Piergiorgio Odifreddi, la Repubblica 30/10/2008, 30 ottobre 2008
la Repubblica, giovedì 30 ottobre Negli anni Sessanta del Novecento, grazie al titolo di un saggio di Herbert Marcuse, si parlava spesso metaforicamente di «uomo a una dimensione»
la Repubblica, giovedì 30 ottobre Negli anni Sessanta del Novecento, grazie al titolo di un saggio di Herbert Marcuse, si parlava spesso metaforicamente di «uomo a una dimensione». Ma anche letteralmente l´uomo è prossimo ad essere a una dimensione, nel senso che la sua altezza è in media preponderante rispetto alla sua larghezza e alla sua profondità. Diversamente da altri esseri quasi unidimensionali, come i rettili, l´uomo sviluppa però questa sua dimensione preponderante in direzione perpendicolare, invece che parallela, alla superficie terrestre su cui vive. A sua volta la superficie terrestre è prossima a essere un piano, almeno nelle vicinanze e nelle percezioni degli individui che la abitano: non a caso, in origine, la scoperta che la Terra è rotonda ha richiesto una certa sofisticazione intellettuale e ha suscitato un´altrettanto certa avversione viscerale. Non è dunque così sorprendente che a qualcuno possa venire in mente di raccontare una storia ambientata su un mondo piatto e popolata di esseri sostanzialmente unidimensionali come i serpenti, o bidimensionali come le tartarughe. Una volta avuta l´idea, poi, è abbastanza naturale popolare questo immaginario mondo piatto di quanti più esseri è possibile. E visto che i serpenti sono realizzazioni concrete dei segmenti astratti (da cui il detto popolare «segmenti serpenti»), e le tartarughe dei cerchi, si può immaginare di narrare più in generale le avventure fantamatematiche dei poligoni sul piano. Ora, progettare è facile, ma realizzare è difficile: nel 1882 Edwin Abbott Abbott ci riuscì però talmente bene, che il suo Flatlandia è diventato un classico e continua ad essere stampato e letto a distanza di più di un secolo. Anzi, l´ultima edizione italiana, con testo inglese a fronte e allegato dvd dell´omonimo film di animazione di Michele Emmer, è uscita proprio in questi giorni da Bollati Boringhieri (euro 25). Che il libro di Abbott sia qualcosa che va oltre la semplice divulgazione, per entrare a pieno diritto nella vera letteratura, lo dimostra il fatto che per l´edizione Adelphi del 1966 si scomodò a farne una prefazione Giorgio Manganelli, che ammise in apertura: «non tratterò dei meriti scientifici e didattici di questo straordinario libretto, perché, non essendo in grado di apprezzarli, non mi interessano». E concluse dichiarandosi incapace di decidere se si trattasse di «un incubo, una farsa, un apologo, una satira, un jeu d´esprit, una scommessa, un´allegoria, una visione, o la satira di tutte le visioni». Ora, è innegabile che gli aspetti marginali del libro abbiano decretato la sua fortuna: primo fra tutti, la feroce ironia sulla società vittoriana incarnata (o meglio, disincarnata) nella gerarchia geometrica che va dall´infima linearità delle donne alla sublime circolarità del clero, passando per la varia poligonalità del proletariato e dell´aristocrazia. Ma è altrettanto innegabile che il suo vero valore intellettuale sta nelle note della sua musica, più che nelle contorsioni degli orchestrali che la suonano: in particolare, sta nel riuscito tentativo di illustrare indirettamente, per analogia, quello spazio a quattro dimensioni che a noi esseri tridimensionali non è dato di percepire direttamente. Ad esempio, ci fa notare Abbott, gli esseri bidimensionali di Flatlandia possono intuire qualcosa di una sfera tridimensionale attraverso le tracce circolari che questa lascia mentre attraversa perpendicolarmente il Mondo Piatto: esse partono da un punto nel momento di tangenza iniziale, crescono fino a raggiungere un massimo nel momento in cui il piano taglia la sfera lungo il suo equatore, per poi decrescere di nuovo fino a un punto nel momento di tangenza finale. Analogamente, noi possiamo percepire un´ipersfera quadridimensionale attraverso le simili tracce sferiche che essa lascia mentre attraversa temporalmente il nostro spazio tridimensionale. Senza arrivare a scomodare Platone e le ombre del mito della caverna, la stessa idea era già venuta nel 1880 a Charles Hinton, che la pubblicò nel saggio «Che cos´è la quarta dimensione?». Quattro anni dopo esso fu ristampato in una collezione di suoi Racconti scientifici, uno dei quali si intitolava "Un mondo piano" e iniziava dicendo: «Mi sarebbe piaciuto poter rimandare il lettore a quell´opera di genio intitolata Flatlandia. Tuttavia, sfogliando le pagine del libro, noto che l´autore ha usato il suo raro talento per uno scopo estraneo al mio intento. E´ chiaro, infatti, che suo primo interesse non sono state le condizioni fisiche di vita nel piano. Le ha sfruttate come sfondo della sua satira e delle sue diatribe. Ma noi, in primo luogo, vogliamo conoscere le verità fisiche». In italiano un estratto del libro di Hinton uscì nel 1978 da Franco Maria Ricci nella collana La Biblioteca di Babele diretta da Jorge Luis Borges, che scrisse nella sua prefazione: «Altri cercano e ottengono non raramente la fama: Hinton ha quasi ottenuto le tenebre. Non è meno misterioso delle sue opere. I repertori bibliografici lo ignorano. Non è un narratore, è un ragionatore solitario che istintivamente si rifugia in un mondo speculativo che mai lo delude, perché egli ne è il creatore e la fonte. Ma nelle pagine dei Racconti scientifici cercò la forma narrativa». Le idee di Hinton non anticiparono comunque soltanto varie opere letterarie di Wells, da La macchina del tempo a L´uomo invisibile, ma anche varie idee scientifiche del Novecento, dalla metrica non euclidea dello spazio-tempo della relatività speciale di Einstein, all´uso di dimensioni aggiuntive per unificare l´elettromagnetismo alla gravitazione. E il suo ultimo libro, un romanzo del 1907 intitolato Un episodio di Flatlandia diede inizio alla nutrita serie di variazioni sui temi del più fortunato romanzo di Abbott. Hinton sperimentò simultaneamente due interessanti varianti del Mondo Piatto di Abbott. Anzitutto, un Mondo Circolare sul cui bordo scorrono le figure, tutte triangoli rettangoli con un angolo acuto orientato in alto e l´altro a Est o Ovest, a seconda del sesso: il che rende complicati e pericolosi i rapporti fra individui dello stesso sesso, ma facili e tranquilli quelli fra individui di sesso opposto. E poi, un Mondo Profondo in cui si può penetrare verticalmente in direzione Sotto-Sopra, invece che muoversi orizzontalmente in direzione Nord-Sud. Due variazioni più recenti hanno sviluppato separatamente le due novità introdotte da Hinton: nel 1965 Dionys Burger ha infatti presentato in Sphereland, Mondo Sferico, una fantasia sulla curvatura dello spazio e sull´espansione dell´universo, mentre nel 1984 Alexander Dewdney ha esplorato in Il Planiverso, tradotto in Italia da Bollati Boringhieri, le condizioni di vita biologiche e artificiali di un Mondo Profondo. A sua volta, nel 2002 il profeta del cyberpunk Rudy Rucker ha sostituito in Spaceland, «Mondo Spaziale», il Quadrato di Abbott con un Cubo, facendolo incontrare con un essere quadridimensionale invece che tridimensionale. La variazione più originale, libera e istruttiva è però quella del 2001 di Ian Stewart in Flatterlandia, appena tradotto da Nino Aragno Editore. Il titolo è un gioco di parole che sta a metà tra Mondo Ancora Più Piatto e Mondo della Lusinga, e il racconto è una vera e propria summa di mondi geometrici, tutti contenuti nel Matemativerso che i protagonisti visitano, imbattendosi via via nella Foresta Frattale, in Topologica o Continente Foglio di Gomma, nel Piano Proiettivo, in Iperbolica o Discolandia, e nelle geometrie a cui è costretta a far appello la fisica moderna per descrivere il nostro universo materiale. A tutte queste opere letterarie si affiancano almeno quattro animazioni cinematografiche della storia originale di Abbott. Oltre a quella già citata di Michele Emmer, risalente ormai al 1982, e a un´altra ancora più vecchia di Eric Martin, del 1965, ne sono uscite ben due nel 2007: una di Jeffrey Travis e l´altra di Ladd Ehlinger. Le prime tre sono dei cortometraggi, di circa mezz´ora l´uno, mentre l´ultimo è invece un vero e proprio lungometraggio, di un´ora e mezza. Piergiorgio Odifreddi