Federico Rampini, la Repubblica 30/10/2008, 30 ottobre 2008
la Repubblica, giovedì 30 ottobre New York. Giù, sempre più giù il costo del denaro, ormai vicino allo zero in America e in Giappone: si tenta ogni arma contro la recessione
la Repubblica, giovedì 30 ottobre New York. Giù, sempre più giù il costo del denaro, ormai vicino allo zero in America e in Giappone: si tenta ogni arma contro la recessione. Le banche centrali del mondo intero hanno lanciato ieri un nuovo giro di tagli ai tassi d´interesse, salutato con spumeggiante euforìa dalle Borse europee e asiatiche, ma non a Wall Street. La Federal Reserve è scesa così in soli 14 mesi da un tasso direttivo del 5,25% fino a quota 1%, e ha lasciato intendere molto esplicitamente che è pronta a ridurre ancora i rendimenti. Così il costo del denaro negli Stati Uniti potrebbe calare fino a livelli mai visti da mezzo secolo. Ma sotto lo zero i tassi non possono andare, e più ci si avvicina a quella soglia più si assottiglia il margine di manovra. E´ una misura della gravità della situazione, che il comunicato della Fed riassume su tre fronti: ovunque si rivolga lo sguardo, in tutti i paesi industrializzati calano i consumi, cala la produzione, calano le esportazioni. L´unica cosa che non scende però sono gli interessi sui mutui-casa, inchiodati al 6,3% trentennale negli Stati Uniti, e già questo è un segnale di allarme che mette in dubbio l´efficacia reale della politica monetaria. Per contrastare la paura i banchieri centrali si muovono all´unisono. Ieri con la Fed hanno ridotto i tassi la Cina e la Norvegia, la settimana prossima dovrebbe essere il turno della Bce. Nell´attesa di Francoforte, domani sarà forse il Giappone a operare a sua volta una riduzione, dallo 0,5% allo 0,25%. Ma la sindrome nipponica non è certo rassicurante: durante l´interminabile depressione degli anni Novanta la banca centrale di Tokyo mantenne a lungo il costo del denaro vicinissimo allo zero, senza tuttavia ottenere risultati apprezzabili. Quello spettro torna d´attualità oggi, con i timori che l´America e l´Europa possano a loro volta conoscere una recessione di durata "giapponese". Perciò un ex banchiere centrale americano, Bob Mc Teer della Federal Reserve di Dallas, dà un´interpretazione scettica e riduttiva del nuovo giro di tagli ai tassi: «Non è utile e neanche necessario. Ma non farlo avrebbe gettato lo scompiglio sui mercati, che ormai se lo aspettavano. Più che altro serve a tenere la pressione alta sulla Bce perché riduca il costo del denaro anche lei». Gli stessi studi della Fed indicano che la riduzione del costo del denaro impiega da un minimo di sei mesi a un massimo di 18, prima di avere qualche effetto apprezzabile sull´economia reale. Ed è quest´ultima, oggi, il vero centro di tutte le preoccupazioni. A Washington è in cantiere un´ennesima manovra d´emergenza, dopo i piani Paulson Uno (acquisto titoli tossici) e Paulson Due (ricapitalizzazione e semi-nazionalizzazione delle banche). Stavolta si discute di stanziare altri 600 miliardi di dollari per erogare garanzie dirette alle famiglie proprietarie di case che rischiano il pignoramento per insolvenza. La manovra aggiuntiva Paulson Tre, che a questo punto dovrà essere concordata con lo staff del nuovo presidente eletto il 4 novembre, si presta a diverse letture. Da una parte è un segnale del frenetico attivismo con cui l´America tenta di risollevarsi da questa crisi: il conto finale cresce a dismisura per i contribuenti, siamo ormai a un rapporto deficit-Pil che sfiora il 10%. D´altra parte l´ennesima promessa di fondi pubblici – stavolta alle famiglie – rivela che gli interventi precedenti hanno avuto una modestissima efficacia. E´ il caso dei 250 miliardi di dollari usati per ricapitalizzare le banche. Si scopre che nessuna delle banche beneficiate sta usando quei fondi per lo scopo a cui erano destinati, cioè il finanziamento dell´economia reale. I prestiti languono, i banchieri si tengono ben stretti i capitali aggiuntivi offerti dallo Stato. E´ in atto una forma di tesaurizzazione, perché le banche non si fidano di erogare prestiti ai clienti: temono che sia in arrivo una nuova ondata di insolvenze, per esempio sul fronte delle carte di credito. E´ un timore fondato, perché in un anno già 700.000 americani hanno perso il posto di lavoro, e per loro anche pagare la rata su un elettrodomestico diventa proibitivo. Da ieri la lista dei licenziamenti si è allungata, con l´annuncio di ristrutturazioni alla General Electric e alla Coca Cola. L´indice di fiducia dei consumatori americani è precipitato al minimo storico mai raggiunto dalla sua creazione: peggio che nel dicembre 1974 dopo il grande choc petrolifero. Questi segnali di sofferenza dell´economia reale si moltiplicano da ogni direzione. Le chiusure di 700 concessionari di automobili, i timori di crac che investono gli shopping mall e certe catene di grande distribuzione, le voci di bancarotta che circolano di nuovo riguardo i tre big dell´auto di Detroit (General Motors, Ford e Chrysler). Proprio per venire in soccorso dell´auto la Federal Reserve ha cominciato ieri a erogare finanziamenti diretti anche alle filiali finanziarie di Gm e Ford, quelle società che gestiscono il credito sugli acquisti raateali di vetture. Il Congresso riceve una richiesta sconcertante e significativa: includere i colossi malati dell´automobile nella categoria degli istituti di credito (visto che concedono prestiti rateali!) in modo che possano essere anche loro ricapitalizzati e parzialmente nazionalizzati dal Tesoro. La schiera dei candidati alla bancarotta ieri si è allungata con gli Stati di New York e New Jersey: i due governatori hanno invocato una manovra che estenda agli Stati il metodo salva-banche. Federico Rampini