Massimo Mucchetti., Corriere della Sera 2/11/2008, 2 novembre 2008
Venerdì 31 ottobre, alla giornata del risparmio, si è capito chi è il punto di riferimento del sistema bancario italiano se davvero questo vuol conservare una natura privatistica ma non rapace
Venerdì 31 ottobre, alla giornata del risparmio, si è capito chi è il punto di riferimento del sistema bancario italiano se davvero questo vuol conservare una natura privatistica ma non rapace. Davanti al ministro dell’Economia, che come i suoi colleghi europei offre l’aiuto dello Stato ma diversamente da loro ancora non stanzia un euro a copertura, e davanti al governatore della Banca d’Italia, che esorta le banche a rafforzare comunque i patrimoni non escludendo il soccorso pubblico ma lasciandolo all’ultimo posto, Giuseppe Guzzetti ha messo in campo le idee e la forza delle fondazioni bancarie. Le idee sono cinque: 1) se necessario, tutte le fondazioni faranno quanto han fatto le consorelle di Unicredit, e cioè parteciperanno, anche oltre le quote di pertinenza, alla ricapitalizzazione delle banche; 2) lo faranno a sostegno dei manager in carica perché questi hanno ben meritato nella concentrazione del settore alla quale le fondazioni hanno contribuito senza aspettare che la legge le obbligasse a scendere sotto il 50%; 3) le fondazioni non consentiranno che le banche siano ridotte a reti di raccolta del risparmio italiano con i centri decisionali trasferiti all’estero; 4) la corsa ai contributi pubblici (sgravi fiscali, rottamazioni, aiuti alle banche) non va bene: meglio che lo Stato usi le sue scarse risorse nel sociale, affinché non si allarghi il solco tra ricchi e poveri; 5) le banche contribuiranno facendo bene il loro mestiere, restando legate ai territori, consapevoli di essere un’infrastruttura del Paese che non insegue il mito del Roe, inteso come ritorno a breve degli investimenti. Mettendo i punti sulle i della storia, il presidente della Fondazione Cariplo e dell’Acri disegna la sua terza via, giocando il nazionalismo tremontiano contro il liberismo di Draghi e la propensione privatistica del governatore contro il colbertismo del ministro. Per uno di quei paradossi di cui la storia è ricca, proprio al leader delle fondazioni – le nuove Gepi, le nuove Iri, dicevano i critici – tocca erigere un baluardo contro un intervento dello Stato nel credito che porti a regolamenti di conti tra politici e banchieri e tra banchieri e banchieri. Fin dove è possibile, precisa Guzzetti. Ma l’uomo non è un profeta disarmato. La forza, dunque. Le principali fondazioni di Intesa Sanpaolo, Unicredit, Monte dei Paschi, Carige hanno 15-20 miliardi non immobilizzati nelle banche d’origine. Non tutta la somma può essere riconvertita a sostegno delle banche, ma una buona parte sì. E poi le banche non sono l’Alitalia. Guadagnano ancora miliardi. Se per un anno o due riducono i dividendi o li distribuiscono come nuove azioni, ecco che la terza via diventa sostenibile. Del resto, se i titoli bancari fossero convenienti per lo Stato che, si dice, li potrebbe rivendere bene tra qualche anno, idem dicasi per le fondazioni. La terza via, probabilmente, non sarà praticata fino in fondo. Ma la sua esistenza limita le tentazioni dirigistiche e favorisce chi nel governo propende per soluzioni non invasive che aumentano il core Tier 1 con strumenti ibridi senza riportare le banche italiane, nessuna delle quali è a rischio di default, sotto l’egida del governo. mmucchetti@corriere.it