Fabrizio Roncone, Corriere della Sera 2/11/2008, 2 novembre 2008
ROMA – Poco più di un mese, e di nuovo qui. Aeroporto di Fiumicino, varco equipaggi. sempre un piccolo trauma entrare
ROMA – Poco più di un mese, e di nuovo qui. Aeroporto di Fiumicino, varco equipaggi. sempre un piccolo trauma entrare. Le hostess (va bene, certo: la definizione esatta è «assistenti di volo», ma tutti le chiamiamo hostess) che ormai hanno definitivamente messo via il sorriso d’ordinanza e ti vengono incontro con un ghigno che levati, falle passare. Gli steward: di solito belli e fonati, ora tesi e scapigliati. E poi ecco laggiù pure i piloti, i signori comandanti sempre affabili e abbronzati e che invece vengono avanti pallidi e polemici, però sicuri ai limiti della sfrontatezza. La scena è questa. E, per entrarci dentro come si deve, sia chiara anche la sensazione che, subito, fornisce: la rivolta degli iscritti alle cinque sigle sindacali autonome (Anpac, Up, Avia, Anpav e Sdl) è solida. Tutti si preparano all’assemblea convocata per domani nei locali della mensa ma è chiaro che la maggior parte delle hostess e degli steward è assai più nervosa della totalità dei piloti. La stanchezza provocata da questa vertenza infinita spiega qualcosa, non tutto. Punto primo: le hostess e gli steward temono che la Cai – non adesso, certo, ma relativamente presto – possa trovarsi nelle condizioni legali per cominciare a procedere con chiamate nominali. «Potrebbero iniziare a chiamarci, dicendo: le sigle sindacali autonome restano fuori, non firmano, ma chi se ne importa, perché noi intanto ci siamo legalmente costituiti. E ora, poiché tu sei un dipendente Alitalia: vieni con noi, o no?», spiega Fabrizio Teresi, 36 anni, assistente di volo da 15 in Alitalia. Questa storia delle chiamate nominali scuote le sensibilità di molti. «In realtà, in un Paese normale, dovrebbe scuotere la sensibilità di tutti ». Sembra citare Massimo D’Alema, quest’hostess in borghese, in felpa e pantalone militare, Francesca Busello, 33 anni, in azienda da 11. «La Cai ha cambiato le carte su cui, alla fine di settembre, sia pur tra molte difficoltà, ci eravamo ritrovati. Adesso non vogliono riassumere coloro che hanno in carico un handicappato, non vogliono le ragazze- madri, le hostess incinte, non vogliono chiunque sia affetto da una malattia lunga...». Gloria De Marchis, 51 anni, da 31 in Alitalia e sempre, si suppone, conuesto piglio e questi occhi incantevoli. «Se si arriva alla chiamata nominale, qualcuno che cede, che accetti di fregare l’amico e l’amica di mille ore di volo, lo trovano. La nostra partita è, perciò, io credo, una sola...». Quale? «Ottenere un qualche risultato prima che la Cai diventi operativa». Come? «Come? Io, nel 1978, per un complicato rinnovo del contratto di lavoro, ricordo che scioperai per 42 giorni di fila...». Ecco, lo dicono: sciopero. Ci sono quelli che mettono la testa sopra al capannello: «Vi ricordate dei camionisti francesi? Metti in ginocchio un Paese, e poi vedi se non ti ascoltano... ». Si volta la De Marchis (ne ha viste tante: e, per questo, sa forse essere anche più lucida e cinica). «Sa qual è il rischio vero?». No. «Noi siamo forti finché il fronte della rivolta è compatto. Purtroppo, poi, resta la realtà ». Sarebbe? «La storia ci insegna che i piloti sono sempre andati per conto loro, forti della loro professionalità... ». Mentre voi... «Sa, un assistente, con due settimane di addestramento e 100 ore di volo malconcio, te lo ritrovi comunque operativo. Un pilota è più prezioso». Insomma il timore è che i piloti possano spezzare il fronte. E, in effetti, quando ci parli te li ritrovi con queste smorfie, con quest’aria di sfida. «Io penso che trattare con Air France – sostiene il comandante Giuseppe Piscitello, 46 anni, da 20 con la divisa tricolore – sarebbe stato molto meglio». Dieci passi più in là, c’è il comandante Luigi D’Alessio (52 anni) che, simpatico, sereno, per nulla preoccupato da scenari che portano diritti alla disoccupazione, chiede al fotografo Claudio Guaitoli informazioni su un costoso teleobiettivo da acquistare in chissà quale scalo. «Le dirò: questi della Cai mi paiono di un’approssimazione imbarazzante. Trattare con i francesi... va bene, certo... sarebbe stato certamente più ragionevole ». Ecco, perché poi, per quel che conta: i piloti qui parlano molto di Air France. Fabrizio Roncone