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 2008  ottobre 31 Venerdì calendario

La sensazione è quella di essere appesi a un paracadute che non si apre. La provano, in queste settimane, decine di milioni di americani: quelli che si sono affidati, per la pensione, ai piani individuali di risparmio, i cosiddetti «401K»

La sensazione è quella di essere appesi a un paracadute che non si apre. La provano, in queste settimane, decine di milioni di americani: quelli che si sono affidati, per la pensione, ai piani individuali di risparmio, i cosiddetti «401K». Per loro la prospettiva è quella di lavorare molto più a lungo del previsto.  un’amara scoperta che avevano fatto da tempo, ma fino a qualche mese fa gli esperti consigliavano loro di allungare la vita lavorativa di due o tre anni (fino a quota 68), in modo da compensare con più versamenti la maggiore longevità media e da garantirsi un assegno decente fin oltre gli 80 anni. Ora, invece, la crisi finanziaria delle ultime settimane, che ha distrutto oltre un terzo del valore delle Borse, costringerà molti – soprattutto i 78 milioni di figli del «baby boom» – a restare al lavoro fin oltre i 70 anni, forse fino a 75.  una vera rivoluzione sociale per la quale è stato già coniato uno slogan: rewiring instead of retiring, ricablare (la mente, il proprio progetto di vita), anziché «staccare la spina» e andare in pensione. La catena di supermercati Wal Mart, il più grande datore di lavoro d’America (1,2 milioni di dipendenti) già oggi impiega 355mila ultracinquantenni. E, secondo il Cbo, l’organismo del Congresso che controlla i conti pubblici, da qui al 2016 il numero degli «over 65» ancora al lavoro aumenterà dell’80%. I sondaggi indicano che il 27% degli americani ha già rinviato il pensionamento e che il 70% di quelli ancora in età lavorativa progetta di fare altrettanto. I consulenti li hanno spinti a riempire i loro fondi di titoli azionari (fino a due terzi del valore complessivo) nel tentativo di renderli più redditizi. Sembrava la maniera più efficace per accumulare, senza rischiare troppo, un patrimonio sufficiente per vivere la propria «terza età» senza drastiche riduzioni del tenore di vita. Invece è stato un disastro. Incentivate dal governo con sgravi fiscali, queste polizze sono l’altra faccia del naufragio della ownership society di George Bush. Il presidente voleva legare tutti, anche i ceti meno abbienti, ai meccanismi del capitalismo diffondendo ovunque la proprietà: di una casa, della propria polizza sanitaria, di un fondo per la pensione. Oggi se ne va lasciando macerie e nemici del mercato in festa. Il laissez faire nei mutui ha generato (con l’attiva complicità del partito democratico) il disastro di milioni di case abbandonate da proprietari non più in grado di pagare le loro rate – il detonatore della crisi mondiale che stiamo vivendo – mentre nelle pensioni un’applicazione scriteriata dei meccanismi del mercato ha esposto 50 milioni di americani (gli altri hanno ancora la vecchia previdenza aziendale o la «Social Security» statale) a rischi analoghi a quelli accettati dagli investitori più sofisticati, che non si affidano certo alla Borsa per il pane quotidiano. «Poteva andare peggio», commenta, ironico, l’economista democratico Robert Reich. «Bush voleva privatizzare anche la Social Security. Per fortuna lo ha bloccato il suo stesso partito».