Francesco Rigatelli, La Stampa 29/10/2008, 29 ottobre 2008
Con l’attuale trend di consumi, nel giro di trent’anni ci servirà un altro pianeta. L’allarme arriva dal Rapporto internazionale sul pianeta del Wwf, un lavoro biennale che viene presentato questa mattina a Roma dal suo direttore scientifico Gianfranco Bologna, da Riccardo Valentini del Cnr, dal segretario generale dell’Aspen Institute Angelo Maria Petroni e da Piero Angela
Con l’attuale trend di consumi, nel giro di trent’anni ci servirà un altro pianeta. L’allarme arriva dal Rapporto internazionale sul pianeta del Wwf, un lavoro biennale che viene presentato questa mattina a Roma dal suo direttore scientifico Gianfranco Bologna, da Riccardo Valentini del Cnr, dal segretario generale dell’Aspen Institute Angelo Maria Petroni e da Piero Angela. «Oltre la recessione economica, il mondo rischia quella ecologica». Con questa frase ad effetto, ma basata su calcoli scientifici, Bologna spiega le «evidenze scientifiche» che emergono dagli studi del Wwf, tradizionalmente legati alla protezione delle singole specie ma estesi già da alcuni anni, per chiare ragioni storiche, a tutto l’ecosistema. Proprio seguendo questa prospettiva il documento parte da un’analisi della vita di 1800 specie di vertebrati (mammiferi, uccelli, rettili, pesci e anfibi) dal 1970 ad oggi, stabilendone un declino numerico del 30 per cento, per arrivare poi alla situazione della Terra e del suo rapporto con l’uomo. Questa seconda parte è affrontata attraverso due indici: l’impronta ecologica e quella idrica. La prima è la misura di quanto ogni uomo sfrutti il pianeta per vivere. E’ un indicatore strettamente legato al consumo e si calcola in ettari globali, cioè ettari con la capacità media di produrre risorse e assorbire materiali di scarto. L’impronta ecologica è data dunque dalla somma di tutti i terreni agricoli, i pascoli, le foreste e i patrimoni ittici che un Paese utilizza per vivere. Dal 1986 sta succedendo qualcosa di anomalo. Grazie alla tecnologia, l’uomo ha iniziato a utilizzare più risorse di quelle che la Terra è in grado di produrre. Nel 2005 si calcola addirittura che questa differenza sia stata del 30 per cento (per coincidenza un numero uguale a quello del declino animale). Si è avviato insomma un deficit planetario, da cui la definizione di recessione ecologica, destinato a raggiungere il cento per cento nel 2040 se il mondo avanzato non cambierà stile di vita. «Altrimenti, ci servirà un altro pianeta», non scherza Bologna, che aggiunge: «Molto dipenderà dal nuovo presidente americano, ma anche l’Italia può avere un peso sull’argomento, perché ospiterà l’ultimo G8 di luglio 2009 prima della chiusura del nuovo accordo di Kyoto a Copenaghen. Peccato che il nostro Paese secondo l’agenzia europea sia ancora indietro pure su Kyoto». Dalla ricerca, quindi, risulta chiaro che l’uomo sta usando più di ciò di cui abbisogna per vivere. Ovviamente non è ovunque così. Consumano troppo Emirati Arabi, Stati Uniti, Kuwait, Danimarca, Australia e altri fino all’Italia che sta al 24° posto. Ma sprecano pochissimo, per esempio, Congo, Haiti, Afghanistan e Malaqi. Inutile aggiungere che in fondo alla classifica sono concentrati i Paesi del Sud del mondo. L’Italia si classifica invece al 4° posto dopo Stati Uniti, Grecia e Malesia per un altro indicatore, utilizzato per la prima volta nel rapporto del Wwf: l’impronta idrica. Similmente a quella ecologica, l’impronta idrica rappresenta le risorse liquide utilizzate per produrre beni e servizi di una nazione. Anche qui l’uomo, specialmente nei Paesi agricoli, spreca tanto. Ad esempio, nell’intera catena produttiva, dalla coltivazione dello zucchero nei campi fino alla zolletta da sciogliere nel té, un chilo di zucchero costa 1500 litri d’acqua. Così occorrono 2900 litri per trasformare un seme di cotone in una maglietta e 15500 per far arrivare un chilo di manzo dalla stalla sul piatto del ristorante. Nel frattempo, qualcuno in Somalia muore di sete. Il rapporto indica anche alcune soluzioni. «Prima di tutto - rivela Bologna - bisogna considerare che la potenzialità del risparmio energetico mondiale è oltre il 50 per cento. Il che significa iniziare a domandarsi in ogni processo produttivo ”Quanto consuma?”. Poi bisogna costruire edifici ecologici e snellire le reti di trasporto per diminuire l’inquinamento. Insomma, in Finanziaria va affiancata alla contabilità economica, quella ecologica». Stampa Articolo