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 2008  ottobre 31 Venerdì calendario

Alla Hedge 2008, la conferenza degli hedge funds riunita a Londra il 23 ottobre, molti gestori hanno avvertito che l’andamento dei derivati sta aggiungendo un nuovo rischio a quelli già impliciti nella liquidazione degli attivi, soprattutto titoli in euro, avviata da settembre per far fronte alle richieste di rimborso delle banche finanziatrici e dei sottoscrittori

Alla Hedge 2008, la conferenza degli hedge funds riunita a Londra il 23 ottobre, molti gestori hanno avvertito che l’andamento dei derivati sta aggiungendo un nuovo rischio a quelli già impliciti nella liquidazione degli attivi, soprattutto titoli in euro, avviata da settembre per far fronte alle richieste di rimborso delle banche finanziatrici e dei sottoscrittori. I soggetti campioni dell’opacità temono ora l’opacità di strumenti ai quali hanno fatto essi stessi largo ricorso. Già nel settembre 2007, in verità, la Banca dei Regolamenti Internazionali aveva sottolineato le debolezze dei contratti che reggono l’infinito numero di derivati trattati sui mercati over-the-counter, ovvero sui mercati non regolati, in particolare per quanto riguarda i rischi derivanti dal fallimento di una controparte importante come poi sarebbe accaduto nel caso Lehman Brothers. Come mostra il grafico, il valore nozionale dei contratti derivati, molti dei quali hanno scadenze superiori ai due anni, è cresciuto con velocità esponenziale. A fine 2007 è arrivato a 600 mila miliardi di dollari, un multiplo della ricchezza prodotta ogni anno nel mondo. Alla stessa data il valore di mercato di questa montagna di carta era pari a 14.500 miliardi di dollari, poco più del Pil degli Stati Uniti. Il rischio implicito tra le controparti si aggirava sui 3.300 miliardi e ad aprile, secondo l’International Swaps and Derivatives Association, era coperto per il 65% da garanzie collaterali, quelle che hanno consentito a chi le aveva – in Italia si può fare l’esempio di Mediobanca di non subire danni dal crac Lehman, uno dei grandi operatori in derivati non regolati. Lo scoperto sfiora i 1.200 miliardi di dollari ma sarebbe in capo a istituzioni con una reputazione così elevata da non aver bisogno di dare garanzie. E’ anche vero però che quando, in seguito al declassamento del suo merito di credito, il grande gruppo assicurativo americano Aig è stato chiamato ad aggiungere 14.500 miliardi di garanzie ai 16.500 già stanziati alla fine di luglio, è anche andato a portare i libri al Tesoro per evitare di portarli in tribunale. Il rischio di controparte è aggravato dal fatto che l’«industria» dei derivati è molto concentrata. Secondo l’ultimo rapporto del Comptroller of the Currency, le prime cinque banche americane (JP Morgan, Citigroup, Bank of America, Wachovia e Hsbc) controllano il 97% di questa attività e sopportano l’89% del rischio implicito. Questo rischio è raddoppiato, giugno su giugno, passando da 199 a 406 miliardi di dollari a causa dell’andamento dei tassi d’interesse. Se a questo rischio attuale sommiamo il rischio prospettico stimato dall’authority in 833 miliardi, arriviamo a un rischio complessivo di 1.239 miliardi contro un patrimonio netto dell’intero sistema delle banche commerciali americane di 1.155 miliardi. Ma se ci limitiamo alle prime 5 banche (quelle che fanno tutto) vediamo che il rischio è pari a 3 volte il patrimonio di vigilanza. Naturalmente, rischio non significa perdita. La misura del value at risk, la perdita massima teoricamente possibile in un giorno nelle condizioni più avverse, resta bassa. Ma questo indicatore considera la volatilità dei titoli e non il rischio di controparte. E nel rischio di mercato dà per buone le obbligazioni strutturate (Abs, Cdo) sulle quali invece, come ammette senza però aggiungere altro il Comptroller, si sono ora registrate grandi perdite. Il confronto A fine 2007 il valore di mercato di questa montagna di carta era pari a 14.500 miliardi di dollari, poco più del Pil degli Stati Uniti M. Mucch.