Raffaello Masci, La Stampa 30/10/2008, 30 ottobre 2008
Uno dei provvedimenti contenuti nel nuovo ddl comporterà il blocco automatico dei concorsi in atto: si tratta di 7 mila posti, di cui 4 mila per ordinari e associati e 3 mila in due tranche per ricercatori che verrebbero così assunti a vita
Uno dei provvedimenti contenuti nel nuovo ddl comporterà il blocco automatico dei concorsi in atto: si tratta di 7 mila posti, di cui 4 mila per ordinari e associati e 3 mila in due tranche per ricercatori che verrebbero così assunti a vita. Se il concorso passasse verrebbe ingolfato per anni il sistema di reclutamento e e i giovani di talento potrebbero dire addio alle loro aspirazioni. Tuttavia bloccare questo concorso significa inimicarsi tutta la baronia che aveva già deciso chi e come sistemare. Al provvedimento dovrebbe seguire poi una nuova normativa sui concorsi. Verrebbe, infine, bloccata l’ereditarietà delle cattedre: chi è parente di un professore non potrà concorrere a nessuna cattedra nella medesima università. Ma se è un genio? Vincerà la cattedra in un altro ateneo. Forse 94 università sono troppe, ma lo sono certamente le 320 sedi distaccate. Il criterio di una università ogni campanile è un sistema mangiasoldi e bruciaefficienza, che - secondo il ddl - dovrebbe scomparire. Non saranno chiuse tutte le sedi distaccate, ma «la rete» sarà rivista. Un analogo criterio di revisione sarà applicato alla pletora dei corsi di laurea che oggi sono 5.500, il doppio di quanti ce n’erano 6 anni fa e di quanti ce ne sono in media in Europa. Peraltro 37 di questi corsi hanno un solo iscritto e 327 facoltà ne hanno meno di 15. «Abbiamo scambiato la salute con l’abbondanza di farmaci - dice Giorgio Stracquadanio del Pdl - e abbiamo dato l’illusione a molti giovani che un pezzo di carta comunque preso avrebbe consentito loro di trovare una collocazione professionale». Un articolo del ddl sull’università riguarderà la gestione finanziaria responsabile. Il ministro Gelmini ha parlato di bilanci dissestati in molti atenei, e per cinque di loro di una situazione prossima alla bancarotta. Le università non potranno in nessun caso spendere per il personale più del 90% delle proprie risorse. Limite che è stato invece allegramente ignorato: «Negli ultimi concorsi - ha denunciato la Gelmini - nel 99,3% dei casi sono stati promossi senza che ci fossero i posti disponibili facendo aumentare i costi di 300 milioni di euro». Questo è uno dei provvedimenti che potrebbero essere maggiormente contestati, in quanto le università lamentano sia il taglio del Fondo di finanziamento ordinario sia il blocco del turn over in ragione di un assunto ogni 5 pensionati. La trasformazione delle università in fondazioni è la norma più contestata in assoluto, in quanto molti vedono il preludio ad una privatizzazione dell’università pubblica. Il nuovo ddl non imporrà a nessun ateneo di diventare fondazione, ma darà una serie di agevolazioni fiscali e normative a chi sceglierà questa formula. L’idea è che diventando fondazioni le università possano raccogliere più facilmente finanziamenti anche da privati e possano, soprattutto, mettere a frutto le loro potenzialità di ricerca anche vendendola a terzi. Si teme, da parte di alcuni, che il sistema possa penalizzare soprattutto gli atenei del Sud. Già il ministro Beppe Fioroni aveva ipotizzato una soluzione di questo genere estendendola anche alle scuole. L’accoglienza però fu molto fredda. Torna il tema caro - sia pur con differenti impostazioni - a molti predecessori della Gelmini: una valutazione delle università che premi le migliori e distribuisca i fondi con questo criterio. In realtà Mussi aveva avviato una Agenzia nazionale per la valutazione, un soggetto terzo con molti componenti stranieri, e quindi autonomo anche dalle camarille di corte che prosperano nel mondo accademico. Gelmini ne sospese però l’attuazione in quanto la riteneva «complicata» e «inattuabile nei termini in cui era stata pensata». Poiché la valutazione è alla base di ogni criterio di efficienza, il ddl dovrebbe indicare un nuovo sistema (e forse un nuovo soggetto). Restano, per ora, vigenti i due comitati di valutazione per la ricerca e per l’università, rispettivamente. Sulla carta un confronto di merito con le opposizioni potrebbe avvenire in maniera più fruttuosa di quanto non sia avvenuto per la scuola. Il documento del partito democratico intitolato «Il futuro dell’università, dieci proposte del governo ombra», tocca molti dei temi che sarebbero contenuti nel ddl Gelmini. Sull’insieme della materia «università e ricerca», però, i rapporti tra le due parti sono compromessi dal fatto che il Pd considera che a monte di ogni possibile scelta del governo ci siano solo i tagli decisi in finanziaria e che al ministero non resti che dire dove e come farli. La contesa di fondo, poi, sta nel fatto che il Pd ritiene che ci sia un nesso molto stretto tra investimenti e qualità dell’istruzione, e che quindi i tagli comportano quasi inevitabilmente la dequalificazione.