Michele Salvati, Corriere della Sera 29/10/2008, 29 ottobre 2008
Quando studiavamo a Cambridge, nei primi anni ’60, mia moglie ed io eravamo diventati molto amici del mio supervisor, Michael Posner, un eccellente economista e un appassionato laburista
Quando studiavamo a Cambridge, nei primi anni ’60, mia moglie ed io eravamo diventati molto amici del mio supervisor, Michael Posner, un eccellente economista e un appassionato laburista. Quando ci raccontò, una sera a cena, che aveva appena iscritto il figlio ad una famosa (e costosa) scuola privata, non potemmo reprimere la nostra meraviglia: «ma come, sostieni politicamente le scuole pubbliche e poi mandi tuo figlio alle private». «Quando avrete figli – fu la sua risposta – vi accorgerete anche voi che non è il caso di sacrificare il destino di una persona che amate ad un principio politico, che pur trovate giusto difendere in via generale e per il futuro». Mi è tornato in mente questo episodio leggendo nei giorni scorsi che molti politici della sinistra mandano i figli a scuole private e riflettendo sui caustici commenti che Pierluigi Battista ha dedicato loro ier l’altro, nella sua rubrica fissa su questo giornale. Non mi interessa discutere se si tratti veramente, da parte di costoro, di un «cinico doppio standard», come titola il pezzo. Sarebbe tale se questi politici non si impegnassero seriamente per migliorare la qualità della scuola pubblica, se veramente «bocciassero con furore ogni parvenza di riforma», ma non mi sembra che questo deprecabile atteggiamento si possa desumere dal semplice fatto che essi criticano le riforme Gelmini. E’ vero che, per la scuola elementare e media, non ho ancor visto da parte delle opposizioni un tracciato di riforme adeguato a risollevarci dalla cattiva situazione odierna, capace di operare i risparmi necessari e insieme di migliorare la qualità dell’istruzione pubblica. Se è per questo, tuttavia, neppure l’ho visto da parte del governo: il docente unico, l’accorpamento di scuole troppo piccole e le altre misure dell’incombente decreto sono piccoli provvedimenti, con alcuni dei quali si può anche essere d’accordo, ma non un progetto di riforma di grande ambizione. Che cosa verrà dopo? Credo che una parte almeno delle proteste di questi giorni abbiano a che fare con la mancanza di un disegno di riforma esplicito, graduato nei tempi d’attuazione, con finalità chiare. Si vuole veramente creare una scuola pubblica d’eccellenza, o l’eccellenza i benestanti dovranno andare a cercarsela nelle scuole private? E’ il timore che la via prescelta sia la seconda ciò che muove le proteste, o almeno quelle più ragionevoli. Insomma, il progetto di lungo periodo va dichiarato, va reso esplicito. Noi veniamo da una situazione nella quale le scuole d’eccellenza – i grandi licei, non pochi istituti tecnici e professionali – erano scuole pubbliche. Nella quale, salvo eccezioni non numerose, le scuole private erano di qualità e severità inferiore, e servivano i figli di famiglie benestanti che non riuscivano a «farcela» nella scuola pubblica. La situazione sta cambiando, per l’impatto di numerosi fattori: la scolarità di massa e l’immigrazione, stipendi troppo bassi, incapacità di premiare il merito e sanzionare il demerito, e tanti altri ancora. L’inerzia positiva di una buona tradizione, la capacità e il duro lavoro di tanti insegnanti, ancora tengono in vita ampie aree di eccellenza: per allargarle, per diffonderle dove ce ne sarebbe più bisogno, quei fattori andrebbero affrontati con misure adeguate. Per alcune di esse ci sarebbero da superare resistenze e proteste: valutazioni serie e conseguenze significative su carriere e remunerazioni sarebbero uno shock in un settore dove l’uniformità di trattamento e l’assenza di valutazione sono state la regola. Ma mentre in parte capisco le proteste odierne, perché il progetto di lungo periodo non è chiaro, quelle nei confronti di un progetto riformatore che si muovesse nella direzione indicata le troverei ingiustificate. In mancanza di un progetto che miri all’eccellenza della scuola pubblica il destino americano è di fronte a noi. Rimarranno buone scuole pubbliche, ma sempre di meno. Aumenterà di molto il numero delle buone scuole private, poiché la domanda crea l’offerta. E, in assenza di buone scuole pubbliche in vaste zone delle città e del Paese, sarà molto difficile (e ingiusto) rifiutare a famiglie non benestanti, ma che non vogliono mandare i figli alle cattive scuole pubbliche del quartiere o dell’area in cui vivono, sussidi o voucher per frequentare buone scuole private. Per ora è un incubo, ma potrebbe realizzarsi.