d’ascolto impensabili per la comunicazione politica: 21,7%, che si concretizza in 33.6 Mil di telespettatori (rilevazioni Nielsen). L’infomercial è, a mio avviso, una pietra miliare della comunicazione politica che ne sarà, inevitabilmente, segnata negli anni a venire. Lo spot sarà uno spartiacque di cui non si potrà non tener conto. Cerco di analizzarne forma e contenuto (velocemente, altrimenti anziché un post mi viene fuori una bozza di tesi). L’apertura è nel segno del grano, terra e natura quindi, ma anche radici e America profonda (Midwest), accompagnata dalla voce narrante di Obama che infila subito le parole del sogno americano: ottimismo, speranza e forza. Subito dopo il candidato democratico fa la sua apparizione in un interno allestito in modo ”presidenziale” e parla dello ”state of our union”, facendo chiaro riferimento al discorso che il Presidente degli USA tiene davanti al Congresso. In tal modo Obama si presenta al pubblico come se fosse già capo dello stato, tranquillizzando al contempo l’elettorato: l’enormità del cambiamento (un presidente di colore a meno di 50 anni dalle grandi battaglie per i diritti civili agli afro-americani) viene presentata in maniera semplice e naturale . La comunicazione è accuratamente positiva (non attacca in nessun modo Bush o McCain) ed ha come obiettivo il ceto medio americano e le questioni economiche, ciò è evidente in uno dei primi passaggi di rilievo: ”We measure the strength of our economy not by the number of billionaires we have or the profits of the Fortune 500, but by whether someone with a good idea can take a risk and start a new business, or whether the waitress who lives on tips can take a day off and look after a sick kid without losing her job - an economy that honors the dignity of work”. Ciò è reso ancor più evidente dalla forma stessa del mini-documentario che al suo interno ospita le storie di 4 famiglie americane ognuna centrata su un tema sociale (famiglia, pensione/sanità, educazione e disoccupazione) e ambientate nell’America profonda dei piccoli centri urbani con un sottofondo musicale accuratamente studiato con momenti di melò e altri di energia blues. Nelle sequenze di comunicazione diretta, quelle cioè in cui il candidato si rivolge direttamente ai telespettatori guardando dritto in camera, due sono le cose da notare: lo sguardo sereno che pare ”guardare oltre”, verso un futuro meno conflittuale e di maggiore tranqullità economica per il paese (insomma, tutt’altra cosa rispetto alla foto elettorale di Veltroni giustamente criticata su questo blog qualche mese fa) e il testo scritto ”d’appoggio” (in sovrimpressione) che potenzia e semplifica il messaggio orale sulle proposte più rilevanti del programma politico di Obama. Ma la vera e propria chicca dell’infomercial sta nella sua parte finale : la sezione documentaristica dura 27 minuti, ma l’adv si chiude con un’appendice di circa 3 minuti andata in onda in diretta dalla Florida dove il candidato chiude con enfasi un suo comizio. Scelta assolutamente innovativa che mischia registrato e live, offrendo una forma di comunicazione politica tra la gente (il pubblico realmente presente al comizio) anche quando è in tv e che riesce a trasmettere un forte senso di immediatezza (assenza di post produzione televisiva), vicinanza (il pubblico intorno) e comunanza tra leader e popolo (quando il candidato chiude con enfasi il proprio discorso la folla risponde aumentando il volume della propria approvazione sonora) che non ha precedenti nemmeno nell’evoluta comunicazione politica a stelle e strisce. Ciò porta a pensare che anche sui media tradizionali si sia imposta una forma di comunicazione più orizzontale e meno verticale, e quindi più democratica e coinvolgente, ma anche più umana, come dimostrano le ultime parole del documentario (prima del passaggio alla parte live): ”I’m reminded every single day that I am not a perfect man. I will not be a perfect president. But I can promise you this – I will always tell you what I think and where I stand. I will always be honest with you about the challenges we face. I will listen to you when we disagree. And most importantly I will open the doors of government and ask you to be involved in your own democracy again.” La battaglia sui media è stata stravinta da Obama, vedremo tra qualche ora se questo porterà (come di solito avviene) ad un successo nelle urne.