Francesca Basso, Corriere della Sera 2/11/2008, 2 novembre 2008
MILANO
Partiamo dalle cifre. Un lavoratore su 10 è straniero. Gli immigrati in Italia, secondo la Caritas, sono quasi quattro milioni (il 6,7% della popolazione), di cui un milione e mezzo quelli che lavorano: producono il 9% del Pil (stima di Unioncamere). In genere fanno i mestieri che gli italiani ormai rifiutano, dalla fabbrica alla raccolta dei pomodori.
Con la crisi economica rischiano il posto di lavoro e di conseguenza il permesso di soggiorno. Se uno straniero con regolare permesso viene licenziato diventa anche irregolare, perché perde il pre-requisito stabilito dalla legge Bossi-Fini per poter prima entrare e poi restare nel nostro Paese. Il segretario della Cgil Guglielmo Epifani lancia l’allarme e chiede una «sospensione della Bossi-Fini per un certo periodo » per consentire a queste «persone che hanno lavorato e lavorato bene» di non essere espulse, tanto più che «non avrebbe alcun senso mandarle via e poi richiamarle quando l’economia dovesse riprendere». Del resto le statistiche mostrano che la maggior parte degli immigrati che perdono il lavoro cerca di rimanere nel nostro Paese per trovare comunque una nuova occupazione (un esempio le badanti, molte delle quali sono ancora irregolari perché la sanatoria non è bastata, ma continuano ad aiutare le famiglie nelle nostre case pur risultando «invisibili »). La temporanea sospensione della Bossi-Fini consentirebbe a chi è licenziato di trovare un nuovo lavoro regolare, usufruendo dei canali messi a disposizione dalle istituzioni. In pratica un operaio che viene lasciato a casa, anziché diventare subito irregolare e incorrere nell’espulsione, potrebbe essere «ricollocato» e trovare un lavoro stagionale come la raccolta dei pomodori.
Un rapporto del ministero dell’Interno spiega che le mansioni più diffuse tra gli immigrati sono operaio, badante, colf a ore, cameriere. Mentre tra le professioni autonome: negoziante, ristoratore e artigiano. La maggior parte degli stranieri con un’occupazione ha un contratto regolare (52,9%), il 24,9% è pagato a ore (la tipologia di compenso tipica delle assistenti familiari), il 16% ha un’attività autonoma e il 5% lascia supporre di svolgere «lavori in nero» (circa 76 mila), percentuale che rischia un’impennata.
Francesca Basso