Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  novembre 06 Giovedì calendario

«Per noi l’Alitalia è stata peggio di Bin Laden» dice con sarcasmo a Panorama Mauro Pollio, amministratore dell’aeroporto di Napoli

«Per noi l’Alitalia è stata peggio di Bin Laden» dice con sarcasmo a Panorama Mauro Pollio, amministratore dell’aeroporto di Napoli. «Nei mesi successivi all’11 settembre 2001 perdemmo il 3 per cento dei passeggeri, ad agosto di quest’anno, prima che si scatenasse il putiferio, viaggiavamo con un più 3, a settembre siamo precipitati a meno 9 e ora siamo a meno 12». Un caso isolato ed estremo? Purtroppo no. In attesa che si compia l’estenuante transizione dall’Alitalia alla Cai (Compagnia aerea italiana), i postumi della crisi della ex compagnia di bandiera spazzano le piste degli aeroporti come una tormenta. A preoccupare parecchio gli amministratori delle società di gestione non ci sono solo i crediti incagliati, quei 200 milioni di euro che l’Alitalia probabilmente mai restituirà. C’è di più e forse peggio. C’è soprattutto un’incertezza diffusa su come potrà evolversi di qui a qualche mese il sistema del trasporto aereo nazionale. A Fiumicino prevedono almeno 1 anno e mezzo di difficoltà gravi, soprattutto per i collegamenti intercontinentali. Già ballano 4 mila posti di lavoro nell’indotto, dalle imprese di pulizie a quelle di facchinaggio, dall’handling (i servizi a terra) al catering (vettovagliamento). I casi di aziende grandi e piccole impallinate sono tanti: la multinazionale Sodexo, le piccole coop di autisti, la Giacchieri, la Flycare, il consorzio Acilia-Dragona, la Fedra. Per molti lavoratori sono già scattati tagli agli stipendi e cassa integrazione, altri aspettano che entri in funzione la mannaia dei licenziamenti, mentre le poche aziende che stavano assumendo, come quella per l’assistenza ai disabili in transito nello scalo, si sono fermate in attesa di capire che cosa succederà. Da novembre con il nuovo orario invernale vengono soppressi una decina di voli internazionali (tabella a destra) e ridotte le frequenze del collegamento con New York. Dal momento che, secondo stime prudenti, ogni volo in meno significa 20 persone di troppo sulle piste, c’è da aspettarsi nuovi tagli al personale. «Ci hanno lasciato nell’incertezza più totale e nel frattempo la situazione peggiora di giorno in giorno» sintetizza Mario Canapini, sindaco della giunta di centrodestra di Fiumicino. «Per un comune di 67 mila abitanti come il mio è una tragedia». Anche a Malpensa l’orario invernale comporterà un altro taglio drastico, pari a metà di quel poco che Alitalia aveva lasciato nello scalo dopo la fuga di 1 anno fa verso Fiumicino. Allora fu soppresso l’82 per cento dei voli, una riduzione che ha comportato un calo di passeggeri vertiginoso, con punte del 30 per cento ad aprile, poi del 20 in autunno. Se l’azienda avesse deciso di reagire al tracollo con i licenziamenti, avrebbe dovuto mandare a casa circa un sesto dei dipendenti, 900 lavoratori su 6 mila, spiegano dagli uffici della direzione aeroportuale. Alla fine hanno concordato la cassa integrazione per tutti, 3 o 4 giorni al mese a rotazione con una riduzione del monte salari di circa il 20 per cento. A Napoli da qualche giorno hanno perso il collegamento con Venezia e due frequenze con Malpensa e ora temono sia depotenziata la tratta con Linate, la seconda d’Italia per fatturato e numero di passeggeri dopo la Roma-Milano, fino a oggi servita da 36 voli Alitalia e 30 AirOne alla settimana. A Bari assistono allibiti alla vendita di biglietti sui quali l’ex compagnia di bandiera continua a riscuotere i diritti di imbarco per conto dell’aeroporto rifiutandosi poi di girare il dovuto alla società di gestione. E non è finita. Tutta da chiarire è la faccenda degli slot (diritti di atterraggio e decollo) ora di pertinenza Alitalia ma eventualmente non utilizzati in futuro dalla Cai. Mercoledì 22 ottobre Lega nord e Pd hanno votato insieme alla Camera un documento per consentire ad altre compagnie l’utilizzo di quei diritti a Malpensa, ma il problema riguarda anche Fiumicino e gli altri aeroporti. E tutt’altro che conclusa è pure la vicenda degli accordi bilaterali, cioè le intese per i voli con i singoli paesi extraeuropei, fino a oggi appannaggio esclusivo dell’Alitalia e destinati a passare in eredità alla Cai, anche se quest’ultima quasi sicuramente non li sfrutterà appieno, almeno fino a quando non avrà stretto l’alleanza con un partner straniero. La confusione alimentata dalla transizione infinita dell’Alitalia ha accelerato anche la crisi al vertice dell’Assaeroporti, organizzazione confindustriale che raggruppa le società aeroportuali. Si è dimesso il presidente, Domenico Di Paola, che è anche amministratore degli scali pugliesi, eletto all’unanimità 3 anni fa, e ora i soci non riescono a mettersi d’accordo per individuare il successore. In un primo momento sembrava che l’incarico sarebbe stato assunto da Giuseppe Bonomi, presidente degli aeroporti di Malpensa e Linate (Sea) ed ex dell’Alitalia. Ma all’ultimo momento il manager ha fatto sapere per lettera che non avrebbe accettato. Così ora l’Assaeroporti è affidata a un vicario, Fulvio Cavalleri, dell’aeroporto di Verona, in attesa che la situazione si chiarisca. Non sarà semplice trovare una linea comune perché gli aeroporti hanno interessi assai divergenti. Le spine nel fianco per tutti sono le tariffe, ferme al 2001, e i cosiddetti requisiti di sistema, introdotti nel 2005 per favorire l’Alitalia, ma che a conti fatti hanno foraggiato le società concorrenti, soprattutto estere. L’Assaeroporti si è battuta a lungo, ma invano, per l’attuazione dei «contratti di programma», ispirati a un criterio di «giusta remunerazione del capitale investito» dagli scali. Di fronte alle difficoltà crescenti, ogni società di gestione procede in ordine sparso. Per esempio a Fiumicino i concessionari Benetton, che sono anche soci della Cai, ai contratti di programma sembrano preferire adeguamenti automatici delle tariffe, sul modello già sperimentato con le autostrade. Intanto, nella speranza che Cai decolli e poi si allei con l’Air France privilegiando lo scalo romano, vanno ripetendo in giro che intendono investire per ospitare 50 milioni di passeggeri nel 2015. A Milano, invece, la Sea ha deciso di andare avanti per conto proprio, con un obiettivo opposto: un’intesa con la Lufthansa per sostituire l’Alitalia. La compagnia tedesca ha deciso di piazzare dal prossimo febbraio sei aerei nello scalo lombardo per collegarlo con grandi città europee, da Parigi a Madrid, a Barcellona, e i dirigenti dell’aeroporto sperano che questo sia il primo passo per trasformare Malpensa nel quarto hub della Lufthansa dopo Francoforte, Monaco e Zurigo. A Bari l’amministratore Di Paola, tormentato dall’idea che la Puglia alla fine sia emarginata, ha intanto deciso di far pagare all’Air France-Klm i debiti dell’Alitalia con un decreto ingiuntivo sulla base di un ragionamento semplice: se l’ex compagnia italiana non ha più un euro, i francesi di cui è alleata in Sky Team, e con cui spesso divide i voli per Milano e Roma, i soldi li hanno. E allora paghino. Daniele Martini