Mario Margiocco, Il Sole-24 Ore 31/10/2008., 31 ottobre 2008
Il Sole-24 Ore, venerdì 31 ottobre Sono 116 anni che la contea di Vigo, Indiana Sud-occidentale, tre ore d’auto a Est del Mississippi, azzecca il presidente
Il Sole-24 Ore, venerdì 31 ottobre Sono 116 anni che la contea di Vigo, Indiana Sud-occidentale, tre ore d’auto a Est del Mississippi, azzecca il presidente. Ha incominciato nel 1892 con il democratico Grover Cleveland contro Benjamin Harrison. E ha fatto centro per la ventisettesima volta nel 2004 con George W. Bush. Uniche eccezioni, in una serie senza rivali fra le 3.141 contee americane, il 1908, quando sbagliò votando il democratico William J. Bryan invece del vincitore, William H. Taft; il 1956, quando preferì il democratico Adlai Stevenson, del vicino Illinois, a Dwight Eisenhower. Il cuore della contea di Vigo, battezzata da Francesco Vigo di Mondovì, piemontese, arrivato qui a metà 700, amico dei rivoluzionari americani di George Washington, è democratico e conservatore insieme. Per questo ha oscillato con precisione per oltre un secolo tra le diverse fasi politiche. «Questa volta non credo ci sarà partita. La crisi economica ha eclissato tutte le ragioni del conservatorismo dell’Indiana centro meridionale, la triade guns gays and God, pro-armi, anti-omossessualità, e Bibbia», dice C. Joseph Anderson, avvocato, già deputato alla Camera dell’Indiana, poi giudice elettivo per vari anni, oggi avvocato a Terre Haute, 60mila abitanti, la capitale della contea, con oltre metà della popolazione totale. Nell’area il reddito medio per famiglia è di 43mila dollari, al di sotto della media nazionale di 48mila. Vigo fra le contee, e il Missouri fra gli Stati, sono rimasti gli unici, dopo il 2000 e 2004, ad avere mantenuto intatta la reputazione di indicatori delle scelte nazionali, ruolo che prima vedeva anche il Delaware e altre cinque contee, sparse fra Est e Ovest. «Il voto qui, così come quello nel Missouri, ha retto alla prova del tempo perché elettorati storicamente molto democratici, ma anche molto conservatori, hanno sempre trovato ragioni per non sentirsi estranei alle varie stagioni politiche del Paese», dice Chris Gambill, con un uffcio legale a Terre Haute e marito di Bionca, delegata alla convenzione nazionale e fervente sostenitrice di Obama. «Qui abbiamo una forte storia sindacale, di industrie, bilanciata dal conservatorismo della componente agricola e rurale; un grosso campus dell’Università statale dell’Indiana, roccaforte progressista; una popolazione abbastanza anziana, e prudente. Ma sono gli anziani, adesso, ad aver rotto gli indugi». «In cinque anni i miei risparmi per la pensione hanno perso 500mila dollari», racconta un quadro industriale sessantenne, che preferisce rimanere anonimo. «Prima il piano dell’azienda per cui lavoro è stato ridotto, poi ho perso 100mila dollari sul valore della casa, e adesso 200mila sul 401k», cioè il più diffuso piano di pensione integrativa, in parte notevole legato alla Borsa. «Per chi dovrei votare?», si chiede sconsolato. «Basta repubblicani», dicono Ted Elbert e Vicki Weger, produttori tv. Il sindaco di Terre Haute, per la prima volta da molti anni, è repubblicano. Ma tutti i 9 assessori sono democratici. «Nella politica locale i repubblicani non hanno mai contato niente. Ma per la Casa Bianca spesso Vigo ha votato repubblicano», dice William Hanna, colonnello in pensione, e deciso ora a votare Obama. Un motivo: «L’economia». A Terre Haute, a parlare di politica ci si riunisce nel vecchio centro, fra Wabash e Ohio e poche strade attorno, al ristorante Saratoga - il breakfast è l’appuntamento preferito - e al Coffee Ground, alla porta accanto. l’unica zona dove ci si può muovere, per qualche isolato, a piedi. Il resto, supermercati, fast food, ristoranti, depositi e uffici, medici e dentisti, scorre per circa nove chilometri ai lati del tratto locale della Route 41, la vecchia strada Minnesota-Florida, e senza auto si è perduti. Sulla lunga Ohio Street, dal vecchio centro verso Est, presto residenziale, una casa ogni otto è in vendita. I prezzi sono scesi del 15% circa, rispetto ai picchi del 2006. In un nuovo quartiere a Sud, Idle Creek, costruito dieci anni fa ai bordi di un golf, ci sono 40 case in vendita su 150. «Credo che questa volta l’indicazione è che la contea di Vigo sarà massicciamente a favore dei democratici e di Obama: l’economia, e la guerra in Iraq, vista soprattutto come uno sciupio di risorse, non lasciano molto spazio», dice Mark Bennett, editorialista del Tribune Star, il quotidiano locale. Gli elettori locali hanno sempre amato lo split vote, un voto per il Congresso e un altro per la Casa Bianca. « una forma apprezzabile di prudenza. Ma questa volta i repubblicani mi sembrano messi male». George Azar, proprietario del Saratoga, assessore comunale, è sicuro: «Qui vinciamo. In Indiana, forse». «Vinceremo nella contea di Vigo e vinceremo in Indiana», dice Dora Mayabel, vicepresidente dei democratici dello Stato. Che da 44 anni vota repubblicano alle presidenziali e ora è in bilico, dicono i sondaggi. Confermando la previsione di Tom Steiger, sociologo all’Università dell’Indiana: ha fatto l’unico sondaggio delle intenzioni di voto della contea, e ha previsto una maggioranza per Obama. L’Indiana ha la stessa ora di New York e chiude i seggi alle sei, sarà quindi il primo a dare poco dopo la mezzanotte ora italiana gli exit polls, e un primo chiaro segnale di quanto McCain, eventualmente, è stato in grado di recuperare. Gli exit polls saranno affidabili? Secondo Ed Bauer, un legale di Terre Haute, un fondo di sfiducia verso gli afroamericani, eredità del profondo razzismo che negli anni 20 abbondava nell’Indiana meridionale, potrebbe riservare sorprese. «Ci saranno seggi, fortemente democratici, dove Obama prenderà pochi voti», prevede Don Nattkemper, a lungo presidente dei repubblicani della contea. «Tutto vero», ammette Anderson, che al Saratoga è ospite fisso e interpreta volentieri l’anima politica di questo tratto di Midwest apparentemente anonimo, e profondamente americano. «Ma dopo varie esitazioni sono arrivato alla conclusione che la crisi economica ha rotto gli argini: a Vigo vince Obama. E se Vigo non vuole giocarsi la reputazione, Obama vincerà anche nell’intera America». Mario Margiocco