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 2008  ottobre 26 Domenica calendario

Libero, domenica 26 ottobre Manca solo il boccale a fior di labbra per poter scrivere che è Baffo d’Oro il nuovo giudice della Corte Costituzionale

Libero, domenica 26 ottobre Manca solo il boccale a fior di labbra per poter scrivere che è Baffo d’Oro il nuovo giudice della Corte Costituzionale. Sembra uscito dall’etichetta della birra Moretti Giuseppe Frigo, che ha bucato il video e le prime pagine dei giornali con i suoi mustacchi all’insù quando è stato partorito dal Parlamento dopo 18 mesi di travaglio. Eppure giovedì, quando è andato a giurare al Quirinale, non un tg ha dato la notizia e, il giorno dopo, nemmeno un quotidiano. Sarà che ormai è sceso dal rissoso teatrino della politica su cui sono puntati i riflettori, dopo un fugace passaggio prima di andare a coronare la sua brillante carriera di penalista alla Consulta. Con buona pace di tutti gli aspiranti. In primis Donato Bruno e Gaetano Pecorella. Tra due litiganti Frigo gode. «Se possiamo pensare a un godimento… sicuramente una gratificazione e un onore. Ma anche un onere, perché interrompere dall’oggi al domani un’attività articolata come la mia, che si svolge tra Brescia e Roma, non è semplice». Si aspettava di arrivare alla Corte Costituzionale? «No no! Mi creda, non me l’aspettavo proprio. Le assicuro che se avessi avuto anche solo il sentore, mi sarei attrezzato». Nessun senso di colpa nei confronti di Pecorella? «Mi è molto dispiaciuto ciò che gli è accaduto, non se lo meritava. Con lui ho un’amicizia di anni e una condivisione di idee nel campo dell’amministrazione della giustizia. Siamo da sempre convinti sostenitori del processo con giuria». Siete stati anche colleghi. Non è stato pure lei avvocato del premier? «Ho difeso indirettamente Berlusconi, aiutando colleghi amici su Brescia. Sa come si fa tra avvocati? Se c’è un processo fuori sede ci si appoggia a uno del posto». E questo l’ha fatta entrare nel novero degli avvocati del Cavaliere. «Siamo una schiera abbastanza nutrita». Lei piove dal cielo dopo 18 mesi di stallo. Che sensazione fa essere l’uovo di Colombo? «Confesso che in passato, la mia esperienza accademica e professionale e la mia partecipazione attiva alla legislazione – ho fatto parte della commissione redigente del Codice di procedura penale e della commissione per il mandato d’arresto europeo al ministero delle Politiche comunitarie – mi avevano fatto pensare di avere un’attrezzatura intellettuale che potesse essere utile alla funzione di giudice costituzionale». Quindi ce l’aveva fatto un pensierino… «Alcuni anni fa sì. Ma è rimasto un pensiero recondito». Non ne ha mai fatto cenno a quelli che contano? «Talvolta mi è capitato di confidare a qualche amico parlamentare che se si fosse presentata l’occasione sarei andato volentieri alla Consulta. Ma poi non c’ho più pensato». Sicuro? «La riprova è che avevo programmato un’attività intensissima per questa settimana e per il mese prossimo. Ma alle ore 21,30 di lunedì, mentre stavo lavorando, mi è arrivata allo studio una telefonata in cui mi si proponeva di candidarmi». Chi l’ha chiamata, Niccolò Ghedini? «Mi ha chiamato una persona incaricata dal presidente Berlusconi. E io ho detto: ”Ma datemi un po’ di tempo”. ”Tempo non ce n’è”, mi ha risposto, ”perché bisogna decidere entro domattina, che c’è la prossima votazione”». E lei? «Ho detto: ”La cosa mi lusinga ma, sapendo come va in politica, non è che mi volete bruciare? Io non ho nessuna voglia di essere bruciato senza che ci sia un minimo di possibilità d’intesa, perché so benissimo che maggioranza ci voglia”. Mi hanno dato due ore per riflettere quella notte». Cos’ha fatto in quelle due ore? «Ho pensato molto e ho divorato un pacco intero di crackers e formaggio». Napolitano l’avrà accolta come un eroe risorgimentale al Quirinale, giovedì, quando si è presentato per il giuramento. «Mi ha accolto con il suo solito spirito molto sobrio e, al di fuori del cerimoniale, è stato molto cortese e colloquiale». Lei, in effetti, ha un’aria ottocentesca. Le manca solo il monocolo… «Se lei mi vedesse nella fotografia che mi hanno fatto alla Corte Costituzionale, potrebbe pensare addirittura a un ritratto del Settecento». Come fa a tenere i baffi così all’insù, usa la lacca? «No, sono assolutamente selvaggi, qualche volta ribelli, a seconda dell’umore del momento. Qualcuno dice che quando mi faccio prendere dalla collera, vibrano addirittura». Li taglia da solo? «Certo. Basta coltivarli piano piano e arrotolarli lateralmente per non farli scendere e loro prendono la piega». Cos’ha provato mentre giurava davanti al Capo dello Stato? «Il desiderio di essere capace di svolgere serenamente e con il massimo senso di responsabilità il compito che mi veniva affidato». Ok, ma l’emozione non le ha giocato nessuno scherzo mentre recitava la formula di rito? «No, ci tengo molto alla lettura delle formule e al modo in cui mi esprimo, quindi l’avevo ripassata. Mi ha colpito vedere il viso della mia seconda figliuola, Elena, rigato da due lacrime». E a lei non è venuto il nodo alla gola? «Come no! Ma bisogna ingoiarlo in certi casi». Ha comprato l’abito per l’occasione? «Assolutamente no. Indossavo una delle mie tante ”divise” blu con cravatta bordeaux». L’ha chiamata il premier per farle gli auguri? «Mi ha chiamato Berlusconi, ma anche Veltroni, Vietti e qualche deputato di varia appartenenza». Il suo sponsor presso il Cavaliere è Ghedini. «Beh, sa, è stato il mio segretario all’Unione delle Camere penali nel mio primo biennio di presidenza». Come è nato questo asse di ferro tra lei e l’avvocato prediletto del premier? «Più che asse di ferro, è un’amicizia, che ho anche con Pecorella, con Oreste Dominioni e altri che hanno fatto parte delle Camere penali. C’è una forte amicizia tra noi anche perché condividiamo le stesse idee sulla giustizia». Lei è appassionato di libri di storia e di criminalistica. Perché si è specializzato nel diritto penale societario, fallimentare, ambientale e del lavoro? «No no, io pratico anche il diritto penale classico. Il vero penalista deve difendere prima di tutto l’omicida». Ha mai difeso un pluriomicida? «Ho difeso degli assassini, ma non persone colpevoli di crimini particolarmente efferati». C’è un noto serial killer che le sarebbe piaciuto difendere? «Io ho sempre guardato all’aspetto umano del diritto penale. Mi piace molto il dramma umano, ma non subisco il fascino del serial killer». Difenderebbe un boss della mafia? «Uno dei motti di noi penalisti è che nessuno è indegno di essere difeso, ma bisogna vedere come lo si difende». Le è venuta da piccolo questa passione per la criminologia? «La passione per il processo penale come momento altamente drammatico è cominciata negli anni del liceo». E da bambino cosa sognava di fare? «L’esploratore». E la sua passione per la radio quando è nata? «Dopo il periodo universitario. Facevo trasmissioni amatoriali in onde corte. Era il sistema che avevamo allora per chattare». In pratica? «Si metteva l’antenna sulla terrazza di casa o sul tetto. Quando le onde radio, anziché penetrare nell’atmosfera, incontravano la ionosfera e venivano riflesse come un raggio di luce, ricadevano dall’altra parte e succedeva una cosa grandiosa». Che capivate solo lei e Guglielmo Marconi. «Ma no era facilissimo e bellissimo. Mentre stavo scherzando con un amico a 50 km di distanza, all’improvviso ci collegavamo con degli spagnoli o dei brasiliani, con i quali poi ci si mandava un sacco di cartoline, ciascuno con la propria sigla. Ogni radioamatore ne aveva una». Qual era il suo nome d’arte? «Mi chiamavo Bandos, come un’isola delle Maldive». Parte un motivetto di Louis Armstrong. Ma cos’è? «Scusi, il cellulare. Ho scaricato una suoneria jazz. Io adoro il jazz, ma anche la musica classica, quella sacra, la lirica e la sinfonica, il melodramma...». E a 20 anni cosa ascoltava? «La stessa. All’Università di Pavia partecipai al coro del Collegium musicum, si cantavano brani medievali». E il rock ”n’roll non le piaceva? «Anche quello, come no». Andava a ballare? «Certo. Ai tempi dell’università andavamo a ballare nei dancing». Dancing? «Erano discoteche rudimentali che improvvisavamo sulle spiagge, dove si passava dal twist al tango, al valzer, che già allora erano démodé». Già allora portava i baffi così? «No, decisi di cambiare look l’1 gennaio 1969. Ma Elena, che allora aveva sei mesi, si spaventò e non si fece più prendere in braccio, mettendo in atto una contestazione che si è affievolita solo col tempo a precise condizioni». Lei si laureò con 110 e lode il 19 novembre nel ”57, a 22 anni. Doveva essere un secchione. «Proprio un secchione, no. Scelsi Giurisprudenza perché avevo la vocazione per l’avvocatura. E la sento ancora, dopo 49 anni di professione». Il suo primo processo? «Un mese dopo la laurea, alla pretura di Gardone Val Trompia. Era un processo per insolvenza fraudolenta». La prima volta che si è innamorato? «La prima cotta l’ho avuta a 14 anni, era una ragazza conosciuta al mare. Fu una cosa del tutto balneare che durò 15 giorni». Il ricordo più antico dell’infanzia? «La luna che appariva e si nascondeva dietro le nuvole. Io avevo quasi tre anni ed ero in braccio alla mamma davanti a una finestra. Quando la luna spariva io mi nascondevo dietro la spalla di mia madre che mi avvertiva quando riappariva». Lei ha difeso l’universo mondo: da Gnutti a Previti, a Sofri... Il caso che ha segnato la sua vita? «Il caso Soffiantini. Essere il difensore della famiglia di un sequestrato mi ha cambiato profondamente il carattere». Lei fece anche da mediatore con i rapitori. «Fu una vicenda tremenda. Ebbi parole di conforto proprio da Napolitano, che allora era ministro dell’Interno. Andai da lui a chiedergli l’appoggio al più alto livello della polizia per poter svolgere in assoluta libertà la mia professione per salvare Soffiantini». Avete riparlato di quella vicenda con Napolitano quando lei è salito al Colle per il giuramento? «Un piccolissimo accenno c’è stato». La prima cosa che pensò quando alla famiglia fu recapitato il lembo dell’orecchio? «Al di là del fatto che fosse raccapricciante, avevo appreso che quel gesto apparteneva alla ritualità degli antichi sequestri sardi. Mi era stato spiegato da qualche ”esperto” – mi raccomando lo metta tra quattro virgolette davanti e dietro – che, se fatto professionalmente, quel rito non risultava particolarmente doloroso, perché interessava solo la cartilagine, poco irrorata da sangue». Ma quando Soffiantini tornò libero cosa le disse, che gli aveva fatto male o no? «Lui mi disse che il dolore l’aveva sentito». Cos’altro le rivelò della sua prigionia? «La sua grande capacità comunicativa si era rivelata particolarmente vincente con Farina, il capo dei sequestratori. In un colloquio con lui, ricordandogli il padre, riuscì anche a farlo piangere». Crede sia stata questa la sua salvezza? «Direi di sì. Ma fu lo stesso Farina a salvargli la vita. Dopo il conflitto a fuoco in cui perse la vita l’ispettore Samuele Donatoni, Soffiantini mi disse che gli altri sequestratori volevano ucciderlo e che fu proprio Farina a impedirlo». Lei ha difeso anche il pool di Mani Pulite nel 2002 davanti alla Consulta, quando il Parlamento sollevò il conflitto di attribuzioni in occasione dell’arresto di Bettino Craxi. «Certo, fu una circostanza in cui si discuteva soprattutto di questioni giuridiche». Sì, ma lei difese il pool che lei stesso accusò davanti a Pier Camillo Davigo, dicendo: «A tenere sotto scacco l’Italia sono 8mila magistrati. Al punto che non si può fare la separazione delle carriere, perché questi non vogliono, sebbene l’abbiano chiesta 10 milioni di italiani». «Lo dissi in un altro contesto. notorio che l’Unione delle Camere penali sia da sempre favorevole alla separazione delle carriere dei magistrati. Anzi fu la prima a presentare la proposta». Ai tempi in cui l’Anm era in guerra con l’allora Guardasigilli Castelli, lei disse che lo sciopero dei magistrati era «eversivo» perché poteva configurare il reato d’interruzione di pubblico servizio. Lei c’è andato sempre giù duro con le toghe. «Nell’ambito di una dialettica politica, sicuramente sì». Quindi, non deve essere stato facile per uno che la pensa come lei difendere il pool di Mani Pulite. «Ma quella era una questione puramente giuridica, che non implicava scelte ideologiche». O forse ha ragione chi pensa che voi avvocati siate talmente machiavellici da riuscire a difendere chiunque, anche chi contrasta profondamente con i vostri principi, purché vi paghi la parcella... «Un vecchio proverbio dice: ”Dei medici come degli avvocati è più facile parlar male che fare a meno”. Nessuno è indegno di essere difeso». Lei ha difeso anche la legge Cirami sul legittimo sospetto. Non sarà stato difficile per Ghedini convincere Berlusconi a candidarla al posto di Pecorella: lei è più realista del re sulla giustizia. «Le posizioni dell’Unione delle Camere penali sulla giustizia possono essere vicine al centrodestra, ma è una coincidenza. Di discussioni io ne ho fatte tante anche con il centrodestra». Invece, alcuni sono convinti che con lei il Cavaliere abbia piazzato alla Consulta l’uomo che potrà difendere le sue riforme costituzionali. «Io ho sempre creduto nelle mie idee e le difendo. Ho fatto scendere in campo l’Unione delle Camere penali per i referendum dei radicali sulla giustizia, come per la separazione delle carriere. Sulle proprie idee ci possono essere compagni di strada che oggi sono questi, domani quelli. Credo sia questa la ragione per cui non è stato difficile neanche al Pd darmi il suo consenso». Che ne pensa del lodo Alfano? «Su questo non le posso dire niente perché è una questione di cui dovrà occuparsi la Consulta». Lei è a favore della stretta sulle intercettazioni. «Su questo sono pessimista, in tanti casi il giro di vite è stato aggirato. Sulle intercettazioni basterebbero le leggi attuali, se venissero applicate». Solo una volta lei ha indossato i panni dell’avvocato dell’accusa. Si trattava di un processo storico e l’imputato era Napoleone. «Quel processo venne fatto per dimostrare che quando Napoleone prese Venezia non aveva compiuto un atto di guerra, ma di rapina, contro il diritto internazionale del tempo, e poteva essere condannato come un criminale di guerra». Gli avete dato l’ergastolo? «Non poteva essere applicata nessuna pena perché è morto. Ma fu dichiarata la colpevolezza». Scusi ma per chi ha votato alle ultime elezioni? «Non glielo posso dire, è un segreto personale». Barbara Romano