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 2008  ottobre 29 Mercoledì calendario

Ruggendo dolcemente alle richieste dell’ideologia, comunque consumistica, e agli obblighi imprescindibili (ed imperscrutabili) della burocrazia dell’accrochage, che pure sa pilotare così bene, Enzo Mari, con la sua lunga barba pensosa da monaco del design di Monte Athos, pare un leone in gabbia, che si muova nervoso e felino, ma piuttosto soddisfatto del suo pasto, appena imbandito

Ruggendo dolcemente alle richieste dell’ideologia, comunque consumistica, e agli obblighi imprescindibili (ed imperscrutabili) della burocrazia dell’accrochage, che pure sa pilotare così bene, Enzo Mari, con la sua lunga barba pensosa da monaco del design di Monte Athos, pare un leone in gabbia, che si muova nervoso e felino, ma piuttosto soddisfatto del suo pasto, appena imbandito. «Forse ho messo troppe cose» sussurra, guardando l’ottimo risultato della sua mostra, che si apre oggi alla Gam: «E dire che ne volevo pochissime». Ma sa che non è vero. O meglio: è vero che il lungo salone subacqueo della Galleria, finalmente sgombro d’ogni traliccio, nudo come un buon selvaggio, s’è trasformato sì in una sorta di giardino gremito d’oggetti, di idee, di parole, concentrate sopra cartelli brechtiani e manifesti più d’idee e teorie, che non d’immagini, ma è anche vero che in fondo s’intuisce subito che si tratta di un’opera unica, di un’opera d’arte parcellizzata in minimi fuochi, come d’un grande albero della vita disteso sul pavimento, gigante atterrato ma non vinto, che abbia deposto qui e là i suoi frutti del Tempo, le sofferte tappe della sua lunga via crucis professionale (curioso che quest’Ultimo Grande Laico-Comunista del vivere architettonico abbia proposto, e mostrato qui, pure il suo liscio inginocchiatoio da chiesa, senza fronzoli od invenzioni: come a dire, tutto ho davvero provato, con la cartina-tornasole del mio progettare polemico). L’uno e i molti, per dirla con la filosofia presocratica. E lui oscilla talvolta, anche nelle immagini sfuggite - quella della mano del nonno in quella del nipotino - tra l’icona del satiro dionisiaco ed il maieuta Sòcrates, che deve bere, malvolentieri ma ligio, la cicuta del consumismo. Per poter continuare a «piantare» - vista la sua passione botanica - i suoi geniali oggetti d’utilità quotidiana. Dovunque. E quante volte ci siam seduti su di una seggiola dal sedere industrialmente bucherellato Smontabile Box, o gettato un biglietto usurato dentro i suoi cendriers a planetario, o evitato un portombrello a colonna tubolare, per sfogliare un volume di Freud, edito dalla Boringhieri, con copertina optical-labirintica così ben rammemorabile, senza ricordarci che l’artefice era ed è Enzo Mari: un designer che preferisce sparire dietro oggetti così esatti e «puri», colpiti all’occhio, che paiono esister da sempre. Non tenorilmente protagonisti: anzi, li diresti prodotti dalla stessa «natura» (industriale). Mari che pure venuto dall’arte cinetica e dal purismo scenografico di Appia, detesta gli effetti alienati dell’industria (ed ancor qui bestemmia contro la pessima abitudine delle presuntuose firme della produzione del design, che distruggono tutto: «meticolosamente, dal disegno al prototipo agli esemplari stessi, che se non sono più in produzione scompaiono per sempre, e se non ci fossero questi oggetti qui, di mia proprietà, la mostra non si sarebbe potuta fare»... ma è ovvio: consumismo è cancellare). Non ha mai nascosto la sua passione quasi morbosa dello standard, anzi, nella lunga biografia che accompagna il catalogo Motta, spiega: «Munari era permeato dalla poetica dell’astrattismo, io da quella della potenzialità positiva della macchina industriale», per aggiungere poi, come tra i baffi: «Che ingenua ignoranza!». Guardando i suoi figli giocare accanto al tavolo di lavoro (uno è diventato un raffinatissimo scrittore) Mari ha capito che i bambini si stufan presto del loro giocattolo ma han bisogno d’immagini archetipiche, che fungano da conoscenza potenziale, e che loro stessi devono poter manipolare a piacere. Incastri «realizzati con massima qualità e non in stile ”disegno da bambino”» scimmiottando l’innocenza che non c’è. Pure l’uomo ha i suoi archetipi, nonostante quello che i politici vogliono farci credere (l’ideologia non è morta). C’è un’opera in mostra (Mari le contrassegna con il marchio del sole, se «nascono dall’esigenza dell’autore di indagare le forme», cioè libere, oppure con la luna, «se nascono dalla contrattazione con le Imprese di produzioni o altri Ente») un’opera che pare la più emblematica, e s’intitola, significativamente, Quarantaquattro valutazioni. Allegoria frammentata di 44 forme autonome in marmo, che paion onde, creste di dinosauro, delfini o ponti sospesi, ondulati-bioformi, alla Kiesler, i quali, richiamati all’ordine libero d’una specie d’immaginaria Arca di Noè del Diluvio Contemporaneo, s’incastrano tutte, come in un puzzle non sarcastico, a ricomporre il simbolo, tanto sofferto ed oggi rimosso, della falce e martello («non un simbolo di partito, mi raccomando», si preoccupa di segnalare, subito). Non partitico ma certo sentimentale, o meglio, ammonitore (come la sua Libreria Treviri, che sicuramente evoca il fantasma di Marx, o il Che fare a Murano? non solo d’assonanza leninista, ma ennesima prova d’un design-problematico-interrogativo, che domanda invece di rispondere, mercantilmente). «Sì, la dannazione è il consumo, non c’è niente da fare», ripete, avviandosi come in processione verso una delle sue opere più celebri, quella funerea Allegoria della morte, ove tre lapidi (svastica, croce, falce e martello) accolgono una consumistica coda incolonnata di multiformi macchinine. In plastica, finte, ma certo non meno temibili. Millenaristico: «Non illudetevi, la crisi non finirà». La mostra Enzo Mari. L’arte del design, a cura dello stesso designer, si apre oggi alla Galleria d’Arte Moderna di Torino, nell’ambito delle manifestazioni per Torino World Design Capital 2008. Rimarrà aperta fino al 6 gennaio 2009 e propone sia gli oggetti firmati da Enzo Mari nella sua lunga carriera, sia le opere legate alla sua attività di artista (è stato fra i protagonisti italiani dell’arte cinetica). Accompagna la mostra un catalogo edito da Federico Motta. Informazioni sul sito www.gamtorino.it.